sabato 26 dicembre 2009

La Germagna. Amarcord.

Sono stata a studiare in Germagna, anni fa.
La Germagna è un paese curioso. Innanzitutto, ci sono molti germagni. O forse dovremmo definirli più correttamente "tedeschi". Però non si capisce bene questa cosa del nome: se in Spagna ci sono gli spagnoli, se i francesi vivono in francia, i tedeschi dovrebbero popolare allegramente la Tedeschia. E invece no. La Tedeschia non esiste.
Esiste però la Germagna, grande paese del centro Europa, dove la gente mangia delle cose che somigliano a quei simboli fallici che pullulano i libri di storia dell'arte pre-cristiana e che si trovano agevolmente in tutti i supermercati LIDL d'Europa sotto forma di biustel. I biustel si possono anche chiamare viustel, vuste, blusterl, biusti. Tanto i tedeschi li chiamano in un altro modo e non capiscono mai quando noi stranieri proviamo ad ordinarli al ristorante, e conviene fare un disegnino. Senza esagerare con la dovizia di particolari, perchè di solito i camerieri si offendono a morte e non solo non vi portano niente, ma vi sbattono pure fuori in malo modo.
Eh già, perchè la Germagna è la patria di questi famigerati biustel, uno degli entusiasmanti alimenti cardine dell'alimentazione nanesca.
I biustel si mangiano con delle salse, e sono fondamentalmente di due qualità: quelle che si capisce cosa sono (ketchup e senape), e quelle che non si capisce che cosa sono (tutte quelle di colore differente dal giallo senape e dal rosso ketchup). Alcune sono buone, altre fanno schifo.
Come si fa a distinguerle? Si assaggiano. Se poi si ha la sfiga di incappare in quelle schifose, pazienza. La volta successiva magari va meglio, non bisogna disperare.

Io quando ero in Germagna, per esempio, avevo dei problemi con l'alimentazione. A dire la verità avevo anche altri problemi, tipo per esempio quello del bidet, dell'asciugacapelli che non mi entrava nella presa e che mi costringeva a penose elemosine dalla vicina di stanza, il problema di fare la cacca nel bagno comune del pensionato studentesco in cui vivevo (mettevo la sveglia per fare la cacca di notte, dico solo questo).
Ma soprattutto, avevo ENORMI problemi con la lingua.
Eh già, perchè in Germagna non parlano il germagno, ma il tedesco. Che magari il germagno era pure uguale all'italiano, pensa te che culo, e non c'era bisogno che io facessi tutta questa fatica per imparare tre parole messe in croce. Ma siccome son sfigata e sono destinata a patire come un cane, ecco che non solo è completamente diverso dall'italiano, ma è anche praticamente impossibile da imparare.

Il tedesco è una lingua di una complicazione estrema. Innanzitutto, le parole sono tutte uguali. Hanno tutte un fonema -sch- nel mezzo, cosa che confonde assai le povere creature di lingua romanza. Te poveretto ti fai questi percorsi mentali per ricordarti le parole, magari hai pure i trucchetti, "ma sì, la parola che comincia per sch- o che ha -sch- nel mezzo", e poi ti rendi improvvisamente conto che questo stracacchio di fonema è praticamente ovunque e popola almeno i 3/4 del vocabolario, e voi potreste dire una qualsiasi cosa totalmente insensata invece di una frase di senso compiuto.
Poi possono essere lunghissime e composte, e creare concetti che in italiano non esistono. Oppure possono essere cortissime, ed avere significati assai articolati. Oppure, come nel caso dei verbi, possono essere separabili, irregolari, antipatici, bastardi, e fare quello che gli pare ficcandosi in fondo alla frase, che finirà con un misterioso an-, oppure uno strano ab-, o uno auf-. E voi, che con fatica avrete tradotto una frase, scoprirete che quella cacchio di particella non saprete dove ficcarvela.
Ma comunque, se parlate inglese, siete a posto. Quasi tutti parlano inglese.
Infatti io in Germagna non ho imparato un cavolo, perchè parlavo quasi esclusivamente inglese o spagnolo: inglese con gli svedesi, spagnolo con gli spagnoli.
Che poi mi sono accorta pure che non parlavo veramente spagnolo. In realtà parlavo una specie di veneto con la -s in fondo, ma gli spagnoli sono un popolo estremamente civile e festaiolo, quindi mai si sarebbero permessi di farmi notare il fatto che parlavo un dialetto incompresibile da contadina sottosviluppata. Anzi, fingevano di comprendermi e si facevano pure delle grasse risate, dispensandomi grandi pacche sul groppone.

Ciononostante, a lezione di tedesco ero la più bravissima di tutti.

Sarà probabilmente dipeso dal fatto che la classe era composta da una anziana signora inglese sorda, una giovane ragazza irlandese, tre asiatici (una delle quali si chiamava Mei-xiou, che in inglese suonava come My Shoe, con risvolti veramente esilaranti per le due signore sopra menzionate, che adoravano tormentare la povera Mia Scarpa), alcuni spagnoli che arrivavano a lezione ubriachi fradici alle 8.00 del mattino, un arabo che dormiva sempre ed un'americana competitivissima che mi detestava per lo charme e il savoir faire, e che soffriva di balbuzie. Quest'ultima cosa confesso mi ha favorito tantissimo nella scalata sociale. Se l'americana non avesse balbettato di brutto, ed impiegato un quarto d'ora di media per pronunciare una frase semplice, non sarei stata la donna di leggendaria bravura che invece fui. Lei lo sapeva, e mi odiava per questo.

La nostra insegnante era una donna di circa cinquant'anni, che parlava soltanto tedesco. E che quindi ci costringeva a fare sforzi disumani per chiedere informazioni anche basilari, tipo a che ora si va in pausa o dov'è la toilette. Questa signora racchiudeva in se' un lato molto inquietante, in cui ci imbattemmo tutti fin dal primo giorno.
"Salve, il mio nome è MARIIIIIIIA, e vengo tutti i giorni con il treno da MUUUURRRRRNAAAAAAAUUUU. ", così si presentò la nostra insegnante. E nel pronunciare la parola Murnau, innocente località dell'alta Baviera, l'inquietante Maria strabuzzava gli occhi in maniera innaturale e faceva la bocca a padella nella tipica espressione della zucca di Halloween, risultando un qualcosa di spaventoso davvero difficile da descrivere. Roba che io me la sognavo pure la notte. E la fatidica frase di presentazione veniva pronunciata almeno una volta al giorno, ogni qualvolta ci fosse un allievo in ritardo, per sottolineare il fatto che LEI, povera donna, nonostante la distanza da coprire davvero notevole, veniva tutti i giorni in orario. E mica dalla periferia, o dal paesino appena fuori le porte della città: lei arrivava AUS MUUURRRNNAAAAAAAAAUU MIT DEM ZUG. Non come noi cialtroni che la sera ci perdevamo in gozzoviglie e ci presentavamo in ritardo a lezione, con le cispe agli occhi e l'alitosi da festino, a soli 5 minuti di distanza di metropolitana.

Quasi alla fine del corso, mi resi improvvisamente conto che capivo.
Non tutto, ovviamente. Una parte di ciò che i tedeschi dicevano, per lo meno. Quando mi chiusi fuori dalla mia stanza e dovetti chiamare il fabbro, ad esempio.
" (incomprensibile) chiusa porta (incomprensibile) senza chiave dentro (incomprensibile), finestra (incomprensibile) passare?" chiese il fabbro, mentre chino a terra faceva passare una specie di pezzo di plastica tra lo stipite e la porta, mentre io notavo che tutti i fabbri e gli idraulici del mondo presentano la solita deformazione professionale, ovvero i pantaloni che lasciano scoperta tutta quella parte del maschio, brufolosa e bianchiccia, che qualche coraggioso definirebbe culo. E' interculturale, interrazziale, interquelchevipare questa cosa del mezzo culo di fuori nell'uomo impiegato in lavori manuali.
"Sì, chiusa fuori da mia stanza. Prego me aiuta signore". Il fabbro sorrise, aprì la porta con un passepartout, mi depilò di 100 marchi e mi salutò cortesemente. E se non fosse stato per questo ultimo particolare, quello dei 50 marchi di lavoro + 50 marchi di chiamata, sarei pure stata soddisfatta di me stessa in maniera stellare.
Capire ed essere capiti è il fine ultimo della Creazione. Questa fu la prima volta che compresi un buon 70% di quello che mi veniva detto, e che risultai persino comprensibile senza infilare parole bizzarre tipo regenschirm o schublade in mezzo ad un contesto dove non ci stavano sostanzialmente a fare un cazzo.
Da lì presi il via. Mi sbloccai.

L'ordinazione al ristorante, ad esempio, fu un campo in cui mi cimentai con grande impegno.
Dopo un paio di disavventure in tipico ristorante bavarese, in cui la mia capacità di traduttrice prese un enorme granchio facendomi ordinare robe immangiabili tipo la minestra di budella di vacca e la minestra con le caccole - MAI PIU' MIO DIO MAI PIU'- , le cose migliorarono sensibilmente col MacDonald. Al Mac riuscivo ad ordinare ESATTAMENTE quello che desideravo mangiare. I dipendenti del Mac erano spesso italiani, ma io fingevo di essere di tedeschia tedeschità, e per mia fortuna riuscivo egregiamente nel mio intento.
Ai ristoranti etnici, invece, grandissimi problemi. Al mio preferito, il ristorante vietnamita, le cameriere erano estremamente scortesi e frettolose, e se non ti sbrigavi a rispondere alle loro domande su come volevi il piatto, ti mandavano affanculo in vietnamita. No, io non parlo vietnamita, d'accordo, però vi assicuro che era comprensibilissimo.
"Posso avere riso con funghi piccante e pollo, per favore?"
"Pollo con (incomprensibile) finito." Ed io lì cominciavo a sudare, perchè mi rendevo conto che in quella parola per me incomprensibile si racchiudeva tutto un universo che mi avrebbe impedito di consumare il mio pasto serenamente. E mi toccava chiedere, con la morte nel cuore: "Non capisco. Può ripetere?". E la cameriera vietnamita, memore del fatto di esser stata pure lei una profuga stanca e spaventata, non si muoveva a compassione, no. Anzi, si stronzizzava a dismisura. E ripeteva la solita frase "Pollo con (incomprensibile) finito", però a velocità supersonica, senza guardarti in faccia. Così te non capivi un cazzo ma ti peritavi a ripetere, e rispondevi un vago "Va bene".
Così ti arrivava un bel piatto di riso e funghi SENZA NIENTE. Bono, per carità, ma magari un po' di proteine, giusto per gradire, non avrebbero guastato.

Nonostante io abbia fatto spendere alla mia famiglia una cifra invereconda per un corso di tre mesi in Germagna, che non giustifica assolutamente il livello linguistico acquisito, sono felice di aver fatto questa esperienza. Mi sono divertita veramente tanto, a parte il fatto che ho perso 15 kg in un mese e mezzo pur nutrendomi di cioccolata e Kinder Uberraschung in un momento in cui ero effettivamente già magra di mio e non ne avevo alcun bisogno.
E mi sono persino riproposta di tornarci. Ed infatti l'ho fatto, col Gig, qualche anno fa, in un indimenticabile settimana di passione in cui riuscimmo a: 1. spendere due stipendi alla H&M; 2. ubriacarci di brutto in un biergarten bellissimo e buttare quasi giù un muro costruito coi boccali di birra per cercare un appoggio per legarci le scarpe; 3. farci mangiare la tessera bancomat che era anche carta di credito perchè, da ubriachi fradici, non ci ricordavamo il PIN, subito dopo aver preso la sbornia al biergarten ed aver attentato al muro di boccali.

L'unico rimpianto che ho è quello di non essere stata a MUUURRRRRNAAAAAUUU.
Ci andremo, me lo sono ripromessa. Ma col treno.

domenica 6 dicembre 2009

Malattie gravi e terapie nonnesche. Mai farsi cogliere impreparati.

In questo periodo di grande aridità bloggica, mi sono accorta che questo blog non si autoaggiorna come per magia ma che devo mettermi lì e scrivere. Acciderba, una bella fatica per una povera donna incinta con mille cose a cui pensare.



E comunque, siamo malati.

Abbiamo la tosse. Da tempo immemorabile.

E dico abbiamo, perchè sebbene io goda di discreta salute a parte emorroidi, reflusso gastroesofageo (che mia suocera ha tentato di curare a colpi di bagna caoda, santa donna), una strana irritazione intorno alle narici e altri disturbi di cui non parlo, è come se io fossi parte del Nano e lui fosse parte di me, quindi se salta il pasto NON ABBIAMO MANGIATO, se non dorme NON ABBIAMO DORMITO, insomma, 'ste cavolo di amenità mammesche di stacippa.



I rimedi che ho scelto per lui ovviamente non vanno bene.

E sono combattuta, da un lato c'è mia madre con il suo sistema 3L e dall'altro mio suocero con lo sciroppo di rapa.



Spiego brevemente.

Il sistema 3L consta di tre fasi fondamentali: la prima, denominata LANA, consiste nel vestire con moltissimi strati di maglioni di lana, calzamaglie, calzini, il povero infante, che deve assumere improvvisamente 4 taglie in più per via dell'imbottitura. Ci si può fermare solo quando la temperatura corporea supera quella di fusione dell'uranio. La seconda fase, denominata LATTE, consiste nel somministrare al Nano imprigionato nei maglioni parecchie dosi di latte, facciamo anche un litro e mezzo al giorno, fino a che non dimostra disagio fisico cacandosi addosso, perchè non dimentichiamo che oltre il 60% della popolazione mondiale è intollerante al lattosio e così pure mio figlio. La terza fase, quella decisiva, è la fase LETTO. La fase letto, come potrete capire dal nome, consiste nel tenere a letto un treenne.

Ahahaha, facile eh? Una cazzata veramente. Munitevi di lettini di contenzione, di quelli con le cinghie. Mica facili da trovare, da dopo la legge Basaglia se ne trovano in giro soltanto in certe strutture per anziani dove non fareste ricoverare manco vostra suocera. Altrimenti ipnotizzatelo con i teletubbies in loop.

Pare facile, ma non lo è.



L'altro rimedio collaudatissimo da mio suocero (che non dimenticate, era quello che suggeriva di strofinare con la grappa le gengive del bambino alle prese coi primi dentini), è il miracoloso sciroppo di rapa. Lo sciroppo di rapa, come suggerisce il nome, è un estratto di rapa trasformato in sciroppo attraverso non so quale misterioso processo (che a pensarci bene non voglio manco sapere), attraverso il quale un quintale e mezzo di rape producono un decilitro di liquido denso dal colore opalescente.

Avete presente il sapore delle rape? Buone, vero?
Vero che se vi dicono "immagina una cena in un ristorante elegante" e vi mettete a visualizzare le pietanze che desiderereste ardentemente mangiare, vi vengono in mente le rape? Succede sempre anche a me. Ma la cosa che mi piace di più in assoluto dello sciroppo di rape prodotto dalla premiata ditta Adorati Nonnini, è immaginare Nonna Mimetica che rimesta nel pentolone, magari senza dentiera, con la sigaretta in bocca in quella posizione particolare che assumono tutti i fumatori quando hanno le mani occupate, ovvero cicca sul lato del labbro e occhio chiuso, cosa che la farebbe somigliare ad una specie di Braccio di Ferro. Un'immagine di un romaticismo unico, alla quale amo pensare quando mi sento minacciata dagli eventi di questo mondo.

Ecco, lo sciroppo di rapa si presenta in un barattolino piccolo, o in una bottiglietta da succo di frutta, che un tempo contenevano altre cose. Questo packaging è FONDAMENTALE per garantire al consumatore finale (in questo caso, il water) la garanzia che il prezioso elisir di gioventù (o giovinezza, scegliete a seconda se siete di destra o di sinistra) sia effettivamente fatto in casa dalle sante manine di una nonna premurosa.
Una volta che avrete questa garanzia inderogabile, aprite il barattolo ed accostatevi le narici. Di cosa sa? Non ha importanza. La cosa importante è che VE NE LIBERIATE. Somministratelo dunque in un'unica dose al water di casa, oppure se disponete di un pozzino biologico a portata di mano, potete gettarlo lì e dimenticarvene.
E mi raccomando, quando i suoceri si informeranno telefonicamente del fatto che lo sciroppetto abbia sortito un risultato, simulate entusiasmo per questo prodotto - anzi - questo MEDICAMENTO del tutto naturale, emanazione diretta del principio omeopatico della Rapa Communis, e comunicate loro che sta sortendo i miracolosi effetti tanto agognati. Infatti il vostro w.c. continuerà a splendere di biancore porcellaneo, e vostro figlio non vi odierà per averlo costretto a buttar giù qualcosa di realmente disgustoso ed inavvicinabile.

E mi raccomando, sappiate essere creativi.
Quando vostra madre vi chiederà le tre fatidiche conferme allo stato di effettiva applicazione della terapia, ovvero "gliel'hai messa la lana?" come no, mamma: una pecora intera.
"Gliel'hai dato il latte?", certo, gli stiamo tenendo la bocca aperta, il Gig tiene fermo l'imbuto ed io provvedo a versare; "Ma il bimbo è a letto?" certo che sì, è nel suo lettino con la pecora di cui sopra. Speriamo solo che faccia effetto l'antipulci.
Speriamo.

giovedì 22 ottobre 2009

La cannibala

"Mammaaaaaaa, c'era un MOTTLO in camera! Non posso dormire."
"Ma no, tesoro, ma cosa dici. I mostri hanno troppo da fare per venire a mangiarti."
"No, no, c'era. Anzi, erano tanti e mi cchiacciavano "
"Come ti schiacciavano?!"
"Sì, con un piedone tutto puzzoloso."
"Ma io li plendevo e li buttavo tutti via lontano, poi li mangiavo tutti."
"Ma dai. Accipicchia, Nano, che finaccia hai fatto fare a quei poveri mostri."
"Sì, sono tutti qui, nella pancia. Li ho mangiati. Come hai fatto tu con il FLATELLINO"

Già, perchè avevo dimenticato di dirlo: per febbraio è atteso un altro di quegli uccellacci bianchi che spesso recano nel becco dei pacchettini apparentemente inoffensivi, ma dall'alto potenziale atomico.
Arriverà in planata, e sarà un altro maschio.

La mia vita futura sarà totalmente priva di cose rosa, mollettine per capelli, barbies e soprattutto senza quelle cacate dei miominipony.

Viva il futuro! Abbasso le Winx!

martedì 1 settembre 2009

Ai don spic inglisc

E' mattina di un martedì d'estate, e la Lupina si trova in una piazzetta cementata al 93% della sua superficie totale, sulla quale incombe una totemica costruzione in legno su cui si arrampicano torme di infanti sudati.
Dalle panchine circostanti, nonne e mamme brandenti succhi di frutta e panini, creano un sottofondo musicale che suona come un mantra nella calura agostana: non correre, non sudare, stai attento che si cade, stai attenta che ti strappi il sottanino.

Un bambino abbronzatissimo, la cui coordinazione fisica è seconda soltanto a quella di Luca Giurato, si arrampica in maniera maldestra sulla complessa costruzione lignea, su cui qualcuno ha scritto misteriose frasi rituali quali viva la topa e mario perchè non mi cachi?.

Una graziosa bambinetta sui due anni si avvicina al bambino-Giurato di cui sopra, e fissandolo negli occhi intensamente, gli comunica qualcosa in bambinese stretto.
Lui la guarda stranito, lei gli sorride. E sgancia una serie di parole a caso e senza senso.
Si guardano di nuovo, e lui conclude:
"Io non pallo LINGLESE"

E se ne va.

lunedì 3 agosto 2009

Delirio serale

E' sera. Lupina esce dall'ufficio e si avvia verso la macchina, lasciata in un luogo lontanissimo nel parcheggio del camping.
Ad un certo punto scorge di spalle un uomo, che porta al guinzaglio un cane nero.
Egli non è l'uomo del post precedente, no. Egli è un uomo ben fornito di capelli grigi, sulla sessantina, ed indossa una lunga canotta beige. E, cosa peraltro curiosa, per uno strano scherzo di rifrazione della luce, pare non portare mutande.
"Ah ah che buffo," pensa Lupina, " ma guarda che strani scherzi che fanno le ombre! Quella cosa che spunta dalla canottiera sembrerebbe un culo peloso, ah ah!"
E mentre Lupina si avvicina a passo veloce per raggiungere la macchina ed evitare di morire di fame lì nel parcheggio, l'immagine che si materializza sotto i suoi occhi è proprio quella.

Sì. Quella di un uomo capelluto che porta tranquillamente a spasso il suo cane.
Senza mutande.

domenica 26 luglio 2009

Imperatori romani. Una storiaccia di cani.

E' pomeriggio inoltrato. La calura è soffocante, Lupina da dentro la sua postazione-acquario, osserva intorpidita il paesaggio campeggistico semi deserto.
In realtà, solo chi la vede da fuori può pensare che stia osservando.
In realtà, ella si è dipinta due occhi sulle palpebre, ha appoggiato il mento sulle mani, e dorme.

Ma ad un certo punto, un campeggiatore turba il suo placido sonno di receptionist mentalmente assenteista: un pensionato smagliettato, con pantaloncini optical che ricordano tanto la pavimentazione dei bagni delle sue scuole elementari, si avvicina con fare deciso alla sua postazione.
Nonostante gli accidenti e le parolacce espresse solo a livello mentale, Lupina si scuote dal sonno profondo, e si appresta a dare udienza al gentile utente.
"Buongiorno signorina!"
"Buongiorno, Signor Campeggiatore Anziano e Senza Maglietta. In cosa posso esserle utile?"
"Ha visto entrare qui una coppia di giovani con un cane giallo?"
Lupina è imbarazzata. Vorrebbe confessare che stava dormendo, ma teme ritorsioni lavorative, e si informa meglio.
"Ehm, veramente non ci ho fatto molto caso... ma quando sono entrati?"
"Adesso! Come ha fatto a non vederli?"
"Ma.. io veramente... ehm, stavo guardando lo schermo del computer... dovevo fare una cosa, ehm, ero un po' distratta"
"Non è possibile, sono passati ADESSO"
"Ehm, effettivamente forse li ho visti, ora che mi ci fa pensare, solo che ehm, non ci ho fatto molto caso"
"Ecco, quei due lì sono due DELINQUENTI!"
"Accidenti, cosa hanno combinato?"
"Ha visto quel cane giallo brutto, un po' marroncino, grosso enorme con una capocciona così?"
"Ah, sì" mente Lupina, "l'ho visto, certo."
"Lei mi deve dire come si chiamano, io vado dai carabinieri , li devo denunciare!"
Si inchina sotto il bancone, e riemerge brandendo sotto l'ascella un kalashnikov a forma di cane-topo, il quale comincia a mitragliare un'abbaiata stridula fastidiosissima: "Vede questo povero canetto mio? Quel cane giallo brutto ha tentato di mangiarlo!"
"Su, i cani non mangiano gli altri cani! Si saranno magari un po' azzuffati"
tenta Lupina in modalità esperta cinofila, "sa come sono i cani, quando si vedono si annusano un po' il sedere, e se non si piacciono si abbaiano"
"Ma quel cane lì è un DELINQUENTE!" insiste il signore smagliettato, minacciandomi col topo, "Ci ha aggrediti fuori dal supermercato! Mi ha fatto cadere in un'aiuola, ho sbattuto il sedere per terra per salvare il povero canetto mio (Lupina comincia a sospettare che il kalashnikov si chiami proprio Povero Canetto Mio, vista l'insistenza) dalle grinfie di quel cagnaccio! Ma non finisce così, io li denuncio! Però lei mi deve dire come si chiamano."
"Ah no, questo proprio non posso. Anche perchè non so chi siano, abbiamo 300 piazzole con un migliaio di utenti, non posso ricordarli tutti."
"Ma magari si ricorda il cane. Aveva un nome che avevo già sentito... un nome strano... un nome... da imperatore romano!" esulta il padrone del Povero Canetto Mio.
"Si chiamava... mmh, non mi viene in mente."
Lupina fa uno sforzo sovrumano e tenta: "Ehm, Nerone?"
"Nono, in un altro modo"
"Traiano?"
"No, no, che Traiano. Era proprio un altro nome. Da imperatore romano, ha presente?" ribadisce il Signore Smagliettato.
"Boh, Cesare... Tiberio? Marco Aurelio? Diocleziano?"
"Noooo, un altro nome! Mi aiuti!"
Lupina vorrebbe dire al Signore Anziano che fino ad ora gli imperatori li ha detti tutti lei e lui nemmeno uno, e che sta facendo uno sforzo sovrumano per ricordarseli, ma si contiene.
"Romolo Augustolo? Pertinace?" Fine dei nomi. Non gliene vengono in mente altri.
"Nooo" risponde seccato il padrone del Povero Cane Mio. Momento di pausa.

"Ecco come si chiamava! " mi annuncia trionfante, "Si chiamava BIRILLO!"



A volte mi chiedo se ho le visioni, o se qualcosa in quello che mangio quotidianamente è avariato.
Forse ho un pallino di grasso che mi preme una vena nella testa.
Boh.

martedì 21 luglio 2009

Maschilismo

C'è un bambino che gioca sul pavimento della cucina.
In una mano stringe una mietitrebbia, nell'altra un furgoncino rosso marca Renault, uguale uguale a quello dell'adorato zio S. Il bambino parla a voce alta, a due voci: una profonda e virile (o almeno ci prova) appartiene al guidatore della mietitrebbia, l'altra, stridula e chioccia, all'autista del furgoncino.

"Signora, fammi passare." dice la voce profonda
"Non posso, mi si è fermato lo furgone!" risponde la vocetta. Chissà come mai il Nano, quando mette l'articolo determinativo alla parola furgone, gli viene fuori questa roba che sembra italiano medievale, o dialetto marchigiano.
"Mi importa una sega, signora, io ciò da andare a lavorare! E muoviti, befana!"

Mi sa che devo fare un bel discorsetto ai guidatori di auto di sesso maschile della mia famiglia. Mh.

mercoledì 15 luglio 2009

Conversazione in Toscana

Come alcuni piccoli lettori ricorderanno, Lupina per sei ore al giorno vive in un acquario, munito di finestrella che si affaccia sulla libertà e sull'infinito.
Sul davanzale di questa finestrella, si appollaiano svariate tipologie di avicoli: molte galline, qualche galletto, diversi piccioni, polli mugginesi e talvolta, perchè no, qualche cappone.

Nel campeggino-pollaio comunale, una volta a settimana, si organizza una serata danzante che riscuote un successo impressionante tra i piccoli abitanti del villaggio: coloro che sono adusi vivere dalla mattina alla sera in costume da bagno e lardi al vento, d'improvviso si immergono negli armadi e ne escono azzimati, truccati, impomatati e ricoperti di glitter. Le signore in sovrappeso prediligono ovviamente la roba aderente e i veli, dimostrando che il buon gusto è davvero un fatto personale (ovviamente non loro). I mariti, dal canto loro, non possono rimanere indietro: e allora vai coi completi di lino con giacca a quadri, rigorosamente spaiati. Qualcuno indossa cravatta, altri più coraggiosi persino il cappello tipo panama.
La serata danzante è ambitissima dai nostri clienti. Le aspettative sulla qualità dell'orchestra e del repertorio sono altissime, e non è raro raccogliere lamentele la mattina dopo.

Questo accadde a Lupina alla vigilia della festa.

C'è questo ometto che arriva a giugno, bianco come un cencio.
Questo ometto è pensionato, porta al mare i nipoti nelle prime ore del mattino, e già il secondo giorno assume il suo tipico colore da gamberone arrostito, segno che i solari che usa non sono di buona qualità oppure che il sole del primo mattino non è così innocuo come dicono.
Lupina, se vede questo signore vestito e non ustionato, non lo riconosce.

"Buongiorno, bella donna!"
"Salve, signor Arrostito. Mi dica pure" . Così si leva velocemente dai coglioni, pensa Lupina, che ciò da leggere gugolniùs
"Senta un po', ma lei è libera stasera?"
"Temo di no, caro signore"
"Ma lo sa che c'è la serata danzante, vero? Lei lo balla il tango?"
"Io? Certo che sì" mente Lupina, "solo che ho male ad un'articolazione e non riesco a fare bene le figure"
"Suvvia, con quello stacco di coscia! Lei è nata per il tango, se lo lasci dire da un tanguero!"
"Caro signor Arrostito, lei più che un tanguero mi sembra un bel tànghero. E poi il mi' marito non mi ci manda, è gelosissimo". Lupina pensa al Gig e alla Playstation, e a quella volta che si mise il bikini e la minigonna di quando era ventenne, i tacchi da mignotta, si cotonò i capelli e gli annunciò: ora vado a battere sulla Statale Aurelia, se hai bisogno fammi uno squillo al cellulare, e il Gig rispose senza neanche voltarsi MPGR (classico nitrito da Playstation), comprami le sigarette.
"Ma nooo, signoraaa, lei si deve rassegnare: il tango è il suo futuro, dia retta a me."
"Ma mio marito è un energumeno di due metri perennemente incazzato, con due avambracci grossi come bottiglioni da 5 litri. Io non ci scherzerei tanto, sa."
Lupina spera di aver così scoraggiato il corteggiatore sgradito.

"Dica a suo marito di non preoccuparsi: ho 68 anni, mi hanno operato due volte alla prostata e sono inoffensivo.
La aspetto stasera alle 21.00 alla pista da ballo: si metta in nero, che le sta bene"

martedì 7 luglio 2009

La sublime arte dello spannolinamento

Tecnicamente, la cosa è molto facile: si prende un nano di due anni e gli si spiega che la cacca e la pipì vanno fatte nel vasino, e che da adesso in poi il pannolino verrà utilizzato soltanto in orario notturno. Fine.

Poi, la pratica, è tutt'altro che semplice.

Prendete una Lupina con pochissimo tempo libero, che si riduce a fare la spesa alla Coop alle 19.30 di un martedì. Prendete un Nano che alle 19.30 non ha ancora fatto la cacca, ed è stato tartassato tutto il giorno da una nonna apprensiva e ansiosa con frasi coniate ad hoc (hai fatto la cacca? Ti scappa la cacca? Ti verrà mica in mente di fare la cacca? Come mai non hai fatto ancora la cacca?), et voila, il gioco è fatto.
Prendete ancora la sopradescritta mamma con poco tempo libero ed un carrello zoppo ripieno di derrate alimentari, spinto in un parcheggio strapieno nonostante l'ora tarda, ed un Nano che si fa improvvisamente taciturno e pretende di scendere dal sopracitato carrello claudicante. Prendete un Nano che, di botto, si ferma e dichiara: Al Nano scappa la cacca. A questo punto, la Madre Snaturata si sente in dovere di indagare:
"Ma quanto, amore di mamma? Ti scappa un pochino solo, vero?"
"No." decreta serio il Nano. "Al Nano scappa fotte fotte."

Ecco. Bene.

I casi sono due: 1. si torna di corsa nel supermercato, caricando di fretta e furia le buste della spesa (contenenti anche due preziose scatole di Magnum Algida, alimento dal quale dipende il benessere psicofisico del Paterfamilias e di conseguenza l'armonia familiare), si entra nel bagno pubblico e si tenta di non contaminare le chiappe naniche con un'asse del cesso su cui proliferano batteri grossi come gatti persiani, sorreggendo i suoi 15 kg con la sola forza di mani e reni per un tempo indefinito; 2. si sfida la sorte e si corre a casa, col rischio di compromettere definitivamente l'atmosfera salubre e benefica dell'abitacolo della Twingo, nonchè il seggiolino di sicurezza in dotazione, con macchie indelebili e odore sempiterno di discarica abusiva.

Mentre Lupina visualizza entrambe le scene, e si rende conto di non avere una mente abbastanza pronta per decidere quale delle due strade prendere, il Nano dà finalmente un suggerimento: "Il Nano si mette qui in un angolino e fa la cacca, mamma"

E in men che non si dica, si cala la mutanda con tutto quanto il pantalone, e si accinge a fare la cacca accucciato in uno spartitraffico.


A tutti coloro che leggono questo blog.
Se oggi pomeriggio intorno alle 19.40 vi trovavate a passare di fronte alla Coop di una cittadina balneare sulla costa toscana, ed avete notato una donna spettinata vestita di rosso, che vigilava su un bambino accucciato per terra, con il viso rosso e concentrato, sappiate che non ero io ma un'altra mamma con un altro bambino.

E se per caso attraversando la strada di fronte a quel supermercato, avete messo un piedino in fallo ed avete calpestato una cacca molto simile a quella di un cane, sappiate che avete maledetto il mammifero sbagliato.

venerdì 29 maggio 2009

Un simpatico regaluccio

Grazie a Facebook, abbiamo ritrovato l'amico C, con somma gioia e gaudio da parte nostra, dato che lo credevamo perduto per sempre nelle nebbie del nord.
L'amico C è un simpatico spilungone trentenne, single, perfetto casalingo. In questi cinque anni ha imparato a far da mangiare in maniera sublime ed è diventato un maniaco dell'ordine e della pulizia. Ha una magnifica casa ordinatissima, fa bucati perfetti ed impeccabili, si stira in maniera maniacale le magliette e non perde un capello manco a tirarglielo con le pinzette da ciglia.
Quindi diciamo che questo potrebbe anche essere un messaggio promozionale: lettrici single del mio blog, fateci un pensierino.
Fine del messaggio promozionale.

L'amico C ha pensato bene di approfittare del primo ponte disponibile per venirci a trovare. Il Nano lo ha adorato da subito, ed ha provveduto a ribattezzarlo Cristo, giusto per creare quel sottofondo musicale di preoccupazione andante per il suo avvenire ormai certo di alto prelato vaticanense.
L'amico C ha pensato bene di rimpinguare l'arsenale di giocattoli con rottura di coglioni incorporata già in nostro possesso con un cadeau che ci ha fatto rabbrividire lungamente: è finalmente approdato in casa nostra il temutissimo Coso Giallo, sotto forma di tenero e morbido pupazzo.
"Ce l'avevamo già, però" afferma sgomenta Lupina, omettendo di dire che l'altro Coso Giallo è stato prima investito con la macchina, poi dato in pasto al pit bull dei vicini.
"Ma questo è particolare: è interattivo!" esclama gioioso l'amico Cristo.
Sticazzi, pensa allarmata Lupina.

E così fu.
Il Nano ha giocato per 24 ore quasi ininterrotte con questo coso informe che canta Sono un bell'orsetto/cicciotto ma perfetto/ ciondoloooo/dondoloooo/ mi trovo giù per terraaaa.
E mio figlio, scellerato, gli risponde.
Coso Giallo: Ciao amico, mi abbracci per favore?
Nano: Non posso, ola guaddo i cartùn
Coso Giallo: Facciamo un gioco?
Nano: T'ho detto di no!
Coso Giallo: Facciamo un gioco?
Nano: Ola no. Che gioco?
Coso Giallo: Facciamo un gioco?
Nano: Che gioco?
Coso Giallo: Ciao amico, fammi il solletico al pancino!
Nano: Nooo, ola vollio fale un gioco!
Coso Giallo: Facciamo un gioco?
Nano: OOOOOH, allola???
Coso Giallo: Sono un orsetto/che ama il vento/se mangio il miele/sono contento
Nano: Ma non è gioco, è cansone!
Coso Giallo: Facciamo un gioco? Mi stringi forte?
Nano (spazientito): No, ola ti picchio con la tlomba!
E afferrando una tromba di plastica, lo riempie di mazzate fino a che il Coso Giallo non resta a terra esanime
Ma dopo qualche minuto..
Coso Giallo: ...Facciamo un gioco?

Il Nano adesso dorme il sonno del giusto, il Coso Giallo invece no.
Ha deciso che deve cantare e svenire sul fianco, per poi ritirarsi su e ricominciare a cantare.
Che poi non ha neanche una brutta voce, solo che il repertorio non è abbastanza vario e forse forse preferivo il povero Mino Reitano, che cantava una canzone sola ma almeno con grande partecipazione e sentimento. Invece questo canta a casaccio, il testo fa schifo e soprattutto dice frasi insensate e poi sviene. E poi si ripiglia. E ricomincia.
Non riesco a trovare lo sportellino delle pile.

Adesso vado ad informarmi sulla salute psicofisica del pit bull dei vicini, sia mai che si sente un po' solo...

mercoledì 27 maggio 2009

TACC

Oddio, oddio, oddio.

Avevamo perso per via i Peppi, non so se qualcuno di voi ricorda. E francamente, considerando l'enorme angoscia linguistica in cui ci hanno lanciati, non ne abbiamo sentito troppo la mancanza.
Anzi, io madre orgogliosa di Nano possessore di una certa capacità linguistica, li avevo relegati tra quelle storielle che si raccontano per mettere in imbarazzo i bambini quando crescono (sì, dai, quelle cose carine che i genitori raccontano agli amici a tavola il giorno della tua comunione, oppure alla grande riunione di famiglia per Natale (ti ricordi quando la Fulvia si cacò addosso all'ipercoop? e cose del genere, un toccasana per l'autostima dei pargoli).
Insomma, i Peppi si erano volatilizzati nell'etere, e noi si stava dimolto ma dimolto bene.

Fino a quando...

Che fino a quando, ma che cacchio sto scrivendo. Fino a STASERA.

Il Nano mangiava tranquillo al suo tavolinetto da scapolo. I riccioli castani gli adornavano il volto, gli occhi socchiusi sorridevano vaghi, in una di quelle espressioni sognanti da cherubino caravaggesco davanti alle quali io e il Gig proviamo dei veri e propri moti di commozione, che se non fosse che abbiamo la verve di due cenci bagnati, ci si metterebbe d'impegno a produrre un milione di Nani solo per averne uno uguale.
Ad un certo punto l'angelo bellissimo di bontà alza il capino e declama: "Vollio TACC!"
Un soffio di terrore ci attanaglia. Deglutiamo all'unisono.

Tento timidamente: "Amore, vai a prenderli da solo"
Lui si alza, si dirige verso un punto della cucina, comincia a frugare nella cesta dei biscotti montessoriani (cioè, non è che esistano dei biscotti montessoriani, diciamo che sono biscotti normali messi ad altezza nano, così che si possa strafogare in santa pace ed accumulare adipe precocemente, così come da tradizione squisitamente familiare), e poi decreta: "TACC 'un c'è. Vollio TACC!"
Il Gig azzarda: "Le Tic Tac?"
Il Nano gli lancia uno di quegli sguardi che farebbero cascare le mutande alla Hunziker e le forerebbero pure il pallone. "Noooo, quelle sono CABALELLE! Io vollio TACC"
Ossignore. Aiuto.
Chiamo mia madre con l'interfono, dato che si è pregiata di tenerci il Nano per quattro lunghissimi meravigliosissimi giorni di fuga romantica, sia mai che TACC siano arrivati mentre noi eravamo in tutt'altre faccende affaccendati.
"Passamelo un attimo", mi fa.
E li sento confabulare al telefono per qualche secondo.
"Portamelo giù, so cosa sono i TACC" dichiara Nonna Ansia in modalità psicologa infantile.

Dopo dieci minuti, mia madre mi richiama. Il sottofondo musicale della chiamata sembra un brano di Luciano Berio, ma se si ascolta bene è in realtà un pianto modulato di voce nanesca in falsetto, che pronuncia ad libitum la frase vollio TACC! vollio TACC!
"L'ho portato davanti alla credenza, ed ho aperto tutti gli sportelli. Gli ho chiesto: sono qui i TACC? e lui NO. Ho aperto anche il frigo e il cassetto dove tengo lo spago, gli ho fatto vedere tutti i sottopentola, gli ho dato le mollette per chiudere i pacchi di pasta, ma lui è ancora qua che piange e chiede i TACC. Gli ho aperto persino la scarpiera."
"Mamma, la scarpiera? Ma TACC è una cosa che si mangia, mi sembra ovvio!"
"Eh lo so, ma magari TACC voleva dire TACCHI..."

Finisce che me lo riporto su coi lacrimoni, e per fortuna che ci sono le lucciole di questi tempi, perchè è solo grazie alla morte di alcune di loro (Signore, pietà! Cristo, pietà!) che il Nano riacquista il buonumore e dimentica definitivamente i TACC.

I TACC vengono archiviati.

Peccato che non appena rimettiamo piede in casa, il Gig pensando di fare cosa buona e giusta, con voce carica di tutto l'amore paterno del mondo chieda al Nano: "E allora? Li abbiamo trovati alla fine questi TACC?"

E' stato messo a letto in condizioni pietose, ho dovuto scaricare tutto il contenuto dei cestoni dei giocattoli nei nostri letti, col risultato che domattina ci sveglieremo con tanti bei cofani di macchinine stampigliati sul deretano.

I Peppi son tornati sotto forma di TACC, e più incazzati che mai.
Prevedo giorni bui.

lunedì 25 maggio 2009

Compagni di viaggio. Cinque anni dopo.

Era da tanto che avevo questo buchetto nel cuore. Da cinque anni sentivo lo spiffero uscire, sapevo che ci saremmo dovuti tornare, prima o poi.




Siamo planati sulla piana veneta infinita esattamente come l'avevamo lasciata: da fidanzatini snanati (entrambi senza fede per l'occasione), con un'utilitaria risparmiosa, con pochissime cose dietro, giusto una valigia con l'indispensabile. E forse manco quello.


La piana è più o meno la stessa: qualche vigneto, un paio di ipermercati, capannoni-capannoni-capannoni, di nuovo vigneto, qualche trattore guidato da un omino minuscolo, pochi alberi e una gran calura. Quasi un plastico del Subbuteo.


Che poi questa pianura ti assassina l'anima. Specie d'estate, quando i filari si rincorrono a picco sotto il sole, e non hai neanche il conforto di un albero, ma solo quegli stecchi col pennacchio, piantati a distanza regolare, che non fanno ombra manco a piangere. E se cammini per la campagna, come qualche volta ho fatto io per riuscire a capire cosa provasse Goffredo Parise quando scriveva quelle belle pagine, ti rendi conto finalmente che la terra è tonda, e ti stupisci a pensare di che teste a pinolo sono stati gli abitanti del mondo a non accorgersene. C'è voluto un genovese con tre caravelle e un gran trabagai di roba per capirlo, e invece bastava dare un'occhiata a certe pianure sotto il sole, per capire che ad un certo punto tutto digrada dolcemente, che non c'è spigolo alla fine, ma ancora superficie.


Su questa superficie ho camminato per lungo tempo, fino a cinque anni fa.


Eravamo partiti animati dalle migliori intenzioni, scappando da una Torino che ci avvelenava coi suoi miasmi. Era l'estate del 2003.


Non avevamo nulla. Neanche il letto. Ma dormire sul pavimento di marmo della nostra casa, in quell'estate di caldo folle e di blackout non ci dava più di tanto fastidio. Il gelo delle mattonelle era la nostra consolazione.


Sono tante le cose che ho infilato in un baule, molte meno di quelle che si affastellano nella mia mente l'una sull'altra, come fascicoli di un'enciclopedia: il furgone che ci avevano prestato per il trasloco, con le sue tendine rosse a pois che davano un po' troppo nell'occhio, tanto che la polizia ci fermava di continuo scambiandoci per zingari; i viaggi fatti sotto il sole, con una radio che mangiava le cassette e contro la quale bestemmiavamo tutte le volte; una circumnavigata folle, da Livorno a Pietra Ligure a Treviso, fatta in 4 giorni, in cui trovammo il tempo di caricare mobili, fermarci a mangiare focaccia e a dormire da un'amica, e poi ripartire carichi come muli di oggetti e speranza verso una piana di promesse; i miei sforzi disumani per trasformarmi da umanista in ragioniera, io che coi numeri ci ho litigato da piccola e che ho sempre osservato di sbieco e con sospetto, ma che alla fine hanno sortito il loro effetto trasformandomi in una ragioniera-umanista, che forse è pure qualcosa in più.


E poi la scoperta della bicicletta. Il ferro vecchio che a Torino non potevo usare, perchè non mi avrebbe portata da nessuna parte se non al cimitero. E non come visitatrice occasionale.


La bicicletta che qui, in questa zona collinare della Toscana, equivale a spargere sudore in salite improponibili, là sulla piana si trasformava in mezzo di pieno piacere, quasi uno scivolare lieve della gomma su piste ciclabili infinite. E ogni tanto fermarsi a bere da una fontanella pubblica, che sì, son minchioni forte quando se la prendono coi culattoni e con gli extracomunitari, però quando hai sete perchè hai pedalato forte sotto il sole ti rendi conto che qualcosa di buono quei camiciari hanno fatto. Giusto questo, però. La bicicletta mi ha fatto scoprire che a primavera i viali si colorano di bianco e di fiori di tiglio, una cascata che ti resta nei capelli come i coriandoli di un carnevale fuori stagione, che annusarli è bello, e che passare in mezzo a quella catasta profumata è come essere una specie di Mosè in un mare di profumi, che ti schizzano d'intorno come due masse. E passarci in mezzo è un po' un non pensare, una di quelle cose belle che ti colpiscono alla nuca solo quando sei piccolo, perchè da grande già non le vedi più con la stessa mistica innocenza.


Mi ricordo di quando, da operai alle prese col primo lavoro capitatoci tra le mani, facevamo il turno di notte. Era un lavoro orribile, abbrutente. Io poi per questo genere di cose, ripetitive, mortali, prive di senso, non ci sono proprio portata. La mattina alle sei uscivamo dalla fabbrica, e le prime nebbie già ci spiavano da dietro i tetti. A casa, seduti nella nostra cucina, aprivamo il frigorifero e mangiavamo un toast. E nonostante da mezzanotte alle sei del mattino fossimo stati lì a spostare pezzi, nel fracasso e nella puzza della fabbrica, con la fatica del lavoro fisico ancora tutta addosso, nei capelli e attaccata ai vestiti, avevamo ancora voglia di ridere e di mangiare e di volerci bene, perchè bastava un toast ed una luce gialla -di quelle tremende da tinello,per intenderci- per farci sentire felici e a casa.


Rivedere i miei vecchi posti, perchè anche se per poco ma lo sono stati, mi ha dato un colpo di grazia. Non mi ero resa conto di poter tornare indietro e ritrovare esattamente lo stesso posto.


Il pittore, per riprodurre la realtà, si deve fare coraggio e la deve scomporre. La vita ci ha fatto un grande regalo: non abbiamo dovuto perderci nella mente, fare questo sforzo.


I nostri nomi, dopo cinque anni, erano ancora lì sul campanello. A ricordarci che questo nostro muoverci nel mondo ha lasciato una traccia.


Fino al prossimo affittuario.

Dedicata al Gig, che ogni tanto perdo per strada ma che ritrovo sempre: che resti sempre al mio fianco come l'Uomo che Guida, il cui profilo in controluce ha mille sfondi da finestrino, che mi ha spesso seguita, qualche volta preceduta, ma che più spesso è stato al passo in questa strada lunga che ci vede compagni.

Di viaggio e di vita.


domenica 3 maggio 2009

Metodo anti occhiacci

Potevamo stupirvi con effetti speciali. E invece, nisba.

"Nano, non ci si comporta così! Non si danno gli spintoni agli altri bambini, è una cosa brutta. Stai attento, che altrimenti ti faccio gli occhiacci"
E il Nano, trionfante: "Ma tatto io non ti guaddo, ah ah!"

Bene. Adesso ho finito gli escamotage coercitivo-educativi. Qualcuno ha un piano B da riciclare?

giovedì 30 aprile 2009

Il dono della parola.

Erano le otto e mezzo del mattino, ed una Lupina scarmigliata guidava una Twingo sulla strada che portava all'asilo nido. Seduto sul suo seggiolino rosso e nero, un Nano altrettanto scarmigliato sproloquiava a casaccio, mischiando il comprensibile con l'incomprensibile. Come Umberto Eco.
"TuMamma*, guadda, un dallello spacollito!"
"Eh, già. Proprio un bel dallello."
"Nooo, TuMamma, bello non è!" risponde un Nano scandalizzato, "Il dallello è butto butto, tutto pussolato!"
"Sai che a riguardarlo bene hai ragione? E' proprio spussolato!"
"TuMamma, si lice pussolato!"
E via così, tra faticosi esercizi linguistici e la scarsa attitudine lupiniana alla comprensione del testo, che pure a scuola era un vero cesso in questo genere di cose e pigliava fischi per fiaschi.

Ad un certo punto, la strada si stringe. Automobili in doppia fila con le quattro frecce accese ingombrano il passaggio, ed un vigile imbolsito fa attraversare i ragazzini, diretti a scuola.

Una signora anziana, su una panda bianca vecchio modello, aspetta qualcuno. E' ferma con due ruote sul marciapiede, i suoi capelli sono una nuvola biondo-menopausa. Il Nano le capita proprio accanto, e se la ritrova a fianco del finestrino.

"TuMamma, chi è quella VECCHIACCIA?"
Lupina non riesce a rispondere, perchè è impegnata a ridere.
Il Nano arriva da solo alla giusta conclusione: " Ah, sì, capito tutto: quella VECCHIACCIA è nonna N!"

E a proposito di lingua e di grammatica, seguiranno alcuni esempi di periodo ipotetico.



Se il finestrino fosse stato chiuso, la vecchiaccia in questione non avrebbe sentito.

Se mia nonna lo venisse a sapere, finiremmo entrambi diseredati, perchè secondo la saggezza popolare, quando il piccino parla, il grande ha già parlato.

Se la sottoscritta avesse fatto a meno di lamentarsi di un figlio poco incline alla dialettica, adesso non si ritroverebbe con un pericoloso ripetitore di irripetibili termini con la facoltà di usarli nel momento peggiore.

E adesso, chi si azzarda ad accettare un invito di Nonna N, col timore che il piccolo di famiglia la chiami vecchiaccia?

* TuMamma è il mio nuovo appellativo, datomi dal Nano. Ricorda un po' iPod, iPhone, iTunes...

venerdì 24 aprile 2009

Imprinting

Sono le 15.30.

Sotto il sole di aprile, un uomo alto e biondo guida un mezzo pesante. E' un lavoro di responsabilità, complicato, pieno di insidie. Per poterlo fare bene, occorre una grandissima concentrazione, tanto senso pratico, una certa esperienza, ma soprattutto la capacità di saper cogliere ed individurare i problemi al loro insorgere.
L'uomo alto e biondo è uno che ama fare le cose bene, altrimenti è meglio non farle, dice lui.
E mentre è lì che lavora alacremente per il bene della collettività, l'uomo alto e biondo canta.
E canta e va e va e va/ la pecorella al bosco/ che cosa c'è in quel bosco/ c'è l'erba per mangiare...

Contemporaneamente, una casalinga a mezzo servizio sbrina il frigo alacremente. Ha 34 anni e mezzo, i capelli ricci, una casa abbastanza incasinata che viene comunemente indicata col nome Il Lupinaio. Per velocizzare le operazioni di rimozione di forme di vita aliena, si aiuta con un palettone di legno da fritture, e mena delle gran legnate staccando frammenti di stalattite ghiacciata.
E mentre è alle prese con l'iceberg, la casalinga a mezzo servizio, canta.
E canta ecco arrivare i Barbapapààààà/ che sono poooooooi /papà e mamma Barbapààààà...

Nello stesso preciso istante, due giovani nonni in gamba si trovano nella camera da letto della casa al mare. Lui è un energumeno di quasi due metri, con un bel barbone come quello del nonno di Heidi, e sta verniciando il soffitto. Sotto di lui una nonna occhialuta e ansiosa regge la scala con una mano, mentre con l'altra sorregge un secchio con la vernice.
Ed entrambi cantano alternando le strofe e le cicaaaaaaaaleeee / cicale cicale cicaleeeee/ e la formicaaaaa /invece non ci cale miiiiiicaaa...

Contemporaneamente, un Nano di due anni e mezzo è sdraiato per terra bocconi. Con una mano fa marciare un camioncino, nell'altra stringe una macchinina blu e simula un incidente.
E mentre gioca, canta sooooo/ soiutinchiuchenteeeeeeell/ evenfrommeeeeeeell /bluscaisfrompeeeein...

Dicono che gli esseri superiori, quelli che hanno raggiunto un maggior grado di consapevolezza, sono in grado di influenzare le anime più semplici.

Mah.

giovedì 16 aprile 2009

Una tenera storia della buonanotte: il Nano e il Gatto Nero.

C'era una volta un gatto nero, che si faceva i cazzi suoi tutto il giorno e se ne stava bello spaparanzato al sole fino a che le tenebre non scendevano inesorabili su questo nostro mondo. A quell'ora, tutti i nani del globo venivano messi a letto.
E al gatto nero venivano le voglie più strane: perchè non andare a fare la pasta sulla pancia di un tenero nano addormentato, dopo aver masticato tutto il giorno cavallette e ciondolato pigramente tra le crocchette e il cibo umido?

E così, varcava la soglia della camera in cui una madre stanca tentava di addormentare un nano.
"Miaoow!" esclamava il gatto nero.
"Ciao Fililico, come va?" chiedeva il Nano premuroso.
"Meow maw" rispondeva il felino, baciando appassionatamente la testa del Nano.
"Gassie del bacio, Fililico, ola vai".
"Meooowwwwpurrr purrr purr" rispondeva il gatto, continuando a baciare il Nano.
"Senti Fililico, ola vai via che il Bibbo cià da dommile."
"Meowwwpppppprrr"
"Vai via, c'è un pipittello ti baggia!"
"Purrrr purrrr"
"Quetto motole mi dà noia, vai via gatto Fililico!" cominciava a spazientirsi il Nano.
"Puuuuuuuurrrr puuuuuurrrr purrrrr" rispondeva il gatto, cominciando a fare la pasta.
"Ola vene la polisssia, vai via gatto Fililico!"
"Puuuuuurrrr purrrrr puuuuurrr purrrr"
"Ola vene i calabileli e ti sghidano!"
"Purrrr purrrr puuuuuuuuuuurrrrr!" rispondeva il gatto, strafregandosene dell'intervento della Forza Pubblica e continuando imperterrito a tirare ritmicamente i fili della coperta (li mortacci sua, aggiungeva la madre preoccupata per il benessere fisico della sua trapunta).
"Maaaammaaaa, il gatto Fililico mi bacia, gli pussa la bocca! "

Alla fine, il gatto attraversò la stanza volando, la madre chiuse la porta, le tenebre si impadronirono della camera da letto.
E tutti vissero felici e contenti.

Meno che il gatto Federico che, sentendosi incompreso nello slancio emotivo, per vendetta pisciò sul tappetino del bagno.

Fine.

mercoledì 15 aprile 2009

Ancora cuccioli!

Il Nano, solita scatola da scarpe piena di formiconi e bestiacce non identificate: "Mamma, ci sono tutti i cuccioli!"
Lupina: "Sono i tuoi amici?"
Nano "Sì"
Lupina: "Che dolce Amore, ma cosa ci fai con tutti quegli animalini che porti a casa?"
Il Nano, rovesciando la scatola per terra e saltandoci sopra: "Li SCHIACCIO".

Ecco. Cretina io a chiedere.

sabato 11 aprile 2009

Il Pigiama Giallo

Io sono una donna di duplice personalità.
Di giorno sono in un modo, di notte in un altro. Non pensate che nasconda frustini e guepiéres nel cassetto.
Nel mio cassetto c'è di peggio: c'è il Pigiama Giallo.

Il Pigiama Giallo fu il frutto di un acquisto sconsiderato, fatto un pomeriggio di un paio di anni fa. Il Pigiama Giallo appartiene al mio passato di cicciona, e come tale è di almeno otto taglie superiore alla mia attuale, con lo splendido risultato di farmi sembrare un canotto bucato che si è andato a schiantare su uno scoglio.
Infatti io, come indosso il Pigiama Giallo, assumo anche la postura adeguata: mi crollano le tette, i pantaloni mi si arrampicano spontaneamente lungo i fianchi e si fermano sotto le ascelle, assumo immediatamente un'aria arruffata e scomposta, e cambio pure voce. Il Pigiama Giallo tutto può e tutto fa.
Il Gig si accorge della presenza del Pigiama Giallo sul mio corpo anche solo sentendomi al telefono. Basta un mio tono di voce, perchè io col Pigiama Giallo divento una casalinga posseduta dal Demonio, mi incazzo come un bufalo per le minime cose e divento incontenibile. "Ti sei messa di nuovo quel pigiama, eh?", mi chiede il Gig con aria sconsolata, di fronte ai miei deliri telefonici.
E' talmente terrorizzato che da un po', per minacciare il Nano quando scaraventa per terra la sua collezione di dvd, gli dice Guarda che ora arriva la mamma col Pigiama Giallo!, e il Nano poveretto, che ha già capito esattamente come funziona il mondo, aziona la tubatura del piano superiore, sfoggia la sua faccia più terrorizzata, e comincia a recitare la litania Nooo, pizama zallo nooo, palula!

Il Pigiama Giallo è quanto di meglio si riesce a trovare in commercio di questi tempi in fatto di pigiami antierotizzanti e deprimenti. Se volete dare una svolta alla vostra vita troppo piena di amanti e di erotismo, adesso sapete come fare.

Probabilmente è stato disegnato da uno stilista che amava gatti e fiori e taschini e toppine e righe. E il giallo. E infatti ha creato questo pregevole capo di pronto-moda accozzando a caso tutte queste cose: il Pigiama Giallo ha delle toppine applicate, con disegno di gatti e vasi da fiori, scritte in inglese che non si capisce cosa vogliano dire (so sweet is the tender dark night in the forest with the pouring rain, mah. Messaggio in codice?), reca dei fiori in lana sintetica fatti all'uncinetto, ha una miriade di taschini per preservativi, vibratori, attrezzi per succhiar via il moccio dalle nari dei lattanti, fazzoletti di carta, passaporto e carta di identità, patente e libretto. Ci sono scomparti segreti che devo ancora finire di scoprire, roba che Geimsbond se li sogna pure di notte. Se cerco bene, sono sicura che trovo anche la fiala di cianuro da schiacciare tra i denti per sfuggire alle torture degli interrogatori del KGB.
Insomma, è un pigiama pacchiano. Provate ad immaginare tutte le cose che vi ho elencato qua sopra, appiccicate ad una maglia oversize a righe giallo chiaro-giallo scuro, che sovrasta un paio di pantaloni che andrebbero perfetti ad un elefante del Circo Orfei.

Qualcuno si chiederà, giustamente, ma come mai lo hai comprato? Ma allora sei cretina veramente!
Ecco, bella domanda. Non lo so che mi è preso quel giorno.
Io non mi spiego questa cosa.
Sono entrata nel negozio di biancheria per comprarmi un accappatoio nuovo, e sono uscita con le solite pacchettate di tris di mutandoni da anziana signora, e questa scatola contenente il famigerato Pigiama. La prima volta che me lo son messo, mi andava perfetto. La mattina dopo la prima notte di Pigiama Giallo, mi sono macchiata col caffè. Praticamente mi sono rovesciata una tazzina addosso, e pure bollente, mi sono ustionata lo spazio tra le tette e macchiata irrimediabilmente tutto il pigiama. La macchia non se n'è più andata del tutto, ma un'ombra marroncina è rimasta lì a segnalare l'inzio della mia fine di donna pigiamizzata di fresco.
L'ho lavato a 40 gradi con ampia spalmatura di Smoll sulla macchia, l'ho steso al filo, e lui si è trasformato: una volta asciutto, è diventato largo e smollato, ed ha assunto la forma inquietante che ha adesso. Il giallo è diventato smorto, le cuciture hanno ceduto. Uno schifo.

Io non so cosa ci fosse in quel caffè. Forse il Pigiama si è offeso, pensava che data la sua bellezza e il suo valore artistico, forse avrei avuto cura di lui e lo avrei indossato solo per le notti di passione. Forse non avendo abbastanza tono muscolare per strangolarmi nottentempo, ha deciso di abbrutirsi per farmi sentire in colpa. Forse, più subdolamente, ha pensato bene di rendermi inguardabile per rovinare irrimediabilmente quel poco che resta della mia vita sessuale.
Insomma, fatto sta che da quando c'è il Pigiama Giallo, il Gig scappa terrorizzato, il Nano piange, i gatti mi evitano e pure io mi faccio un po' schifo.
Ed io che mi chiedevo come mai dopo la nascita dei figli non si tromba più.

sabato 4 aprile 2009

Viva i cuccioli!

È ormai un fatto accertato.
Il Nano ha dei geni balenghi.
È un Addams, non ci piove.


"Mamma, guadda, ho tovato dei cucccccioli!" mi comunica il Nano, porgendomi orgoglioso una scatola da scarpe.
"Davvero, Nano? Che bravo, fammi vedere"
Apro la scatola, e noto con orrore che ospita una quantità imprecisata di formiche, uno strano insettaccio tipo scarafaggio-cimice, due lumaconi sbavanti ed un enorme ragno.
"Vitto belli, mamma, quetti cucccccioli?"
"Amore santo della mamma, non sono cuccioli, sono insetti ripugnanti e lumaconi sbavosi. Rimettili dove li hai trovati!"
"No, mamma" mi comunica con la lacrima a pelo di ciglia il povero Nano deluso, "tono cuccccccioli belli belli, guadda" ed afferra il ragnone peloso, tentando di appiopparmelo.
"Amore, metti via quel coso."
"Ma è un cuccccciolo!"
Primo tentativo. Approccio scientifico lupiniano.
"Amore, i cuccioli sono gattini, cagnolini, coniglietti. Questi sono insetti e gasteropodi, e a dirla tutta fanno anche abbastanza schifo. Perchè non ridai loro la libertà, lasciandoli in giardino?"
"NO!"
Tento l'approccio psicologico.
"Ma avranno nostalgia della loro mamma! Lasciali tornare a casa!"
Il Nano pare colpito. Mi guarda pensieroso. Ma poi decide.
"NO!"
Approccio coercitivo e minaccioso.
"Lascia andare immediatamente quelle bestiacce, o te ne pentirai!"



Da stasera abbiamo dei nuovi cuccioli in giro per casa.

I lumaconi sono stati riacciuffati per ovvi motivi tecnici, e rispediti in giardino via finestra. Non sono riusciti ad andare lontano.
Ma gli altri cuccioli sono evasi.

Probabilmente il cucciolo peloso con lunghe zampe e quell'altro simil-scarafaggio se la staranno spassando in qualche anfratto, in attesa che la famiglia Lupini vada a letto e diventi facile preda delle loro effusioni notturne dato che i gatti di casa nostra di solito fanno così. Se penso al ragno che viene a farmi la pasta sulla pancia, mi piglia una contentezza, ma una contentezza, che davvero non vedo l'ora di andare a letto, credetemi.

giovedì 5 marzo 2009

Pubblicità progresso

Mamme, sul mercato da oggi c'è un prodotto innovativo ed ecologico per tutte quelle donne stanche di dover ricorrere a mezzi coercitivi per farsi obbedire dai loro pargoli.
Siete stufe di dover rincorrere urlando i vostri bambini tra le corsie del reparto giocattoli dell'Ipermercato, perdendo di credibilità e di savoir faire? Non ne potete più di dover mediare in maniera equilibrata ed assertiva i capricci? Tremate all'idea di incontri mondani a cui i vostri poco rispettosi pargoli dovranno partecipare? Siete sull'orlo di una crisi di nervi perenne?
Bene! Allora sappiate che la moderna scienza pedagogica ha oggi quello che fa per voi, roba da far impallidire la Tata Lucia e strappare vigorose ciuffate di capelli alla Signorina Rottermeier.
Da oggi sul mercato italiano e mondiale un prodotto rivoluzionario alla portata di tutti.
Se siete stanchi degli URLACCI e degli ormai sorpassati ORABASTA, sappiate che da oggi ci sono gli OCCHIACCI!


Sono pratici da portare con se' grazie al minimo ingombro, non consumano batterie e sono totalmente wireless, sono impermeabili e abbastanza resistenti agli urti (la garanzia non copre eventuali cazzotti o gomitate), si possono indossare in maniera molto discreta in tutte le situazioni ed hanno una durata pressochè infinita: è il prodotto definitivo, quello che ogni mamma dovrebbe portare con se'.
Funzionano benissimo con i terrible two, ma anche con i frightening three e con gli aiutoammazzatemi-four, pesano certamente meno di un bazooka da borsetta o di una padella di ghisa per le caldarroste, non hanno bisogno di costosi proiettili e non imbrattano la vostra borsetta di Prada di fuliggine e residui di bruciaticcio.
Gli OCCHIACCI sono disponibili in vari modelli e misure.
Provateli, e vi stupirete della loro efficacia.

OCCHIACCI : ed il pupo è SISTEMATO!

mercoledì 25 febbraio 2009

Sonno, ancora sui rituali. Lo sfiancamento.

Bene.
La favola di Chicco Cacco è totalmente passata di moda.

Lo so, sono monotematica ultimamente, ma a me addormentare il Nano senza la pippa (che è stata riposta definitivamente senza traumi alla soglia dei due anni e mezzo) non mi riesce proprio.
Primo, perchè probabilmente un folletto malefico infila dei pasticconi di anfetamina nel piatto del Nano, col risultato di farlo correre per casa come un cavallo del Palio di Siena, secondo perchè dormire è una perdita di tempo anche per me, quindi capisco perfettamente che sia più interessante per un minorenne il saccheggio sistematico del cassetto delle lampadine nello stanzino.
I tentativi si concentrano più che altro nello sdraiarlo. Non è cosa semplice, il fetente ti illude di essere trapassato ma sul più bello scivola via come un'anguilla, dicendoti sciao, io vado a laborare, e se ne va col librino dei trattori sotto il braccio.
Così, ogni giorno, mi tocca inventarmi qualcosa di nuovo per bloccarlo nel letto. E non è cosa facile, il ragazzo è esigente.

Ma da stasera, ho scoperto il segreto che riduce il Nano ribaldo all'impotenza.
Trattasi di cosa assai semplice ed immediata, alla quale non avevo pensato: l'elenco.
Il potere della noia dell'elenco è una cosa disumana. Fa cascare le braccia a chiunque.
Chi di voi non ha provato a leggere la Bibbia, ed ha rinunciato al capitolo dei Numeri? Vero che fa cascare le braccia anche all'archivista più allenato?
E da stasera, si mette in atto questa strategia, che pare di sicuro successo.

"Amore di mamma, ora ti racconto una storia"
"No, mamma, io ccappo"
"Ma no che non scappi, senti che bella storia che ti racconto:
C'era una volta una lepre ubriacona, che incontrò una volpe ubriacona. E sai cosa fecero? Andarono al bar. E ordinarono un chivas regal, un negroni, un black russian, una caipirinha, una caipiroska, un mojito, un glenfiddich, una pinha colada, un manhattan dry, uno screwdriver, una tequila sunrise, un alexander, un banana daiquiri, un bloody mary, un bellini, un gin fizz, un irish coffee, una super tennents, una leffe, una corona..."

Il Nano non è arrivato neanche ai liquori da donna. E' stato un successone.
E domani sera il Nano ribaldo troverà sul comodino l'elenco telefonico della provincia di Treviso del 2003, che è l'unico che possiedo attualmente per una serie di curiose motivazioni che non starò a scrivere.

Sempre che non sia in coma etilico.

venerdì 20 febbraio 2009

La favola di Chicco Cacco

Ecco una favola allegra e gioiosa, lievemente minacciosa e molto poco montessoriana, che il Nano adora ascoltare.
Solo che raramente arriva al finale: o si è pesantemente addormentato, oppure se n'è già andato a farsi i cavoli suoi.
Comunque la voglio fissare qua per futura memoria, e anche per ispirare tutte quelle mamme che vedono la conquista del vasino e delle funzioni corporali come una cosa ancora lontana all'orizzonte.

Si prega di non leggere, se deboli di stomaco o molto suscettibili.


C'era una volta un bimbo, che si chiamava Chicco Cacco, che si faceva sempre la cacca addosso.
Un giorno la mamma, esasperata dalla spesa mensile per i Pampers, lo minacciò con una padella: "Guarda Chicco Cacco, ora questa storia deve finire: o ti attrezzi e cominci a fare la cacca nel vasino, o altrimenti ti prendo a padellate!"
"No, non se ne parla. La cacca me la faccio addosso, e se mi togli il pannolino non la faccio più!" rispose Chicco Cacco indispettito.
"Guarda, Chicco Cacco" lo avvertì la mamma spazientita, "è molto pericoloso reggere la cacca: ti può scoppiare la pancia!"
"Pfui!" rispose sprezzante il ribaldo Chicco Cacco. "Questo è da vedersi."
Passa un giorno, e Chicco Cacco comincia ad avere un po' di mal di pancia. Diventa tutto rosso e si apparta in un angolino.
Passa un altro giorno, e Chicco Cacco è ancora nel suo angolino, ha la sudarella ed è diventato tutto blu. Non riesce più a giocare, non guarda neanche la televisione, concentrato com'è a reggere la cacca.
Passa un altro giorno, e Chicco Cacco non riesce più a giocare, è tutto sudato ed è diventato di un bel color verde petrolio, gli si annebbia la vista e comincia ad avere le prime visioni.
Allora la mamma, preoccupata, gli dice: "Chicco Cacco, guarda che adesso scoppi! Devi fare la cacca nel vasino, altrimenti rischi davvero di sparpagliarti in mille pezzi nell'etere."
"No, mamma io non v BAAAAAAAM!
Ma Chicco Cacco non fa in tempo a terminare la frase, che gli scoppia la pancia e i suoi pezzi si sparpagliano nell'Universo.

FINE.

lunedì 9 febbraio 2009

Stella stellina

Stella stellina
la notte si avvicina
la mucca traballa
la fiamma è nella stalla

Dormi bambino
che mamma ha bevuto il vino
non si ricorda la filastrocca
ha gente a cena e gli gnocchi in bocca.

Stella stellina
la mucca si avvicina
la mamma si avvinazza
il babbo si imbarazza.
Son cotte le crespelle
son pronte le padelle
l'arrosto è nel forno
manca solo il mio ritorno.

Stella stellona
non puoi fare il cattivo
interrompere la cena
già dall'aperitivo!

Chiudi gli occhietti belli
ho la roba sui fornelli
chiudi gli occhietti santi
a quest'ora già dormono tutti i lattanti.

Stella stellina
la notte si avvicina
non ti do il camioncino
non ti gonfio un palloncino
non si salta nella vasca
non si fruga in questa tasca
non arriva Babbo Natale
non si gioca col guanciale
non si mangia la cioccolata
ora ti do una martellata.

Ogni scusa è quella buona
oggi mamma non perdona
dormi bene piccolino
vado a bermi il mio quartino
questa sera tu ti arrangi
non importa se poi piangi.

Tu fai pure il tuo teatrino
non mi incanti signorino
tu fai pure la tua danza
tanto son nell'altra stanza
fai il burlesque, fai il vaudeville
Io ti lascio ad Estivill

giovedì 29 gennaio 2009

L'aiutante di Straccioman

E' da una settimana che Straccioman sparge quasi invano i suoi batteri spaziali su di noi. Tutto avvolto nel potere del pile, è diventato intoccabile per le botte di scossa elettrica che dà e si medita di utilizzarlo come fornelletto ammazza-zanzare la prossima estate, così finalmente si riesce a cenare sul terrazzo in santa pace. Le mitiche ciabatte Sleddog, foderate di un pile che non ce l'hanno nemmeno nei paesi artici, sono state sostituite da un paio nuovo, recante la scritta University De Fonseca. Che se sapevo che esisteva, mi iscrivevo lì invece che a Pisa, davo una bella tesi sulla fenomenologia della ciabatta, e magari a quest'ora avevo anch'io il mio bel posto fisso in una grande azienda al servizio del consumatore.

Il Gig ha scoperto un nuovo hobby. Non bastavano i Carcass e i Napalm Death a far casino in questa casa.
Adesso va di moda la tosse. E mica una tosse normale.
Sembra di essere in un rifugio per cani, nel quale è stato introdotto un gatto che continua a passare e ripassare davanti alle gabbie.

La carbocisteina di cui si irrora copiosamente gli fa un baffo. Son giorni che non riesce a mangiare, un po' perchè sputa tutto e non riesce ad inghiottire, un po' perchè ci sono i cavolini di Bruxelles in offerta alla Coop e diciamo che mi sono fatta un po' prendere la mano, tanto che quando si apre il frigo in casa nostra bisogna far attenzione alla roba che rotola giù e sparisce sotto i mobili, dove resterà anni a mummificare.
Straccioman è un supereroe strano, ma ne ho già parlato in abbondanza in passato. Ma quello che non ho detto, è che come il più celebre Bat Man, anche Straccioman ha un aiutante, come il famoso Robin: è di media altezza, ha i capelli bianchi, gli occhiali ed un bel pancione. Ma chi è? chiederete voi, Babbo Natale? Perchè in effetti dalla descrizione potrebbe pure sembrare.
E invece no. E' un pensionato dell'Enel.
E' Nonno Asl.

Nonno Asl ci fa visita quotidianamente per farci il riassunto della puntata di Elisir sulla tubercolosi e sul broncospasmo che ha videoregistrato e che si riguarda ogni tanto, per ripassare l'argomento Affezioni gravi delle vie respiratorie. E ci informa molto gentilmente che stiamo per morire, che il nostro destino è segnato, che dobbiamo prendere lo sciroppo.
Che il nostro medico curante è un caprone, perchè non ci prescrive mai nulla, e ci lascia rantolare così, come cani, senza neanche il conforto di un miserabile antibiotico.
E ci porta le medicine di sua iniziativa. E ci consiglia una serie di ottimi rimedi: sciroppo di rape confezionato dalle sante manine di nonna Mimetica (oops, scivolato per disgrazia nella spazzatura, acciderba, come è potuto accadere?), sciroppi per la tosse di svariate qualità e dimensioni e colori, che adornano in maniera raffinata ed elegante l'armadietto dei medicinali. E quasi quasi mi dispiace che sia tutto rinchiuso lì dentro.
Però a pensarci bene l'aiutante del Gig non è proprio un vero aiutante, perchè un aiutante serio non teme così tanto il contagio, ma si lancia nelle fiamme per portare soccorso al suo compagno Straccioman.
Invece Nonno Asl ha una fifa blu di ammalarsi. Come percepisce la classica goccia al naso, corre a mostrare le terga ad un infermiere e si fa sforacchiare le chiappe per evitare di prendersi l'influenza, e in questi giorni ci viene a trovare ma non osa varcare la soglia, spingendo le medicine che così amorevolmente ci compra attraverso la soglia di casa col piede o con il manico della scopa per spazzare il terrazzo.

E comunque, Nonno Asl è convinto che col nostro comportamento disgraziato faremo morire il Nano. Non lo curiamo abbastanza, ha sempre il moccio al naso ed un rantolo da far spavento. E attenzione, che la sua nonna ha avuto la tosse da piccola, non si è curata ed è morta novantaseienne con questa tossaccia che l'ha tormentata tutta la vita.
Novantaseienne.
Mah.

sabato 24 gennaio 2009

Marcello

Stasera i rituali della nanna ci hanno traditi. E Chicco Cacco no, e stella stellina no, e le canzoni no, e la storia del cane Tippe no, e nemmeno Ernestino Rompitutto. Niente, non c'è stato verso.
Ad un certo punto me lo sono ritrovato al bordo del letto con una frusta di acciaio per sbattere le frittate, e la brandiva a mo' di clava tentando di centrarmi la testa.
"Eh no, caro mio", gli ho detto caricandomelo sotto l'ascella come una baguette, "ora si va a letto a fare la nanna", e l'ho trascinato molto estivillianamente in camera da letto.
Ho tentato di convincerlo sfruttando il principio dell'emulazione: siamo tutti a letto, tutti quanti. Adesso anche tu devi dormire. Concetto semplice.
"Chi è a letto?" si informa il Nano malfidato.
"Babbo Gig è a letto (ammalato). Nonna Ansia e Nonno Alzheimer sono a letto (in realtà sono al ristorante, ma perchè dirglielo?). Zia Magui e Zio Shibode sono a letto (non è vero, sono in giro a godersi gli ultimi respiri di vita da DINK), Nonno Asl e Nonna Mimetica sono a letto. Come vedi, siamo tutti a letto."
"Acche zia Babbi?"
"Anche zia Babbi." confermo io.
" E zio Caota?"
"Anche zio Carota."

"... e MARCELLO?"
Marcello? E chi cazzo lo conosce?

domenica 18 gennaio 2009

I rituali della nanna

Non c'è niente da fare, per crescere sani, forti e cazzuti occorrono dei rituali, specie al momento del trapasso nel regno di Morfeo, cosa che tutte le mamme moderne ed abbonate a Essere mamma oggi sanno benissimo.
Da un po' di tempo abbiamo anche noi i nostri rituali della buonanotte, come insegna il buon Estivill, amorevole medico senza figli e totalmente digiuno di come li si allevi. E noi gli crediamo ciecamente.

Il raggiungimento dell'ora fatidica della Santa Nanna coincide in genere con funesti barcollamenti da parte del Nano, e con molti discorsi privi di senso in cui la creatura bella di mamma vaneggia su svariati argomenti rigorosamente non pertinenti con la nostra vita familiare, del tipo mamma, c'è un gaccone motto goscio, oppure metti le pette, mamma? babbo edde garradaddo cutelle, vitto?
Il livello di incomprensibilità delle frasi di solito è direttamente proporzionale al sonno. Se sussiste ancora qualcosa di comprensibile, non si deve assolutamente procedere alla pigiamizzazione e al lavaggio dentale, in quanto il soggetto potrebbe non essere pronto e cominciare a dare di matto calpestandomi la faccia e battendo violentemente la testa contro il bandone della testata del letto.
Non appena il giusto livello di sonno viene raggiunto, il Nano viene condotto nel vicino gabinetto, gli viene consegnato lo spazzolino da denti già carico della giusta quantità di dentifricio, e lasciato a se stesso, perchè il vero maschio cazzuto i denti se li lava da sholo. E' importante anche vigilare che il dentifricio non sia a portata di mano, per evitare lunghe scie tricolori e tubolari sul pavimento di cotto, che poi si toglie a bestemmie, gli anni passano e le mamme imbiancano.
Poi si procede allo strip tease, che introduce alla successiva pigiamizzazione. L'operazione viene di solito eseguita dal Gig, che intervalla l'operazione di vestizione con il salto del Nano, la disciplina olimpica del futuro: il Nano viene sollevato verso l'alto a velocità folle, mentre il Gig si procura bicipiti e tricipiti alla Lou Ferrigno, senza dover pagare l'abbonamento a qualche palestra della zona e soprattutto senza dover sottostare all'umiliante rituale della doccia collettiva.
Dopodichè, si dorme.
Arriva la mamma, che nel frattempo si è messa comoda con pigiama anticoncezionale o camicia da notte antistupro, ci si infila sotto le coperte e si procede all'addormentamento.
L'addormentamento può sopraggiungere in due maniere: a secco (ovvero in silenzio perfetto, il mio metodo preferito perchè così posso dedicarmi alla lettura), a messa parlata (ovvero con favola, e rigorosamente partorita dalla fantasia della mamma, che quelle preconfezionate non piacciono. Per ora abbiamo Le avventure di Chicco Cacco e La storia del Cane Tippe e ci bastano), o la temutissima messa cantata.
Se capita la serata della messa cantata, son dolori.
"Mamma, canta"
"Cosa devo cantare, tesoro santo della mamma?"
"Mamma, canta"
"Puoi darmi un indizio?"
"Canta!"
"... Pippi pippi piiiiippi, che nome fa un po' rid..."
"NO! Canta!"
"... nella cantina di un palazz.."
"NO, MAMMA, CHELLA NOO!"
"Amore, ti prego, dammi almeno un'indicazione, fai mmmmmmh e fammi almeno capire che melodia è?"
"Pippa!"
"Amore santo di mamma, la pippa è qui!"
"No, chella pippa!"
"La pippa c'è, è sempre qui, non si è mai mossa"
"NOO, CHELLA DELLA PIPPAA!"
"Ahh, e che cavolo! Ma tu vulive 'a pippa, 'a pippa, 'a pippa..."
"Batta pippa!Ora tutti i gatti"
"Nella cantina di un palazz.."
"Ora batta tutti i gatti, cassone dell'ovo"
Chissà poi perchè la chiama canzone dell'ovo. Mistero.
"Alouette, gentille alouette.."
"Ora batta, mamma. Ora canta il bimbo..."
Inutile dire che l'addormentamento rituale cantato ci spaventa a tutti quanti.
Può andare avanti per ore e non portare a nulla. Può anche generare un Nano ipercinetico che scende dal letto come una furia e va a giocare con il parco mezzi d'opera.
Molto spesso l'epilogo è un Nano sveglio come una lucertola e una mamma beatamente addormentata in un lettone, con un Gig che urla Basta! dalla stanza accanto e un gran treppicare di piedini sul pavimento.

E menomale che abbiamo anche noi i nostri rituali della nanna. Senza di essi, saremmo una famiglia finita.

venerdì 9 gennaio 2009

Nano-music

Come sono intelligenti, i bambini, rispetto a noi.

Perchè lasciare in vita tutte quelle brutterrime canzoni per bambini, che tediano le nostre esistenze di genitori e ci costringono a fare viaggi in macchina di 4 ore e passa al ritmo di Il gatto puzzolone e Cicale e tu lì a cantare mentalmente tutti gli album di Nick Cave per sopravvivere allo scempio, quando se ne può fare comodamente una sola?
Il Nano ha risolto con Il Gatto Campanaro, un pezzo medley che raccoglie tutte le canzoni più tremende del nostro repertorio casalingo.

Il Gatto campanalo Din don dan
(inintelligibile) Pussolone issapone
Pippi Pippi Pippi
(inintelligibile) fa po' lidele
Din don dan tutti i gatti
ma tutti tutti i gatti (e la parola gatti viene evidenziata pronunciandola a volume altissimo e con un'espressione alla Vascorossi incazzato)
Sicale sicale sicaaaaaale
mello del cattello vola e va
Fatelli d'Itallllia
l'Itaaaaalllia TEDESCA...

Non so se prendere queste performances del Nano come un brillante prodotto della fantasia infantile e della rottura degli schemi di noi adulti, che rinchiudiamo un'unica storia in un fraseggio musicale quando ce ne possono stare di più, oppure se portarlo di corsa dallo psichiatra.

Si ignora la fine del gatto campanaro citato all'inizio della canzone.
Probabilmente si è lanciato dal campanile.

mercoledì 7 gennaio 2009

C'era una volta un bambino. Le cronache ciccione.

C'era una volta un bambino alto e magro, dalle guance smunte e dall'occhio di triglia. Questo bambino sapeva dire solo non piashe, e piluccava stancamente dai piatti bocconi piccolissimi che avrebbero lasciato con la fame anche un muggine.
Questo bambino faceva la cacca una volta al giorno, ed erano sempre delle misere cacatine da capretta dei Pirenei, che rotolavano via dal pannolino e se non si stava attenti finivano sotto i mobili a fare da arbre magique ai tarli.

Una mattina questo bambino alto e magro e inappetente si sveglia, e qualcosa è cambiato: la prima cosa che dice, anzi, che urla con voce fiera e stentorea è TOLLA'!, che in lingua nana significa letteralmente zuppone di latte e biscotti.
Da quel momento in poi, il bambino inappetente è scomparso, per lasciare il posto ad un nano iperfagico e perennemente affamato.
Con il semplice ausilio del seggiolone Tripp Trapp, comoda seduta norvegese che ha permesso a milioni di bambini di pranzare allegramente seduti coi propri genitori e di tagliare la corda di fronte ai cavolini di Bruxelles, si può finalmente arrampicare fino allo sportello del frigo e da quello estrarre roba a proprio piacimento, divorarla allegramente e tornare ad appendersi alle cocche del grembiule materno implorando ancora!
Ed è tutto uno sgranocchiar finocchi, orecchiette coi broccoli, avanzi di frittata, cavolfiore bollito e spinaci gelidi, in un delirio iperfagico, lampeggiando sguardi famelici che non avrebbero di certo sfigurato tra i vampiri di Twilight.
E mentre la mamma e il babbo constatano lo sfacelo devastante della loro cucina, il bambino iperfagico si aggira per casa con una fetta di prosciutto cotto in bocca lunga una spanna, che lo fa somigliare tanto ad un cucciolo di alano.
E le cacche emesse da quel culetto rosa si trasformano in un'imitazione casereccia della tettonica a zolle, con tanto di movimenti tellurici in fase di deposizione.
In una settimana, l'aumento ponderale è di un chilo, le guance diventano due bei meloni invernali, e la pancia assume proporzioni imbarazzanti.
"Io maggio le gabbe del tavolo!" esclama orgoglioso il nuovo bambino, l'Iperfagico.
Alla faccia di tutti quelli che mi hanno consigliato di leggere Il mio bambino non mi mangia.
No, perchè se continua così, va davvero a finire che mi mangia, ma coi vestiti e tutto il resto.