giovedì 31 luglio 2008

Il Bambino Barattolo.

Oggi vi racconto una bella novellina: la storia del Bambino Barattolo.

In un campeggio comunale, tanto tempo fa, trascorreva l'estate un bambino ciccione di nome Samuele. A Samuele piaceva andare in bicicletta - piano, altrimenti si stancava -, giocare coi gormiti ma soprattutto amava mangiare i troiai. Era quasi impossibile vederlo senza un pacchetto di orsetti di gelatina in mano e tutto intento a ciucciare la cannuccia di un Estathè; la cosa aveva così tanto influito sul suo fisico acerbo che era rimasto sprovvisto di punto vita e di collo, tanto che lo chiamavano il Bambino Barattolo.
Il Bambino Barattolo apparentemente non aveva niente di speciale. Era un bambino anonimo, come ce ne sono tanti in circolazione, magari un po' più pigro. Però, dentro di sè, il Bambino Barattolo era dimolto un ganzo: in quel suo cervellino di settenne, il Bambino Barattolo aveva capito tutto della vita.

Il Bambino Barattolo era consapevole di avere un grande potere.

Se al Bambino Barattolo si rompeva una racchetta da ping pong, si metteva a piangere disperatamente, in una maniera che strappava il cuore, e come per magia si materializzava una racchetta nuova di zecca, comprata da qualcuno mosso a compassione da cotanta lacrimazione. Se al Bambino Barattolo piaceva una cosa che apparteneva ad un altro bambino, iniziava a piangere. Lo sgomento diventava così intollerabile che la nonna di turno lo strappava dalle mani del nipote per darlo a lui, tra l'approvazione degli adulti e l'indignazione generale dei piccoli, meno inclini alla condivisione di cotanto sentimento. Il Bambino Barattolo, a questo punto, esultava gaio e lieto, e se ne andava con il tanto agognato bottino.
Ovvio che i rapporti coi coetanei non fossero dei migliori. Ma tanto al Bambino Barattolo non importava, lui aveva il suo progetto di conquista del mondo degli adulti, e siccome riusciva ad ottenere sempre più grandi risultati, se ne fotteva amabilmente.
Una volta, sul suo cammino, incontrò una fata. Non era una fata buona nè una fata cattiva, era una fata media. Questa fata stava prendendo il caffè al bar del campeggio, e stava pensando ai cazzi suoi. Il Bambino Barattolo stava assorbendo con la voluttà di un formichiere l'ultimo dito di granita alla menta, quando sciaff!, gli casca il bicchierino e la granita va ad imparentarsi strettamente con le fughe delle mattonelle. A questo punto, il Bambino Barattolo volta il suo faccino senza collo verso la fata, e piega il labbrino come fanno i neonati quando stanno per piangere, resta un momento in equilibrio tra il pianto e il nonpianto, e alla fine scoppia in una frignata poderosa, indirizzata alla fata.
La fata alza gli occhi un attimo dal suo caffè, guarda il Bambino Barattolo con sufficienza, e si rimette a pensare ai cazzi suoi. Il Bambino Barattolo comincia a piangere ancora più forte, girandosi ogni tanto a controllare l'effetto dei suoi gemiti disperati. La fata non dà segno di notare niente.
A questo punto, il Bambino Barattolo la prende per un lembo della maglietta e comincia a tirare ed indicare il suolo, ove giace divelto il bicchierino.
"Uaaagghhhhh, m-m-mi è ca-ca-cascata la grrraniiiiita, uaaaaaaaaaagh!"
"Embè?" gli fa la fata, "ne era rimasto giusto un dito, pazienza."
"Mmma mmma mmmmmma era quello più buono. Uaaaaaaaaggh!"
"Vai da mamma e fattela ricomprare, no?"
"Mmma mmma mmmmmma la mamma non mi dà i soldi. Uaaaaaagh!"
"Vai dalla nonna, allora."
"Mmma mmma mmmmmma la nonna non ce l'ho. Uaaaaaagh!"
"Senti, cicciobomba frignone, vai a farti un giro. Non ti ricompro un bel niente, sappi che con me non attacca. E cerca di mangiare di meno, che con questo costume a righe sembri Obelix".
Il Bambino Barattolo spalanca gli occhi e fa la tipica espressione da murena (che poi sarebbe questa), si asciuga le lacrime e rimane interdetto per un attimo. Poi approfitta di una nonna sopraggiunta nel frattempo con due nipotine gelato-leccanti, e con abile mossa riesce ad impietosirla, si mette a sgranocchiare uno stecco ducale ed indirizza uno sguardo di odio e di conquista alla fata, che continua a rimanere impassibile.
E così, ogni volta che passa davanti alla fata, il Bambino Barattolo le sibila tusseibrutta.
E così, ogni volta che il Bambino Barattolo le sibila tusseibrutta, la fata gli risponde sarai bellino te, testa a pinolo.
E così andarono avanti per tutta l'estate, felici e contenti.

Fine.

martedì 29 luglio 2008

Fenomenologia del turista. Sulle imbarazzanti trasformazioni.

Il mio nuovo lavoro ha dei risvolti inquietanti. Mi trovo a tu per tu con una categoria che non conoscevo: il campeggiatore stagionale.
Il campeggiatore stagionale è diverso dal turista solito. Il campeggiatore stagionale, a differenza del solito turista tedesco coi sandaloni e i pantalonacci-cencio da spolvero ma pur sempre curioso del mondo, è veramente l'incarnazione del demonio. Il campeggiatore stagionale arriva a pasqua, si monta tutti i suoi trabiccolini e si piazza lì. E non si muove più.
In genere arriva da una grande città-alveare, vive in condominio e pare che ci tenga in maniera spropositata a ricreare il suo habitat naturale cittadino: coltiva in maniera ossessiva un metro quadrato di terra gareggiando coi vicini in rigogliosità di piante e fiori, si fa montare la parabola sul tetto della roulotte e si appassiona alle liti condominiali. L'unica differenza con la vita cittadina è la distanza dal mare e il fatto che non dispone liberamente di un bagno personale, ma deve adattarsi a fare la cacca in uno stanzino dove l'hanno già fatta altre migliaia di sconosciuti, e senza nemmeno il conforto di potersi appoggiare alla ciambella. Già questa cosa mi sconvolge.
Non capisco come si possa fare la cacca senza stare comodamente appoggiati sul proprio water, con una lettura appassionante tra le mani, ma soprattutto potendo emettere rumoracci e flatulenze da cavallo consapevoli del fatto che quando chiuderai la porta dietro di te nessuno sarà lì in fila, con la carta igienica sotto il braccio, pronto a giudicarti.
Ecco, questa la vedo davvero come una cosa inconcepibile. Sarebbe da denuncia ad Amnesty International.
Un'altra cosa che mi sconvolge, poi, è la caduta rovinosa dei freni inibitori.
Pare che i turisti campeggiatori facciano a gara a chi espone più carne alla luce del sole.
Ho visto cose con questi occhi, che voi umani non potete immaginare.
Ho visto torme di anziani signori giocare a bocce in boxerini da spiaggia, con le panze ancora impanate di sabbia e le cicce pendoloni, oppure - ancor peggio - infilati in slip di lycra taglia 24 mesi, da cui fuoriesce di tutto e di più.
Ho visto giovani mamme disfatte fermarsi a discutere allegramente con altre giovani mamme disfatte, e tutte rigorosamente di pelle umana vestite. E di pelle umana non proprio tonica.
Ho visto frotte di anziane signore dalle tette ciondoloni e dalle chiappe ormai assorbite dalla circonferenza della coscia, pedalare allegramente su grazielline ormai allo stremo delle forze, col sellino saldamente conficcato in zone innominabili del corpo, dal quale forse non usciranno più. Ho visto giovani uomini con il segno della canottiera e dei calzini scambiarsi consigli su come coltivare le begonie in 20 centimetri quadrati di terriccio. Gli unici che si salvano sono i bambini, poverini, ridotti anch'essi ad un mucchietto di epidermide, ossicini e costume da bagno, che però son carini e quindi si perdona loro tutto (a parte questa moda terrificante di mettere nomi altisonanti quali Allegra, Ginevra, Edmondo e Vanni, associati a cognomi tutt'altro che nobili, ma vabbè).
I turisti stagionali si annoiano. Una volta ricreato l'habitat condominiale, non sanno più cosa fare. E tocca a noi inventarci qualcosa per non vederli scontenti. E allora, si va col liscio.
Da giugno ad ora, mi sono sorbita qualcosa come 16 orchestre di liscio. I balli di gruppo non hanno più segreti, per me.
La Macarena mi tormenta mentalmente per otto ore al giorno. Anche se l'orchestra sta smontando le attrezzature e i ballerini hanno ormai abbandonato da tempo mises impomatate e lustrini, la mia mente continua a macinare Dale a tu cuerpo alegria Macarena / Que tu cuerpo es pa' darle alegria y cosa buena / Dale a tu cuerpo alegria Macarena / hey Macarena (ahè!). A volte non me ne accorgo e la canto ad alta voce. Incessantemente.
E mi sono pure accorta che mi piace girare per casa con le mutande scucite e le canottiere del Gig, in mises improponibili e al limite della decenza.

La cosa è decisamente contagiosa. Stamattina mi sono resa conto troppo tardi di essere uscita con la pinza fuxia tra i capelli e le ciabatte da mare. Inaccettabile.
Il cane dei miei suoceri è una creatura adorabile e benigna, è dolcissima e fa le feste a tutti. L'unica cosa che non sopporta sono le persone vestite male: quando vede un barbone si trasforma in un razzo missile con circuiti di mille valvole, diventa Cujo e sfodera una doppia fila di denti che farebbe venire la cacarella anche allo squalo tigre.

Stamattina mi ha quasi sbranata.

La trasformazione può dirsi quasi completata.
Si salvi chi può.

domenica 27 luglio 2008

Weekend con il morto.

Nonna Mimetica è una donna strana. Come tutte le signore di una certa età, ha il suo hobby. In genere, le signore senza figli a carico e con una notevole quantità di tempo libero si dilettano in piccoli lavori domestici: c'è chi fa il decoupage, chi armeggia con l'uncinetto, chi si cimenta in maglie e maglioni. Nonna Mimetica invece ha un altro passatempo: piange.
Ora vi racconto cosa è successo ieri.

Ieri pomeriggio mi squilla il telefono. E' Nonna Mimetica.
Strano, peraltro: a meno che non ci siano nani di mezzo (e non ce ne sono, in quanto è stato via per 2 giorni con la coppia Ansia - Alzheimer), non ci sentiamo mai.
"Ciao, Lupina!" mi fa con voce forzatamente allegra.
"Buonasera, Mimetica. Tutto bene?"
"Ehm, sì sì. C'è mica mio figlio?"
"Veramente no. A dire la verità doveva già essere qui, lo aspettavo perchè stasera andiamo alle terme, non possiamo far troppo tardi."
"L'hai mica sentito?"
"Ho provato a chiamarlo un sacco di volte, ma non mi risponde."
Pausa telefonica. Si ode chiaramente il crac della rottura della diga: a Nonna Mimetica si apre il Vajont lacrimoso.
"Ah. Ho capito." scroscia copiosamente Nonna Ansia, con ancora un barlume di finta allegria nella voce.
Azzardo. "Ma va tutto bene? E' successo qualcosa?"
"No no. Tutto bene. Però mi raccomando, fammi chiamare quando torna." e riattacca.

Resto un po' interdetta. Nonno Asl penso che stia bene, lo sentivo litigare col televisore in sottofondo. Faccio mentalmente l'appello dei parenti, che nel caso del Gig si risolve in una manciata di personaggi sconosciuti sparsi per il mondo: che sia successo qualcosa alla zia ottuagenaria, scalatrice dell'Himalaya? Oppure alla cugina francese del Gig, la Bubù? O che forse stia male l'adorata cagnetta di casa?
Ore di ansia. Il Gig non si vede, non posso condividere le mie angosce con nessuno. Decido di ripiegare sul cheese cake, e lo anniento.

Ad un certo punto, sento che la porta di casa scricchiola: è tornato il Gig. Gli riferisco della strana telefonata della madre, e a quel punto decidiamo di chiamarla per risolvere le nostre angosce.

"Pronto? Ciao mamma"
"Argh, sei tu! Sniff sniff!"
"Mamma, tutto bene? Che è successo?"
"Argh sniff sniff, per fortuna che mi hai chiamato, sob sob sniff sniff!"
"Ma che cosa è successo?"
Nonna Mimetica non riesce a parlare, sopraffatta dalla copiosa lacrimazione. Nonno Asl prende in mano la situazione e la cornetta del telefono.
"Ah, ciau, figlio. Senti qua, stai bene?"
Il Gig è interdetto. "Certo che sto bene."
"Sai, ci ha chiamato la Ines da Torino." La Ines non è un componente del nucleo familiare, ma un'amica della mamma del Gig e una ex vicina di casa, che non disdegna ogni tanto una visita in Toscana. "era sconvolta. Ti ricordi la pettinatrice che aveva il negozio sotto casa nostra a Torino? Le ha detto che il carrozziere le ha detto che un suo cugino ha letto sulla Stampa che TU avevi avuto un gravissimo incidente e che ora giacevi in coma in un letto d'ospedale, sospeso tra la vita e la morte."
"Papà, ma che cavolo stai dicendo? E voi ci avete creduto?"
"Ma sai, il carrozziere ha notato che non ti vedeva da un po', quindi ha pensato che potevi essere tu."

Caspita, il carrozziere ha un discreto spirito di osservazione. Considerando soprattutto che il non vedere il Gig in giro da un po', significa più o meno dal 2002, anno in cui il Gig andò a vivere da solo. Francamente, si ignora cosa abbiano fatto la suddetta pettinatrice e il carrozziere nel frattempo.

I Nonni Asl-Mimetica tuttavia non erano del tutto convinti. E se stessimo parlando con un morto? si sono chiesti. E per star più tranquilli ci hanno invitati a cena.

Ovviamente alle terme poi non ci siamo andati.

mercoledì 23 luglio 2008

Al mare con Hitler.

Con piglio autoritario e pervasa di pessimismo cosmico, Nonna Ansia è tornata dalle vacanze.
E siccome la vacanza non è mai abbastanza, si è presa un'altra settimana. "Portiamo il Nano al mare, poverino, che è bianco come un fungo prataiolo. E poi così quest'inverno non gli viene la bronchite col laringospasmo", sentenzia Nonna Ansia caricando il bagagliaio della mia Twingo.
"Cosa significa portiamo?" chiede Lupina insospettita.
"Che verrai anche TU. Non vorrai mica mandarmi da sola con quel manigoldo?"
E così sia.

Nell'assordante silenzio di cicale della pineta assolata, tre figure si avvicinano pericolosamente alla spiaggia. Una di queste è più bassa di un metro, ed ha appena fatto la cosiddetta "cacca a sorpresa". Un'altra supera il metro e sessantacinque, indossa un cappello a tesa larga da sciantosa anni '50 e parla a voce molto alta. Le cicale ammutoliscono al suo passaggio. La terza è in ciabatte, ha un costume leggermente pendulo sul retro ed è carica di roba da far paura: trascina un passeggino pieghevole ricoperto di teli da spiaggia, giocattoli, borse frigo. Da qualche parte c'è persino un ombrellone messo per traverso, ma se ne ignora la posizione esatta.
Andare al mare è un lavoro. Bisogna caricarsi di roba, parcheggiare la macchina, ricaricarsi di roba e percorrere chilometri trascinandosi dietro la casetta come le lumache. Arrivare sulla spiaggia sane e salve è un miraggio. E ben presto ci si accorge che non è un traguardo, ma una mera tappa della giornata balneare. I Nani in spiaggia sono di solito molto indaffarati: devono passare in rassegna una quantità industriale di sassi e legni, mangiare della sabbia, rischiare di morire affogati. Le mamme dei Nani non pensino di rilassarsi, macchè: tutto questo trafficare le coinvolge direttamente in prima persona. Non pensino di stare sdraiate a fare lucertolandia o a leggere Intimità, Confidenze o Donna Informe, perchè se lo possono scordare. In spiaggia si sta rigorosamente in piedi, ci si scottano il naso e le spalle e le gambe restano bianche.

Questo è il motivo principale per il quale porto il Nano al mare una sola volta a settimana, e nemmeno tanto volentieri.

Però con Nonna Ansia è tutto diverso. Eh sì.

Innanzitutto, oltre a portare la roba del Nano e la mia, devo pure portare la sua. "Ma tanto che vuoi che sia un borsone Carpisa da 800 litri con qualche pesantissima confezione di olio solare formato famiglia, un paio di bottiglioni di acqua da due litri, la collana dei gialli di Agatha Christie, ed un'ampia scorta di teli da spiaggia? Carichi tutto sul passeggino!" . Nonna Ansia ha sempre soluzioni geniali per tutto. E mentre noi due traffichiamo alla ricerca dell'oggetto giusto al momento giusto nel famigerato borsone, il Nano passa in rassegna la prima tranche di sassi e tenta la fuga.

"Questo bambino è un maleducato" sentenzia Nonna Ansia, da dietro l'occhiale da sole a mascherina. "Tu non sai farti obbedire. Ti faccio vedere io come si fa. Nano! Vieni subito qua! Non ti mettere in bocca i sassi! Non tirarli! Stai dritto con la schiena. Quel giocattolo non è nostro, non si prende. Adesso vieni qua che sei tutto sporco di sabbia, così ti pulisco. Non ti bagnare la testa. Non ti rovesciare l'acqua addosso!", ed io nel frattempo mi siedo comoda. "Nano, non farti rubare i giocattoli dagli altri bambini. Reagisci! Comportati da uomo! Ehi, senti bambino olandese, se non vuoi passare un guaio ti consiglio di girare alla larga, che qua non è aria. Nano, adesso è ora di fare il bagno. Nano, adesso che hai fatto il bagno devi farti la doccia. Nano, adesso che hai fatto la doccia, devi mangiare questa brioscina. Adesso mangia lo yogurt."

Ed il Nano, in tutto questo frangente, è rimasto immobile sulla riva del mare, appena lambito dalle onde, con un sasso in mano ed il cappellino messo storto, con la bocca aperta a guardare la Nonna in modalità Hitler, mentre smanacca, dirige le operazioni, producendo sufficiente energia da alimentare un piccolo cinema parrocchiale. Il Nano disapprova.
Tanto che mi si avvicina, mi agguanta il reggiseno del costume e sospirando sentenzia: "mamma, pippa*."

Hai ragione, Nano. Andare al mare con Hitler è proprio una pippa.


*naturalmente il significato di pippa è un altro. Indovinate quale.

venerdì 18 luglio 2008

Il concerto. Sopravvissuti.

Il teatro degli Arcimboldi è una cattedrale in mezzo ad un deserto di cemento. Nella fantasia dell'amministrazione comunale milanese, la costruzione di un teatro di siffatta presenza doveva sopperire alle mancanze scaligere, e così fu. Bistrattato e detestato dalla Milano bene dell'opera lirica e della tradizione della Scala per l'ovvia disparità di presenza fisica, è stato destinato alla stagione di prosa e ai concerti. E se non fosse che quando siamo approdati finalmente a questa cattedrale di legno color ciliegio ci hanno strappato i biglietti e fatti accomodare nel foyer per un caffè, avremmo giurato di essere capitati al Plainsboro Hospital del Dr. House. E di solito, al Plainsboro Hospital non ti chiedono di lasciare le tue cose al guardaroba, cosa che noi Lupini da bravi provinciali ci siamo guardati bene dal fare.
In un momento di rara preveggenza, mi era venuto in mente che, dato il prezzo dei nostri biglietti (erano ovviamente i più economici), la famigerata fila 54 poteva essere un'anticchia inculoailupi, e mai previsione fu più azzeccata: giusto dietro ad un pannello di fastidiosissimi riflettorini alogeni dal lungo stelo, una specie di praticello luminoso che ci ha tormentato le retine durante tutti i 52 minuti di ritardo rispetto all'inizio dello spettacolo. Ed il fatto che io non mi sia voluta separare dalla mia borsona verde non era dovuto alla presenza di caciotte e salami come in Totò, Peppino e la Malafemmena, ma ai due cannocchialini da birdwatching che Lupina la Prudente ci aveva infilato dentro poco prima di partire. Comunque, al di là dello shock per la indubbia stranezza ospedaliera della struttura, devo dire che sebbene i posti a sedere siano ridicoli e inadatti ai più alti di un metro e sessantasette (e di coscia corta, mi raccomando), l'acustica è fenomenale. Si sentivano persino lo strap del nastro adesivo usato dai roadies per attaccare la scaletta ai vari strumenti.
Una rapida occhiata intorno, e ci si rende conto che i fan di Tom Waits è decisamente eterogeneo. Forse uno dei più eterogenei che io abbia mai visto. E soprattutto, disposto a sacrifici che noi umani non possiamo assolutamente immaginare: il Gig ed io abbiamo fatto il pianto greco per l'infinità dei chilometri percorsi fino a quando non abbiamo visto torme di persone col trolley incamminarsi a piedi verso il guardaroba. C'era gente arrivata in macchina dalla Croazia e dalla Slovenia, in aereo dal Regno Unito (quel chiorbone capellone davanti al Gig, ad esempio, che probabilmente adesso giacerà in un letto di ospedale per tutti gli accidenti che gli abbiamo mandato. Ma gli inglesi non erano tutti calvi, maremmassassina?), dalla Francia, dalla Svezia, dall'Olanda. L'età assolutamente ininfluente, dal ventenne in canottiera e birretta al sessantenne brizzolato, i Rain Dogs sono tanti, sfuggono alle definizioni e spesso si nascondono sotto il blazer da geometra del Comune, hanno gambe buone e tanta pazienza, sono capaci di dormire in tutte le posizioni e soprattutto sono creativi - ma tanto, giuro - nel trovare escamotages brillanti per pagare poco, per imbucarsi, per scroccare. L'unica cosa che unisce questo strano popolo, al quale forse non ci siamo accorti di appartenere, è questa grande linea di passione per un certo tipo di spettacolo (perchè ridurre tutto dicendo un certo tipo di musica? perchè non è solo di questo che si tratta), per le atmosfere da circo, per gli show viaggianti coi fenomeni da baraccone.

Innanzitutto, una grande rivelazione: Tom Waits esiste. Io sospettavo che fosse un'invenzione degli americani per far credere a noi europei di saper produrre qualcosa di buono.
E invece esiste.
Fino a che non è salita sul palco questa figura dinoccolata, con le scarpe antinfortunistiche dell'Italsider ed un cappellaccio che sembrava rubato ad un mendicante distratto, onestamente avevo dubitato. Che il Signore abbia pietà di me. Esiste, e nonostante assomigli più ad uno spaventapasseri che ad un essere umano, ha una presenza scenica enorme. E' magro, con le leve lunghe e due manone da minatore bulgaro, e forse non pesa neanche tanto, ma occupa un sacco di spazio in larghezza ed altezza, si agita, si sdoppia, certe volte sembrava quasi di vederne due, e senza aver toccato alcolici.
E poi, altra rivelazione, quella voce è vera. Cioè, lui ha proprio quella voce lì. Non ci sono strumenti a modificarla, è proprio quella che si sente nei cd. Io non ci credevo tanto, ma ci speravo.
Di fronte a questa duplice rivelazione, sono rimasta sconvolta. Adesso sono pronta a tutto, anche a credere alle apparizioni di Lourdes. Anche all'esistenza dell'incaricato della Mondialcasa.

Dall'inizio dello spettacolo in poi, è stato come trovarsi proiettati in quegli show ambulanti in cui certe stranezze della natura che normalmente ispirerebbero orrore nei più trovano la loro nobiltà, la loro bellezza. Il direttore è anche bigliettaio, presentatore, allestitore di palcoscenico: cambia il cappellino, et voila. E' una musica storpia per voci gracchianti, è l'unghia che corre sull'ardesia e ti lascia con i bulbi piliferi in delirio, è l'orecchio che sente la nota dissonante e lo stridore di ferrivecchi e che non si abitua, ma stranamente apprezza ciò che normalmente rifuggerebbe, perchè anche l'armonia a volte si rilassa, la musica impazzisce ed ha bisogno del suo contrario per sentirsi se stessa. Appollaiati sulle nostre seggioline, coi cannocchialini della salvezza in mano, possiamo dire che per un paio d'ore abbiamo sognato un sogno circense di musica perfetta perchè imperfetta, e ci siamo sentiti tutti immensamente belli proprio perchè tutti maledettamente imperfetti.
Il clou l'ho raggiunto quando, da solo al pianoforte, in mezzo alla nuvola di polvere scenica (perchè ogni circo ha la sua bella quantità di spazzatura e polverume, e fortunatamente Tom Waits ci aveva pensato e se l'era portata da casa. Al Plainsboro Hospital Arcimboldi la polvere non viene fornita), ci ha buttato là come niente fosse una versione strappamutande di Tom Traubert's blues, che mi ha costretto a riporre il cannocchiale e lacrimare copiosamente allagando le guide di moquette rossa. Il Gig mi ha fermato in tempo, quando in preda al delirio da fanatica all'ultimo stadio, stavo cercando di strapparmi un molare con costosa otturazione in resina per lanciarlo sul palco come ultimo omaggio.
Avrei potuto fare la cronaca. Raccontare di come sono entrati in scena i vip, trascrivere la scaletta, descrivere tipo e posizione degli strumenti, e magari anche i nomi dei musicisti, ma perchè farlo? In fin dei conti questo è il mio blog, non è una testata giornalistica. Ci scrivo un po' quello che mi pare.
Per esempio, potrei raccontare che poi ad un certo punto è finito il concerto e che siamo risaliti in macchina per spararci un altro cinquecentinaio di chilometri, ma perchè indugiare in particolari inutili?
Potrei anche raccontare di come, al ritorno, ho cominciato a sbarellare e ad avere le allucinazioni da sonno (vedevo una macchia sul vetro che ad un certo punto si è animata trasformandosi in musino di cane ed ha cominciato a cantare con la voce di Eddie Vedder, un materassino gonfabile da spiaggia ci ha sorpassati a tutta velocità sulla Cisa, il guard rail ad un certo punto si è trasformato in uno scaleo ad infiniti pioli, e i camion da lontano nel buio sembravano tante macchine del futuro, perchè la mente annebbiata dal sonno mancato ci metteva del suo ridisegnandone i contorni), ma non ho voglia di farlo. Ho voglia di coccolare ancora un po' questa macchia di luce che mi è rimasta appiccicata alla retina, questa impressione che anche dopo un giorno ti rimane incollata addosso, quella di aver assistito ad uno spettacolo che aspettavo da nove anni e che avevo purtroppo mancato per cause di forza maggiore.
Stavolta, caro il mio zio Tom, noi c'eravamo.
Ci rivediamo tra nove anni, se tutto va bene. E magari ne riparliamo.



mercoledì 16 luglio 2008

Post calzaturiero. Le espadrillas.

Signori e signore, sono tornate di moda le espadrillas.
Mi domando cosa abbiamo fatto di male per meritare tutto questo.

Le espadrillas sono il frutto della mente ingegnosa di qualche signore spagnolo a cui avanzava della corda e della tela di cotone, e che evidentemente aveva molto tempo da perdere.
Lupina fa rima con cretina. E infatti ha approfittato degli sconti e della quattordicesima gigghica per farsi del male.
"Toh, guarda, " pensa in piena estasi da scarpa di fronte ad una vetrina di calzature costose "son tornate di moda le espadrillas!", ed in preda ad una crisi mistica da infanzia che ritorna prepotentemente, entra e le compra. Annusando a piene nari l'odore tipico della corda di canapa, è vittima di un potente dejà-vu proustiano, e come d'incanto precipita nella sua pubertà di giovane ragazza informe molto poco attenta ai dettami della moda.
La differenza tra le espadrillas di adesso e quella di un tempo è minima, almeno al primo sguardo: giusto qualche glitter (eh già, stavate in pensiero, vero?) sulla tomaia. Tutto il resto è identico.
Il prezzo no: adesso, scontate, costano 15 euro. Un tempo te le tiravano dietro, ricordo che le trovavi persino al Conad, in fondo alla corsia ferramenta-giardinaggio-articoli stagionali. Un tempo le portavano i pescatori, i quali erano molto poco fashion e le massacravano, costavano pochissime migliaia di lire e non esisteva distinzione tra la destra e la sinistra, un po' come in politica ultimamente. La differenza tra l'una e l'altra la faceva il piede, lavorando internamente la fibra fino a renderla brignoccoluta in certi posti e in altri no, così che le potevi indossare anche al buio senza paura di sbagliare. Perchè, a parte tutto, le espadrillas erano di un comodo incredibile. E poi era una scarpa democratica, la portavano tutti. I cabinotti - o pottaioni, come si dice dalle mie parti- preferivano il modello monocromatico, con il tallone su, e sempre perfettamente pulite, gli sciagattati invece le portavano a ciabatta, e se non erano debitamente deformate e chiazzate erano cazzi. Ovviamente, una scarpa con tutte queste virtù deve avere anche dei vizi. E le espadrillas infatti ne hanno. E di tremendi.
Pestare una cacca con le espadrillas poteva trasformare una merenda in compagnia in un incubo alla The Ring. Le espadrillas facevano sì respirare il piede grazie alla morbida fibra naturale di cui erano composte, ma probabilmente la morbida fibra naturale di cui erano composte era ricavata dalle radici di certe piante con cui i cani devono aver stretto un'alleanza segreta, e per una strana alchimia dovuta alla selezione naturale e al lavoro dei millenni, la cacca riconosceva la fibra, la fibra riconosceva la cacca, si stringevano in un abbraccio indissolubile e quella che era una simpatica calzatura estiva diventava una fonte di disgusto e di infezione. Un processo chimico di natura malvagia e perversa dava il colpo finale: la suola si impregnava, la cacca di cane si sostituiva subdolamente alla fibra, e andava a finire che camminavi su una suola composta al novantotto per cento di cacca di cane. A quel punto, ti rimaneva soltanto la possibilità di aggirarti in solitudine, col campanaccio in mano come i lebbrosi del medioevo.
Infatti la resistenza delle espadrillas al contatto con un qualsiasi liquido era la stessa di un criceto in un gattile: ovvero, zero. Le espadrillas tuffate in acqua si scomponevano. Tu pensavi di fare una ganzata, a ciondolare giù i piedi da un pontile mentre ciucciavi il tuo calippo alla cocacola, e loro -maligne- tramavano nell'ombra: ritirare su i piedi e ritrovarsi con le suole ridotte ad un misero ciuffetto di fibre era un attimo. Grazie al mio peso lieve di giovine fanciulla priva di punto vita, ero spesso il bersaglio preferito della fauna maschile del mio gruppetto di amicizie balneari, e non c'era pomeriggio guascone sulla spiaggia che non terminasse con un bel tuffo in acqua vestita. Ritornare a casa scalza era il must dell'estate, altro che le mutande di Calvin Klein.
Nonostante le mie fervide preghiere affinchè Sua Divina Grazia Shri Bhaktivedanta Protettore delle Scarpe da Poco Prezzo intercedesse in mio favore, non ho ricordo di aver portato le stesse espadrillas per più di una settimana. Ne ho avute di tutti i colori: tinta unita, a righe, a fiorellini, a pois, con le stringhe, coi ricami. Ma mai il modello a cui tutte ambivano: il modello da sgualdrina.
E per intendersi, è quello con la zeppa e il laccio che si arrampica su per la caviglia. Orribili a vedersi, mai del tutto tramontate. In genere bicolori, con la punta blu e il tallone ecru, o viceversa. A me quelle da sgualdrina non le hanno mai fatte comprare. Sarà che sono alta, sarà che mia madre vigilava sugli acquisti della mia adolescenza, sarà che le indossavano solo le signore di una certa età, ma insomma, al modello col tacco non sono mai arrivata. Ma siccome le ho viste scontate allo Scarpamondo e mia madre è in ferie all'Elba e non potrà impedirmelo, adesso so che le avrò. E mi sento un po' più tranquilla.
Altra differenza tra le espadrillas di adesso e quelle di un tempo: in casa mia, si chiamavano spardegne. Non so chi abbia coniato questo termine, forse la mia bisnonna afasica che chiamava Beautiful Fuster.
"Mettiti le spardegne, che si va al mare!" mi ululava mia zia dalla cucina. E io, mentre mi infilavo le espadrillas seduta sul letto della camera che dividevo con la bisnonna afasica, pensavo che avevo davvero una famiglia strana.


Una comunicazione di servizio: domani a quest'ora io e il Gig saremo a Milano, al concerto di Tom Waits. Se qualche lettore del mio blog fosse per caso nello stesso posto alla stessa ora, dia un'occhiata alla fila 54. Noi siamo quelli con le espadrillas.
Anzi, con le spardegne.

lunedì 7 luglio 2008

Arriva l'Ottimizzatore.

Nonno Asl aggiusta. Nonno Asl è un ottimizzatore. Da piccolo deve essere rimasto traumatizzato da un'apparecchiatura elettronica, e in età adulta si vendica aggiustandole. Peccato che molte volte ciò che lui crede di aggiustare viene irrimediabilmente manomesso.

Se si commette l'errore di lasciargli in gestione la propria casa per qualche giorno, anche solo per nutrire i felini in nostra assenza o per annaffiare le piante, Nonno Asl arriva coi suoi attrezzini e aggiusta.
Molte volte non si accontenta di aggiustare, e gli effetti malefici del suo intervento si scoprono a posteriori: Nonno Asl trova un piacere selvaggio a riprogrammare. In casa nostra ha riprogrammato di tutto senza farsene accorgere: il videoregistratore, il lettore dvd, la rubrica del telefono portatile, i canali dei televisori.
Quando vivevamo in Veneto e la coppia Mimetica-Asl era spesso ospite per settimane a casa nostra, Nonno Asl approfittava delle ore in cui eravamo assenti per lavoro e si metteva lì di buzzo buono a riprogrammare. La prima cosa che faceva entrando in casa nostra era la sistemazione della temperatura del frigo, perchè lui ha sempre avuto la convinzione che il frigo tenuto alla temperatura più alta raffreddi meglio. Ma siccome il nostro frigo era un frigo normale, ovviamente non succedeva. E siccome era uno di quei frigo pieno di lucine, led, rotelline per la regolazione, tastini che nessuno aveva osato toccare dall'uscita dal negozio in poi, ci si ritrovava con la casa allagata dallo sbrinamento automatico del vano freezer, e costretti a mangiare surgelati ammosciati e semidecomposti per settimane, rischiando il botulino e la setticemia.
Nonno Asl, a nostra insaputa, ci risistemava anche i canali della televisione. Nonno Asl però è un uomo che ama le sfide, e siccome leggere un libretto di istruzioni è da cacasotto femminucce e in fin dei conti sono capaci tutti, bisogna improvvisare e capire il funzionamento delle cose senza ricorrere a questi squallidi mezzucci. E così, come per magia, invece di Rai 1 sullo schermo campeggiava TeleBassano, al posto di Rai 2 il venditore di quadri con i colletti alla coreana, su Rai 3 la neve - ma tanto in fondo non ci siamo persi nulla, a parte un Posto Al Sole e qualche programma interessante, 'sto canale del cacchio non trasmette niente di buono, e vabbè (però io volevo guardare Chi l'ha visto), MTV è una merda e quindi si toglie con tutti quei capelloni fracassoni e al posto suo si mette Trinity Broadcasting Network, che ci son le signore americane bionde di mezza età con certe scofanate di capelli in testa che Amy Whinehouse manco se la sogna, altro che capelloni.
Anche le radio sono tra le vittime preferite di Nonno Asl. Impossibile prestare la propria macchina a Nonno Asl senza subirne le conseguenze: i canali della radio sono irrimediabilmente sintonizzati su emittenti a caso, e anche l'equalizzatore è ottimizzato (leggasi dunque messo a cazzo).
La Gig Mobile, poi, è una goduriosa alcova piena di tastini da schiacciare e di lucine fantascientifiche alla Star Trek, e lì davvero si rischia di fare dei bei danni. Tipo che ne so, settare il selettore di velocità automatico e non riuscire a disinserirlo, e farsi tutta la statale 68 in terza a 30 km orari, mandando al manicomio una lunga fila di turisti e attirando maledizioni fino alla sedicesima generazione.

Questo post è un post altamente ispirato.
In casa mia si crepa di caldo, ed abbiamo una sola fonte di raffrescamento: la movimentazione dell'aria tramite pale eoliche, oltre che le palle del Gig che vorticano ma che al momento sono fuori servizio. L'unica fonte di benefico vento è stata ottimizzata da Nonno Asl a nostra insaputa, attraverso il bloccaggio perenne a velocità uno. Il che significa che bisogna letteralmente spalmarsi sulla griglia di protezione per percepire un minimo spostamento d'aria, e la cosa ci rende molto molto molto nervosi.

Grazie, Nonno Asl.
Fossi in te da adesso in poi mi guarderei bene le spalle.