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giovedì 16 dicembre 2010

Lo STROMBO

In principio fu la Femmina.

E la Femmina si truccava, si piastrava i capelli, usava i prodotti giusti.
La Femmina MAI sarebbe uscita con lo smalto sbeccato, il collant smagliato, il tacco sbagliato.
Mai mai mai.
La Femmina si sbiancava i baffi con l'apposita crema, pensando che non si vedessero. Poi una sua amica le fece notare che al sole sembrava Rasputin, e quindi la Femmina, pervasa di furore panico, corse dall'estetista e se li fece pelare selvaggiamente con la ceretta, poi già che ci siamo fammi anche un po' le sopracciglia che mi sembra di essere l'uomo di Neanderthal, un po' di più, fammele più fini, più fini, più fini, più fini - occazzo, ecco, troppi fini, ora sembro un mignottone. Vabbè pazienza, ricresceranno.
La Femmina come spuntava un brufolo si disperava, si chiudeva in casa, correva in bagno e ci metteva sopra l'acquafresh, e se la mattina dopo il fetente era ancora lì, lo strizzava senza pietà.
Ma poi si pentiva per la cicatrice, ohi ohi che dolor, mea culpa mea culpa, mea maxima culpa! e allora ci dava dentro di cipria e fondotinta, ma il bastardo era ancora lì.

La Femmina poi si depilava le parti basse.
Sì, quelle parti lì.
Quelle che insomma. Eh.

E anche le ascelle. ENTRAMBE.

Se vi chiedete il perché di tutta questi maneggi, sappiate che la Femmina li fa per un unico motivo. Ma lei vi dirà che si comporta così perché si sente a posto, perché le piace l'ordine, perché insomma bisogna sentirsi a proprio agio, perché le va così, perché boh.
In realtà, il fine ultimo è quello: trovare un maschio di bell'aspetto e dal corpo proporzionato, che possa garantire alla specie una eccellente prosecuzione attraverso l'atto primario, ovvero l'accoppiamento.
E se il maschio di bell'aspetto e dal corpo proporzionato si è già trovato, i maneggi sono finalizzati a garantire molteplici e soddisfacenti accoppiamenti.

E così fu per Lupina.
Fino a quando non sopraggiunse lo STROMBO.

Lo STROMBO innanzitutto va scritto grosso, non tollera le minuscole. Lo STROMBO ha bisogno di essere nominato spesso.
Lo STROMBO è uno stato di grazia.
O meglio, un colpo di grazia.

Lo STROMBO è quella cosa che a letto, prima di dormire, fa sì che la gamba lasciva del partner si insinui sotto le lenzuola, a cercare quel tepore, quel calore del corpo femminile.
E quel corpo femminile, debitamente ricoperto da pigiama anticoncezionale, si rigira di là e minaccia no eh, non è mica il caso. Buonanotte.

Lo STROMBO è quella cosa che prima pigliavi per il culo la tua amica dopo che aveva avuto il bimbo, perché si era tagliata i capelli in quella maniera inguardabile, poi dopo che l'hai avuto capisci anche tu perché l'ha fatto.
Lo STROMBO è quella cosa che vai all'Ikea per comprare un tavolinetto Lack per il soggiorno, ed esci con il serpentone verde, che è una di quelle cose che tutte le donne incinte o con bambini piccolissimi non possono fare a meno di comprare, e che poi una volta giunti a casa, come per magia nessuno caga più di striscio e diventa un paraspifferi.
Lo STROMBO è quando ti depili il meno possibile, giusto quei baffazzi che escono fuori dal seminato, il minimo sindacale per andare in piscina, e poi ti guardi allo specchio e ti pare di aver fatto anche un bel lavoro.
Lo STROMBO è la bottiglia di profumo intonsa e polverosa sulla mensolina accanto al lavandino, è la calza smagliata rimessa con nonchalance, è uscire con un calzino nero e un calzino blu, è la mamma impietosa che ti rimprovera ma quanto sei ingrassata, ma vai dal parrucchiere, ma come ti conci.
Lo STROMBO è fatto di maglie slabbrate, di pile del marito, di pantaloni con le borse alle ginocchia, di mutande a rovescio di cui ti accorgi dopo 6 ore che le porti perché d'improvviso ti rendi conto che non hai più perizomi nel cassetto, e che quella roba che continua imperterrita ad incastrartisi nelle chiappe è qualcosa di diverso.
Lo STROMBO è quella cosa che ti fa incontrare il compagno di liceo in posta, che ci mette dieci minuti per capire chi sei.
Lo STROMBO è una situazione passeggera, che poi è quello che ti dici davanti allo specchio a figura intera del negozio per consolarti del fatto che la 48 non ti entra più, e nemmeno la 50.

Lo STROMBO è una strana situazione passeggera. Ma strana strana, eh.
Ma quanto cacchio dura, però.

mercoledì 7 luglio 2010

Topless in ufficio. Perché no?

E' un giugno afoso. Lupina ha terminato la maternità, ed è finalmente giunto il momento di rientrare dentro l'ufficio-acquario, dal quale contempla con occhio smarrito il resto dell'umanità che scorrazza felice in costume da bagno (inconsapevole della propria bruttezza, ma questo Lupina è meglio che non lo scriva fuori dalle parentesi, che non è mica tanto messa meglio).

Purtroppo le cose non si mettono bene col Blobfish: la creatura ciclostomica mal volentieri si priva dell'amata puppa, e come il fratello alla sua età, dopo due ore neanche reclama a gran voce l'amata mammella. Viene quindi acquistato un tiralatte, col quale Lupina già un mese prima del rientro al lavoro tenta di tirarsi il latte. Peccato che la puppa lupiniana non sia scema a tal punto da non riconoscere la differenza tra bocca del fanciullo e membrana mezza plastica-mezza silicone, e dopo mezz'ore di tlac-tlac-tlac, si rifiuti di far uscire anche una singola goccia. In compenso il capezzolo si deforma orribilmente durante la pratica, e Lupina alla fine capitola: il Blobfish, grazie al suo carattere amabile e ben poco frignone, verrà caricato in macchina e spostato alla volta del Campeggio.

Cade in questi giorni assolati di luglio, la scadenza della rata d'iccampeggio dei fiorentini, che già da maggio si piantano qua con tutto il pargolame e non si levano dai coglioni fino a settembre inoltrato, recando seco gioia di vivere e grandi ricchezze per noi toscani della costa, rinomati per la nostra povertà d'animo e di denari.
Capita quindi che l'acquario lupiniano si animi di grida disumane di neonato famelico, e capita pure che con impudicizia si sfoggino topless mozzafiato, a solo scopo nutritivo e molto poco di sollazzo. Capita pure che l'Ospite di turno si imbarazzi. Ma a noi, testimonial della campagna allattamento al seno autunno-inverno ma anche primavera-estate, degli imbarazzi non ce ne frega niente e ci mostriamo così come siamo, nudi e crudi nella nostra mammelluta bellezza.

Cliente Fiorentino: "Bongiorno, e son venuto a pagà la rata di'ccampeggio, che tu ce l'hai i' bbancomat?"
Lupina, che sta allattando e quindi ha una delle sue spropositate puppone di fuori: "Certo, mi dia qua che facciamo in un attimo" (così poi si leva dai coglioni alla velocità di una fucilata, ma questo Lupina non lo dice)
Cliente Fiorentino, strabuzzando gli occhi: "Uh diobonino, ma magari torno dopo, visto che sta... ehm..."
Ecco che cala sul Cliente Fiorentino la solita cappa di imbarazzo. Proprio su di lui che faceva tutto il ganzone, è bastata la visione di una orribile tetta deformata con tutte le vene bluastre a fargli passare la voglia di scherzare.
Lupina, con aria stupefatta: "Tornare dopo? E perchè mai? Suvvia, mi dia il bancomat e mi dica a chi devo intestare il pagamento"
Cliente Fiorentino, sempre più imbarazzato: "Ma sa, per il bambino... son cose intime...."
Lupina: "Ma che cose intime, la mi' nonna dava la puppa al mi' babbo direttamente nel campo*, e poi si rimetteva a zappare! Un attimo che le stampo la ricevuta fiscale"

* cosa assolutamente falsa: la mia nonna faceva l'insegnante e non ha mai toccato una zappa in vita sua, ma è un'immagine che in quanto a pathos non la batte nient'altro.


sabato 11 aprile 2009

Il Pigiama Giallo

Io sono una donna di duplice personalità.
Di giorno sono in un modo, di notte in un altro. Non pensate che nasconda frustini e guepiéres nel cassetto.
Nel mio cassetto c'è di peggio: c'è il Pigiama Giallo.

Il Pigiama Giallo fu il frutto di un acquisto sconsiderato, fatto un pomeriggio di un paio di anni fa. Il Pigiama Giallo appartiene al mio passato di cicciona, e come tale è di almeno otto taglie superiore alla mia attuale, con lo splendido risultato di farmi sembrare un canotto bucato che si è andato a schiantare su uno scoglio.
Infatti io, come indosso il Pigiama Giallo, assumo anche la postura adeguata: mi crollano le tette, i pantaloni mi si arrampicano spontaneamente lungo i fianchi e si fermano sotto le ascelle, assumo immediatamente un'aria arruffata e scomposta, e cambio pure voce. Il Pigiama Giallo tutto può e tutto fa.
Il Gig si accorge della presenza del Pigiama Giallo sul mio corpo anche solo sentendomi al telefono. Basta un mio tono di voce, perchè io col Pigiama Giallo divento una casalinga posseduta dal Demonio, mi incazzo come un bufalo per le minime cose e divento incontenibile. "Ti sei messa di nuovo quel pigiama, eh?", mi chiede il Gig con aria sconsolata, di fronte ai miei deliri telefonici.
E' talmente terrorizzato che da un po', per minacciare il Nano quando scaraventa per terra la sua collezione di dvd, gli dice Guarda che ora arriva la mamma col Pigiama Giallo!, e il Nano poveretto, che ha già capito esattamente come funziona il mondo, aziona la tubatura del piano superiore, sfoggia la sua faccia più terrorizzata, e comincia a recitare la litania Nooo, pizama zallo nooo, palula!

Il Pigiama Giallo è quanto di meglio si riesce a trovare in commercio di questi tempi in fatto di pigiami antierotizzanti e deprimenti. Se volete dare una svolta alla vostra vita troppo piena di amanti e di erotismo, adesso sapete come fare.

Probabilmente è stato disegnato da uno stilista che amava gatti e fiori e taschini e toppine e righe. E il giallo. E infatti ha creato questo pregevole capo di pronto-moda accozzando a caso tutte queste cose: il Pigiama Giallo ha delle toppine applicate, con disegno di gatti e vasi da fiori, scritte in inglese che non si capisce cosa vogliano dire (so sweet is the tender dark night in the forest with the pouring rain, mah. Messaggio in codice?), reca dei fiori in lana sintetica fatti all'uncinetto, ha una miriade di taschini per preservativi, vibratori, attrezzi per succhiar via il moccio dalle nari dei lattanti, fazzoletti di carta, passaporto e carta di identità, patente e libretto. Ci sono scomparti segreti che devo ancora finire di scoprire, roba che Geimsbond se li sogna pure di notte. Se cerco bene, sono sicura che trovo anche la fiala di cianuro da schiacciare tra i denti per sfuggire alle torture degli interrogatori del KGB.
Insomma, è un pigiama pacchiano. Provate ad immaginare tutte le cose che vi ho elencato qua sopra, appiccicate ad una maglia oversize a righe giallo chiaro-giallo scuro, che sovrasta un paio di pantaloni che andrebbero perfetti ad un elefante del Circo Orfei.

Qualcuno si chiederà, giustamente, ma come mai lo hai comprato? Ma allora sei cretina veramente!
Ecco, bella domanda. Non lo so che mi è preso quel giorno.
Io non mi spiego questa cosa.
Sono entrata nel negozio di biancheria per comprarmi un accappatoio nuovo, e sono uscita con le solite pacchettate di tris di mutandoni da anziana signora, e questa scatola contenente il famigerato Pigiama. La prima volta che me lo son messo, mi andava perfetto. La mattina dopo la prima notte di Pigiama Giallo, mi sono macchiata col caffè. Praticamente mi sono rovesciata una tazzina addosso, e pure bollente, mi sono ustionata lo spazio tra le tette e macchiata irrimediabilmente tutto il pigiama. La macchia non se n'è più andata del tutto, ma un'ombra marroncina è rimasta lì a segnalare l'inzio della mia fine di donna pigiamizzata di fresco.
L'ho lavato a 40 gradi con ampia spalmatura di Smoll sulla macchia, l'ho steso al filo, e lui si è trasformato: una volta asciutto, è diventato largo e smollato, ed ha assunto la forma inquietante che ha adesso. Il giallo è diventato smorto, le cuciture hanno ceduto. Uno schifo.

Io non so cosa ci fosse in quel caffè. Forse il Pigiama si è offeso, pensava che data la sua bellezza e il suo valore artistico, forse avrei avuto cura di lui e lo avrei indossato solo per le notti di passione. Forse non avendo abbastanza tono muscolare per strangolarmi nottentempo, ha deciso di abbrutirsi per farmi sentire in colpa. Forse, più subdolamente, ha pensato bene di rendermi inguardabile per rovinare irrimediabilmente quel poco che resta della mia vita sessuale.
Insomma, fatto sta che da quando c'è il Pigiama Giallo, il Gig scappa terrorizzato, il Nano piange, i gatti mi evitano e pure io mi faccio un po' schifo.
Ed io che mi chiedevo come mai dopo la nascita dei figli non si tromba più.

domenica 24 agosto 2008

Una barbarie moderna: la ricostruzione delle unghie.

Noi donne non siamo mai sazie di torture.
Non ci accontentiamo mai.
Non bastava la depilazione delle sopracciglia, pratica dolorosissima messa in atto da estetiste prive di scrupoli, non bastava la ceretta completa della zona bikini,che fa tracimare il Tigri lacrimatorio durante lo sbarbamento del bulbo pilifero (e dell'Eufrate in fase di ricrescita del pelo, vogliamo parlarne?), i dolori del parto, lo strizzamento dei brufoli e i bigodini alle ciglia. Ci siamo fatte rinchiudere in confezioni di plastica ozonizzata per dimagrire, piazzare su pedane vibranti a far traballare le cicce a ritmo vorticoso, massacrare da massaggi rassodanti, e adesso pure questa.
Sto parlando della ricostruzione delle unghie, pratica ormai diffusissima che rende l'autostima delle mangiatrici delle suddette direttamente proporzionale al loro spessore ungulare.
L'unghia ricostruita è ormai una realtà. Se non ce l'hai, sei una sciattona.
Il processo di ricostruzione dell'unghia è fastidioso come subire lo schiacciamento delle vertebre da parte di una garrota ben oliata.
Prenoti la seduta e in men che non si dica ti ritrovi di fronte ad una signorina vestita con una tunichetta bianca, che ti scartavetra le unghie su tutta la loro superficie, compie tutta una serie di riti magici con una limettona da evasione carceraria, ti mette una roba che sa di attack sulle unghie e ti lascia inerme a sedere su un panchetto con le mani in un fornetto simile a quello degli hot dog, ti dice "c'è da aspettare un attimo, tu stai ferma qui e non togliere per nessun motivo le dita da lì sotto" e se ne va scodinzolando a telefonare al fidanzato. E tu rimani lì, con le mani nel forno, e in quei minuti interminabili in cui la resina bicomponente comincia a fare il suo lavoro ti pruderà il naso, ti arriveranno insistenti telefonate da un numero privato e ti scapperà una delle più furibonde ed incontenibili pipì della tua vita.
Quando l'estetista ti chiederà "come le facciamo?", non lasciatevi trarre in inganno dal suo aspetto sorridente, liscio e glamour: avrà in serbo per voi un qualcosa di terrificante, che vi farà pentire amaramente di averle risposto fai tu, ed uscirete con le unghie verde pastello con fiorellini sul dito anulare, oppure arancioni tigrate con qualche tocco glitter.
Ben presto, ci renderemo conto che avere le unghie ricostruite è come essere a metà strada tra la strega Bacheca e la focomelia. In poco tempo, tutto quello che prima era una cosa semplice e spontanea si trasformerà in un'operazione impossibile, al limite del consentito: il cambio pannolino rischia di diventare alla stregua di un'operazione chirurgica con probabile squartamento di culi nani; l'uso della tastiera del computer sarà difficoltoso e produrrà un accompagnamento ritmato simile al ticchettio che producono le zampette di uno yorkshire sul parquet, maneggiare oggetti piccoli per compiere operazioni relativamente semplici quali attaccare un bottone ad una camicia ci riempirà di orrore e di buchini.
Insomma, in men che non si dica, ci si ritrova a doverci concentrare anche solo per tirar su una zip. E che dire della innaturale durezza delle unghie ricostruite? Ma avete visto che razza di spessore raggiungono con un semplice strato di gel? Certi spessori mi fanno venire in mente la zampa dell'alce, o quei prosciutti infiocchettati che vengono esposti nelle salumerie nel periodo natalizio.
Si può tornare allo stato naturale delle cose dopo aver ricostruito le proprie unghie? Mmh, direi di no. E' un processo senza ritorno, o almeno così pare.
Quando decidi di togliere via tutto il posticcio, l'estetista glamour se la lega al dito e si vendica, sapendo che il pellegrinaggio mensile con munifica elargizione di 80 euro a botta sta per terminare.
La procedura è piuttosto semplice, ma per vendetta ti mettono nello stanzino più brutto, quello senza condizionatore, e ti lasciano con le dita immerse in una roba che puzza di diluente al nitro. E dopo che tutta la schifezza si è staccata, ti ritrovi con le dita praticamente senza unghie, se non si considera una sottile pellicola opaca che ricopre la cima del tuo dito. La sensazione è orribile.
Ti sfugge tutto di mano, non hai più presa su niente, e ti sembra di essere nuda.
A quel punto, implorerai la tua estetista di rimetterti tutto l'ambaradàn, perchè così non puoi sopravvivere.
Ritornerai a stringere il volante della tua auto con le unghie ricoperte da un sottile strato di brillantini blu, rimirerai le perline appiccicate al tuo dito anulare e ripeterai a te stessa: questa è l'ultima volta.
Ma qualcosa, dentro di te, ti dice che non sarà così.

domenica 25 maggio 2008

Le Grandi Scoperte

Ho fatto una scoperta grandiosa. E mi domando come diavolo abbia fatto io fino ad ora, a destreggiarmi nella giungla della mia ruvida femminilità, senza sapere praticamente niente di questa cosa.

Per tonificare il corpo esistono il Pilates, lo step e l'aerobica, e per tonificare la mente è sufficiente una buona dose di letteratura. Ma per la vagina? No, dico, la nostra parte più intima?

Ebbene, ho scoperto che esiste una ginnastica specifica per il nostro organo riproduttivo. Io di questa cosa non ne sapevo proprio niente. Fortuna che la Badante mi ha illuminata, così adesso anch'io faccio parte dello stuolo di donne fortunate e consapevoli delle proprie muscolature nascoste, che tonificano il proprio pavimento pelvico. Evviva!



Confesso che ho pensato che si trattasse di una roba faticosa. Già l'idea di preparare la borsina da palestra, con gli asciugamanini rosa e le ciabattine, mi spossa. E invece no: pare che non si debba portare la propria vagina in un centro specializzato o in una palestrina, in mezzo a tante altre vagine sudate e depilate (che mi vergognerei pure un po', diciamolo, e forse verrei pure segnalata alla Forestale). La ginnastica vaginale ha un elegante nome da ginecologo tedesco del III Reich, Kegel, e non fa sudare nemmeno un po'.

Consiste nel mettersi lì, concentrarsi e contrarre, rilasciare, contrarre, rilasciare, contrarre, rilasciare. La si può fare dovunque. Adesso, ad esempio, mentre son qua con la mia bella divisa da hostess di compagnia aerea sgarrupata e fingo di rispondere ad una mail, sto facendo la ginnastica di Kegel. Ma potrei anche sfruttare il tempo in cui sto in fila allo sportello dell'ufficio visure del Catasto, oppure mentre scelgo i cetrioli al Sidis, per tonificare il mio pavimento pelvico, se non fosse che dopo un po' il contrarre-rilasciare-contrarre provoca delle smorfie simili a quelle involontarie per trattenere i mal di pancia improvvisi, col risultato di sembrare una a cui scappa qualcosina. Non mi stupirei se la prossima volta in cui faccio gli esercizi di Kegel in pubblico qualche gentile signora mi indicasse la toilette.

"Ginastica di Kegel serve miliorare tuo raporto di seso", mi rivela la collega Badante Rumena.

Il mio rapporto di sesso migliorerebbe già di parecchio se si trombasse, ma questo evito di dirlo, che non voglio far sfigurare il Gig. Che poi è mica colpa sua: diciamo che da quando esiste Il Più Potente Anticoncezionale al Mondo (che poi sarebbe quel coso che assumiamo da un anno e mezzo buono nostro malgrado, che agisce in maniera potentissima sui freni inibitori e che si sveglia sul più bello ululando mammaaa), le occasioni non sono esattamente così frequenti.

"Ginastica di Kegel ha cambiato mia vita", rivela la Badante in un rigurgito di onestà.

Anche la mia vita allora sta per cambiare. Potrò impiegare il mio tempo libero per dare un senso alla mia vita intima. Magari qualcuno penserà che quella ragazza in sovrappeso che fa le smorfie ritmicamente abbia la sindrome di Tourette, ma io saprò che non è così, e guarderò in faccia al futuro stringendo le chiappe e facendogli il gesto dell'ombrello.
E quindi adesso me ne sto qua, buona buona ad aspettare la fine della giornata lavorativa (ore 22.30, porcavacca), stringendo e rilasciando ritmicamente, fino a che qualcuno mi farà notare che oggi sono strana, e che sembra proprio che io abbia qualcosa che non va.
Tzè. E io me la riderò sotto i baffi, oh se me la riderò! Grazie, dottor Kegel. Non è ancora cambiato nulla nella mia vita, dato che sono consapevole dell'esistenza della tua santa ginnastica soltanto da 24 ore, ma mi sento già più donna.

mercoledì 30 aprile 2008

Acquisti.

Il Gig ha avuto un disgustoso incidente sul lavoro.
Alla vigilia di un primo maggio dedicato alle morti bianche, noi lupini non potevamo rimanere indietro, ed abbiamo anche noi preteso la nostra fetta di notorietà sul campo: il Gig è cascato giù lungo in una vasca di liquami. Vabbè, non è esattamente come perdere un braccio sotto una pressa o un occhio per errato utilizzo di sistemi di protezione e prevenzione, però vi assicuro che è una cosa piuttosto spiacevolina. Specie per uno che tende ad essere un pazzo ipocondriaco. Spinto da un impulso nevrotico, il Gig oggi si è rifiutato di andare a lavorare, e così ci siamo goduti entrambi una deliziosa giornata di ferie col Nano. La mattina è scivolata tranquilla sul lungomare, dove, a parte qualche attacco di prurito psicosomatico, possiamo dire di essere stati benino.
Il pomeriggio invece è stato strepitoso.

Dopo tre lunghi anni di rimandi e posticipazioni causa intralci nonneschi, finalmente io ed il Gig ci siamo goduti un lungo pomeriggio di shopping compulsivo senza nani, in territorio straniero.
Mentre il Nano dormiva il suo sonno moccioso e russante da caffettierina Bialetti, ce la siamo data a gambe, abbiamo preso il treno e ci siamo goduti un pomeriggio nella città in cui ho frequentato con scarso rendimento l'università.
Già prendere il treno, per noi, è una cosa strana. Non ci sono più quei bei trenini di una volta, quelli con le immagini ad acquaforte di un'Italia mai vista e quelle poltrone in skai che ti si appiccicano al culo. Non esistono più gli scompartimenti con le rastrelliere e l'attaccapanni di acciaio color bronzo, lo specchio al centro e il tavolinetto sotto il finestrino, ma moderni vagoni con telecamere e display, su due piani come gli autobus rossi britannici, con una voce registrata che annuncia in tono da telefono erotico le varie stazioni. Finalmente certi posti come Ripoli e Ripafratta avranno il lustro che meritano, e noi ne godiamo.
Abbiamo anche notato entrambi con dispiacere che l'utenza di Trenitalia è miseramente scaduta.
Pare che vada molto di moda scaccolarsi e togliersi le scarpe mettendo i piedi sul seggiolino di fronte. Le caccole si possono comodamente attaccare sotto i braccioli delle poltroncine, e perchè vergognarsene diobonino? son frutti del nostro corpo, fan parte di noi, evviva la New Age.
Se si è muniti di lunghe gambe da cavallo come noi Lupini (ma il Gig di più, ovviamente), si è costretti a viaggiare godendosi lo spettacolo delle proprie ginocchia ad un millimetro dalla faccia, mentre quello di fronte a noi, che magari è un microtamarro di un metro e cinquanta scarsi, si prende la sua bella rivincita di gnomo e si sdraia alla facciaccia nostra. Ma noi Lupini gamberoni ce ne siamo fatti un baffo, e siccome siamo più grossi ed incutiamo timore, ci siamo fatti spazio marcando il territorio a suon di sgambettate, ed abbiamo anche avuto modo di leggerci in pace i nostri librini. Tiè.
Oggi, poi, ho avuto una meravigliosa sorpresa: sono entrata in un negozio di vestiti da donna normale, uno di quelli in cui non avrei mai avuto il coraggio di mettere piede, e mi son messa a girellare senza decidermi a provare nulla. Temevo la delusione. Si sa, noi ciccione (o dovrei dire ex ciccione) siamo fatte così.
Poi, alla fine, ho preso un paio di pantaloni ed una camicia di una taglia nella quale davvero non speravo più di entrare, e mi son fatta coraggio: sono entrata in quei cosi tutti bianchi con la tenda, che somigliano a cabine doccia e delle quali serbavo un vago ricordo, e ne sono uscita vestita.
Mi entravano. Dico davvero, sono riuscita ad entrare in una taglia la cui prima cifra comincia col 4. Sì, vabbè, le tette scoppiano ancora un po' troppo per i miei gusti, e forse la parte inferiore del mio busto ricorda ancora una salsiccia esplosa, ma acciderbammè mi entrava tutto.

Sono uscita carica di borsette di carta. Adesso ho dei vestiti da persona normale. Non sono più un lombrico infilato in un tubo di maglina aderente. Le mie forme ricordano ancora quelle di un fiasco impagliato, ma almeno sono un fiasco libero di scegliere una vasta gamma di travestimenti.
A settembre la sister si sposa, ed io spero vivamente di aver perso un'altra taglia. Se per allora avrò raggiunto tale ambito traguardo, temo proprio che diventerò una shophaolic del cacchio e spenderò tutti i miei averi per rifarmi il guardaroba, cosa che davvero non è da me ma che mi dà un grande coraggio.
Evviva! Sarà stupido, ma son proprio contenta.

mercoledì 19 marzo 2008

Dal manuale di contorsionismo domestico: la messa in piega.

Ogni tanto mi viene in mente di farmi del male fisico, e allora mi cimento in una delle discipline sportive più dure dopo l'invenzione del Decathlon: la messa in piega.
Prendete una donna rustica e cinghiala, che ha a che fare tutto il giorno con la sua famiglia ed altri animali*, mettetela alle strette con l'avvicinarsi del primo giorno di un nuovo lavoro, fatele uno shampoo seguito da abbondante balsamo e lasciatela sola in una stanza con un phon, una spazzola arrotondata, un grande specchio e 10 minuti abbondanti di pace domestica, e vedrete cosa succede.

La messa in piega è un'arte subdola e complicata. Innanzitutto occorre avere le giunture mobili e snodate, quindi non è roba per le artritiche: il braccio che brandisce la spazzola deve essere in grado di girare oltre la testa, e quello preposto alla manovra del phon deve essere capace di seguirlo senza essere d'intralcio. Poi bisogna essere preparate a stare in piedi in posizione scomoda, perchè lo specchio e la lunghezza del cavo dell'asciugacapelli hanno rispettivamente la loro posizione nello spazio e non ammettono deroghe. Occorre anche una buona dose di fantasia ed inventiva, perchè non si sa come sia la nuca, e bisogna un po' inventarsela. Detto questo e fatte le dovute considerazioni, si può procedere all'operazione, non senza essersi accertati che il Nano sia custodito altrove in maniera appropriata, non si debba rispondere a telefonate o aprire a postini con raccomandata, avere la sufficiente dose di pazienza e di pinze per capelli.

Ci fu un tempo in cui questa donna era vittima del progresso e della performance, comprava prodotti costosi che promettevano di dare un senso alla sua vita e ai suoi capelli, e ci dava di phon e spazzola. Questo tempo si chiamò era dei capelli lisci, e durò un quinquennio buono.
Poi arrivò il tempo in cui non c'era tempo, e i capelli si lavavano con un prodotto che somigliava pericolosamente al Last al limone in 10 minuti scarsi. I suddetti capelli si animavano di vita propria, ed intrecciavano conversazioni l'uno con l'altro. Le tempie erano il luogo in cui essi amavano litigare , formando una sgraziata lanugine che nessun ammorbidente sarebbe mai riuscito pienamente a domare. Questo fu denominato l'era dei capelli a cazzo di cane.
Qualche anno fa, tornarono in auge i capelli ricci, e la donna ne gioì, anche perchè ciò significava non solo lasciare i capelli liberi di esprimere la loro personalità, ma anche non stare lì ad impazzire per renderli docili e rispettosi del lùcc. Però questa donna non aveva fatto i conti con il riccio destrutturato e mobile che ormai non esisteva più, e dovette armarsi di una specie di trombone da grammofono con i dentini, denominato diffusore, una spazzola apposita e tutta una serie di prodotti spumosi-laccosi-cristallidiluciosi che occupavano un mezzo armadietto del bagno, si rovesciavano inesorabilmente gli uni sugli altri, donavano un aspetto sinistro al ricciolo, e certe volte interagivano come certi medicinali, dando al capello un'ombra verdastra e pruriti al cuoio capelluto. Fu denominata era del ricciolo chimico.
E poi, fu il tempo del riflessante. Riflessi biondi hanno angelicato la chioma lupinesca, riflessi mogano l'hanno resa conturbante, riflessi blu l'hanno punkizzata per benino, riflessi oro e verdi e rosa e viola l'hanno di volta in volta travestita da maliarda, strega, pagliaccia e regina.
Alla fine, il bene ha trionfato. Sotto questa parrucca multicolore, il lupinesco color nutria bagnata ha ripreso vita, ed ora è tornato alla ribalta più spento e amorfo che mai. Fine della posa per venti minuti, risciacquo del colore con schizzamento del soffitto, fine dell'effetto maialino d'India.
Si inaugura il tempo del viene come viene sperando che nessuno ci faccia molto caso, si mette un elastichino di spugna e via, ad occuparsi di altro.
Fino almeno a che l'era della calvizie o del capello bianco non sopraggiunga.

* che Durrel non me ne voglia.

giovedì 6 marzo 2008

L'angolino della massaia.

Care massaie, cari massai, date le molte richieste pervenutemi in questi giorni, provvedo a pubblicare la ricetta della
TORTA INSALUBRE E POCO EQUA E SOLIDALE DI CAROTE NON BIOLOGICHE.

Preparazione: 25 minuti.
Cottura: 1 ora.
Difficoltà: riesce anche ai bischeri.

Ingredienti:
250 gr di farina non proveniente dalla bottega equa e solidale.
2 cucchiaini di lievito in polvere (possibilmente quello chimico del LIDL)
250 ml di olio di semi
250 gr di zucchero
3 uova di gallina mutante
300 gr. di carote del supermercato
zucchero a velo per spolverizzare.

Preriscaldate il forno a 180°, se l'avete. Altrimenti, lasciate perdere tutto e andate a farvi un bel giro.

In una terrina setacciate insieme la farina, il lievito, la cannella e mezzo cucchiaino di sale. Con la frusta elettrica (e mi raccomando, non fatevi tentare dal farlo manualmente, altrimenti non avviene la giusta reazione chimica) sbattete bene l'olio, lo zucchero e le uova in un recipiente abbastanza grande.
Servendovi di un cucchiaio di legno, incorporate anche gli ingredienti passati al setaccio con la farina, e mescolate fino ad ottenere un composto omogeneo.
Amalgamate infine le carote grattugiate, versate l'impasto nello stampo e fate cuocere per 50-60 minuti, finchè inserendo uno spiedino nel centro del dolce non ne uscirà pulito e contento. Se lo spiedino si lamenta perchè si sente sporco, è segno che o il dolce non è cotto, o la partita di LSD di cui avete fatto uso è deteriorata.
Lasciate raffreddare per 5 minuti prima di sformare il dolce. Non fate come me che tento di mangiarlo direttamente dalla teglia, ustionandomi il mento e il collo.
Servitelo così com'è, oppure spolverizzato di zucchero a velo.

sabato 9 febbraio 2008

Allegri malanni in famiglia.

Il Gig è malato. Il Nano è sano.
Io sono mentalmente deviata dalla presenza della macchina del pane nella mia cucina, e siccome l'uscita mi è preclusa, ascoltiamo le canzoni bastarde di Tom Waits e sperimentiamo la meraviglia domestica della panificazione dolciaria.
La macchina del pane è l'invenzione del secolo dopo il calzascarpe ed il doccino orientabile. Ma ci pensate, che tecnologia? Io adesso son qua che scrivo questo post, mentre le dita della macchina del pane stanno massaggiando della pastafrolla, che si trasformerà tra breve in biscotti succulenti con la glassa rosa e azzurra (rosa per le femmine e azzurra per i maschi, rigorosamente glitter). Ho fatto anche i croissant con la marmellata e dei panini con i pezzi di cioccolato fondente. Ma non mi sembrano molto intenzionati a lievitare.
Insomma, giosico e sforno, sforno e gioisco, il Gig è miracolosamente vigile nonostante il coma, ed il Nano suona la chitarra. Sono costretta in casa ma non ne soffro.
Evviva la macchina del pane!

venerdì 8 febbraio 2008

Cumulo informe di panni e fobie.

Oggi è stata una giornata oserei dire interessante.
Siamo stati svegliati dal Nano in vena di conversazioni, il Gig è andato a lavorare con un oscuro presagio di raffreddore, ho portato svariati gatti dal veterinario per il controllino semestrale tra cui una neo-tripode fresca fresca di amputazione (povera Renza!), mi sono data da fare in casa, e tutto ciò sotto l'occhio vigile della più alta catasta di panni mai realizzata da casalinga residente nell'orbe terracqueo.
Ho provato ad ignorarla, passavo davanti a lei con un cencino fingendo di spolverare, ma lei mi teneva sott'occhio, e ad un certo punto una maglia ha levato la sua manica verso di me e mi ha avvinghiata, impedendomi di proseguire oltre.
E allora, a quel punto mi sono dovuta sorbire la ramanzina.
La catasta di panni stranamente parla con la voce di mia madre.
"Cosa aspetti a suddividere i calzini e le mutande? E poi, non sarà l'ora di buttare via questo reggiseno slabbrato, che ormai non regge più nulla? Guarda questi pantaloni da Nano, come sono spiegazzati! Su, tira fuori il ferro e l'asse, e datti da fare."
Erano le due del pomeriggio. Alle sette di sera ero ancora lì.
Il rientro del Gig mi ha sorpresa dietro la Cappella Sistina tessile, che stiravo e stiravo e stiravo, e la roba sembrava non finire più. L'aroma del sapone di marsiglia era ormai diventato l'odore predominante, in grado di coprire anche quello dei cavoli bolliti tipico delle cucine scalcagnate. Dietro la catasta, si vedevano solo due manine, una col ferro e l'altra con il vaporizzatore.
"Lupi, ho una strana sensazione. Ho un pizzicore sul labbro, il mal di schiena, la febbreaquarantadue, un ginocchio valgo e dei linfonodi molto ingrossati. Secondo te è epatite?"

Da dietro la catasta, non mi ero accorta della trasformazione.
Il Supereroe malato, Straccioman, è ancora con noi.

mercoledì 6 febbraio 2008

Peccati lupini

Il Gig esce dalla doccia profumato di Badedas al riso e vaniglia, tutto avvolto nel suo pigiama di pile blu e grigino. Un pigiama molto maschio, altro che quei pigiamini da ragioniere con i polsini sulle caviglie e i disegnini tipo cravatta, roba che mio nonno ne teneva sempre da parte un paio per andare all'ospedale. No, questo pigiama qua è la quintessenza dell'erotismo, una nuvola virile e cazzuta.
Il momento è propizio. Il Nano dorme.
Il Gig, con uno sguardo obliquo carico di ormoni, mi pone la fatidica, virile domanda:

"Che si mangia stasera?"

Io lo abbranco come un'animala, e lo stringo all'angolo.
"Gig, stasera pecchiamo"
"..."
"Tortellini alla panna?"

Eh, quando si è a dieta, questo è davvero il massimo del peccato.

lunedì 4 febbraio 2008

Tette. E con questo titolo, scommetto che le visite si impennano.

Ed eccoci qua, davanti allo schermo che sberluccica, dopo una lunga poppata sonnolenta.
Certo che la maternità ti cambia proprio tanto, anche fisicamente parlando. Nel mio caso, mi sono cominciata lentamente a trasformare in bovino, per poi sfociare in un ammasso di tette e lardo. C'è stato un periodo in cui davvero mi sono sentita così, solo con i capelli e un po' meno occhiaie, grazie al cielo. Al momento mi sento più così, e onestamente non so dire se sono migliorata o no rispetto a prima. La mia paura è diventare così, e forse ce ne sono le premesse, fatta eccezione per il trucco, dato che io di solito non ne faccio uso. Molto probabilmente diventerò un simpatico mix tra questi tre soggetti, se avessi un programmino di morphing mi piacerebbe davvero tanto vedere cosa ne salta fuori.
Oggi pensavo alle mie tette. Fino a poco tempo fa erano due meloni che sfidavano la legge di gravità, se ne stavano tutto il giorno nell'apposita custodia, e mai mi sarei sognata di esibirle in luoghi inadeguati quali bar, cinema e pizzerie. Eppure sarebbero state da mostrare molto più di adesso.
Quando il processo di lievitazione si è innescato a causa del Nano famelico, sono approdata all'ottava misura, e mi sono spaventata. Ho cominciato a comprare reggiseni su reggiseni, nel timore di ritrovarmi senza. Purtroppo i reggiseni che contengono un'ottava sono molto diversi da quelli che solitamente usa una simpatica sgarzolina dei giorni nostri: sono dei cosi inguardabili, delle armature di cotone grattugione, che donano alle tue protuberanze un'inquietante forma a siluro. Una cosa orrenda. Ed è ancora più orrendo andare in giro con delle delicate magliettine color malva (beh, ho sbagliato una lavatrice. E allora?) con questi due Mark 46 dentro. Ebbene, l'ottava misura, roba che una pornostar spende migliaia di euro per averla, è una scocciatura immane e soprattutto dona alla figura una terrificante aria da Quasimodo.
Insomma, ho avuto di che lamentarmi. Adesso mi sono ridimensionata, ed è lo sfacelo. Innanzitutto i siluri si sono sgonfiati fino ad assumere la consistenza del pan di spagna fradicio, poi si sono abbassati di parecchio rispetto a prima, tanto che potrei dipingerli di nero, infilarmeli comodamente nella cintura ed andare in giro così, come se avessi le bretelle. Oppure, ma solo se la stagione lo consente, potrei girarmele attorno al collo a mo' di sciarpetta, o meglio farle passare sopra le orecchie fino a coprirle, tanto son di moda gli anni ottanta ed i paraorecchie sono di sicuro di tendenza.
E' una tragedia. Ci sono certi giorni in cui mi sembra di andare in giro con due sacchetti del Conad vuoti.
Tempo fa, in una trasmissione televisiva del mattino (quella dove un professore nano che sembra una foca illustra come si può diventare più sani e più belli con pochi semplici gesti, target di riferimento casalinghe dai 60 agli 80 anni), una tiratissima tizia in camice bianco mostrava come verificare la tenuta del proprio seno in maniera casalinga, per correre agli eventuali ripari. L'esercizio di verifica della tenuta della tetta è semplice e mortificante al tempo stesso: consiste nel togliersi il reggiseno, procurarsi una penna o una matita, ed inserirla in orizzontale sotto l'attaccatura del seno. Se la matita cade, tutto bene. I cavoli amari sono quando la matita non cade: in tal caso si deve correre ai ripari, con spugnature gelide al mattino e creme tonificanti.
Ebbene, ho provato.
In questa casa, da allora, non si trova una penna a pagarla oro.

mercoledì 23 gennaio 2008

La mortificazione dei pani (per i pesci ci attrezzeremo)

Babbo Natale mi ha sempre portato delle cose meravigliose. Io sono molto grata a quel vecchione ringobbito per i bellissimi regali che ho ricevuto.
In occasione del mio ottavo natale, ricevetti in dono una cosa stupendissima: la Maglieria Magica di Barbie. Grazie a quella, ho salvato milioni di Barbie dall'assideramento. Grazie alla Maglieria Magica, non correvo più in giardino a grattugiarmi gli avambracci contro la corteccia degli alberi o a fratturarmi gli omeri pattinando sul piazzale di cemento, ma me ne stavo in casa a diminuire la mia scorta personale di diottrie confezionando chilometri e chilometri e chilometri di salsicciotti di lana colorata. Quando la lana finì, e tutta la casa fu invasa dai salsiccioni, arrivò di nuovo il Natale, e quel bravo vecchietto decise di assecondare le mie inclinazioni di brava massaia facendomi dono del Dolce Forno Harbert, dando il colpo di grazia alla mia forma fisica.
E così siamo andati avanti fino ad ora. Tutti gli anni, sotto l'albero, ho trovato un elettrodomestico per esaltare la mia abilità di donnina dalle manine d'oro.
Quest'anno è stata la volta della macchina del pane.
Ma qualcosa deve essere andato storto nella consegna di quest'anno: la mia macchina del pane, tanto amorevolmente recapitata dal bravo vecchino, deve aver preso una botta mentre veniva calata giù per il tubo della stufa (il Lupinaio non dispone di camino, al momento), e già da subito ha dato segni di grave squilibrio. Innanzitutto, quei dispettosi dei signori della Ke*w**d hanno deciso che il pane sfornato dal loro parallelepipedo bianco non poteva essere un pane normale, ed hanno messo ingredienti piuttosto difficili da reperire, tipo il latte scremato in polvere.
Ho pensato che quello artificiale per lattanti non andasse bene: in effetti ci deve essere di tutto in quei barattoli, meno che il latte. E quindi, via alla ricerca di un'erboristeria, un negozio di alimentazione naturale, una farmacia che vendesse il latte scremato in polvere.
Con una certa costernazione ho scoperto che non esiste una cosa simile in commercio, solo latte per lattanti. Ho provato la prima pagnotta col latte liquido, ed ho sfornato il primo, immangiabile laterizio. Chissà dove avrò sbagliato. Forse è il lievito che non va bene.

Già, il lievito. La mia macchina del pane è smorfiosa e schizzinosa, e vuole il lievito in polvere ad alta solubilità. E via a cercare per mari e per monti, senza trovare nulla di simile se non il solito lievito in polvere per focacce. Dopo 3 ore di lavoro, secondo laterizio.

E poi la farina. "Farina per pane non sbiancata", recita il libretto di istruzioni. Ma la farina normale non va bene? mi chiedo io. Sarà forse per colpa della farina, allora? E via a cercare una farina particolare, col risultato di beccarmi degli accidenti dal mio droghiere. Alla fine ho optato per una farina bio, ed ho incrociato le dita. Terzo laterizio.
Per farla breve, ho provato a usare l'acqua in bottiglia invece che quella di rubinetto, ho cambiato 3 tipi di lievito, ho provato a smontare e rimontare la vaschetta, ho cambiato 5 tipi di programmi diversi, ed ho sfornato una serie tale di mattoncini da poterci costruire un piccolo annesso agricolo da usare come rimessa per il trattore.
Alla fine mi sono rassegnata a queste due possibilità: o la macchina non va, o sono cretina.
Sì, vabbè, la seconda ipotesi in effetti non è del tutto da scartare. Ma mi rifiuto di credere che la mia vicina di casa, l'Emilia - nota come la donna più deficiente del mondo-, sia in grado di sfornare magnifici pagnottoni croccanti e se la tiri così tanto. E del resto tutti quelli che conosco che possiedono una macchina del pane si ritengono soddisfatti.
Da ciò si deduce che la macchina non funzioni. Viene riportata al negozio dove è stata comprata, e una tipa mi dice con un certo disprezzo che nonostante il tempo utile per il recesso non sia trascorso, lei non può ritirarmi la macchina perchè è stata usata. Maremma cignala, ma come facevo a sapere che non andava se non la provavo prima? "Signora, veda lei. Non è un problema mio." e se ne va, tentando di appiopparmi un buono sconto.
La cosa mi ha distrutta psicologicamente. Non solo sforno tavelloni tutto il giorno, ma mi pigliano pure per il culo. Decido di scrivere alla Dir. Gen. del Negoz., ma senza troppa convinzione.
Ed invece dopo venti scandalosi giorni in cui sembrava che la macchina del pane si fosse smaterializzata da questo pianeta, una gentile vocina al telefono mi informa che si scusano tanto, ma la scheda integrata in effetti era fallata, e mi aspettano in negozio per consegnarmene una nuova.
Finalmente il mio sogno di massaia diventa realtà: posso scendere le scale e presentarmi ai miei genitori dicendo loro guardate, sono io, la vostra figlia, quella che non sa fare un cazzo. Guardate che bel pagnottone soffice profumato e croccante che vi ho portato! L'ho fatto io. E da oggi mai più senza pane! Gioite, o popoli della Terra, perchè il tempo è arrivato, e la Macchina del Pane è qui tra di noi a riempirci di baguettes e di pandolci!
Sempre che si risolva il problema ingredienti.
Mi rivolgo agli amici maghi e streghe che lurkano il mio blog: sbaglio, o le code di rospo e gli occhi di lucertola sono più semplici da reperire?

Adesso vado a vedere a che punto è il mio ennesimo mattoncino. Chissà che stasera non si finisca il tetto dell'annesso agricolo.

mercoledì 16 gennaio 2008

Coiffeur

"Sei orrenda con quei capelli. Spero che te ne renderai conto" mi fa mia madre ieri pomeriggio, col consueto savuarfèr che la contraddistingue. Colgo la palla al balzo per affibbiarle il Nano nel primo pomeriggio, e sottopormi all'odiato rituale tutto al femminile che qualcuno chiama coiffeur (ma io preferisco definirlo scotennamento).
Chi non muore si rivede, mi ha detto il mio parrucchiere di fiducia. E per rendere l'idea di quanto davvero sia assidua frequentatrice del suo salone, ci tengo a sottolineare che mi ha chiamato Simona tutto il tempo. (Ovviamente, non mi chiamo Simona). E non solo è il parrucchiere che mi ha pettinata per il matrimonio, ma anche mio affittuario, quindi il mio nome compare su contratti e documenti che arrivano puntualmente al suo indirizzo. Ovviamente sono molto lusingata di aver lasciato una traccia così indelebile nella sua mente.

"E adesso, Simona, siediti qua su questa morbida poltroncina azzurra, che ti sistemiamo per bene": mi hanno impiastrato con una robaccia maleodorante, incartato nel domopack come un pollo arrosto (ma non si è vista manco mezza patatina), infilato in un complicato casco a microonde che mi ha fuso il lobo sinistro del cervello creandomi una sorta di delirio afasico in cui son riuscita a dire solo "devo fare pipì-devo fare pipì" per la seguente mezz'ora, scartato, rimpiastrato con una sostanza bituminosa che in gergo parrucchierico viene chiamata impacco ristrutturante ma che in realtà è volgare catrame da asfaltatura, tagliato via le doppie punte, dato una scotennata finale con una spazzola arroventata dalle fiamme dell'Averno, e alleggerito il mio portafogli di 81 euro. Le altre clienti erano sottoposte a torture pure peggiori della mia (una poveretta è stata avvolta in un turbante di pellicola trasparente, le è stato intimato di stare ferma, ed in effetti lo è stata per un'ora e passa mentre una tizia le spennellava minuscole ciocchettine con una misteriosa sostanza violacea).
"Simona, abbiamo finito"
Ed il risultato? Mentre prima ero una cicciona spettinata coi capelli esplosi sui lati, adesso sono una cicciona che somiglia paurosamente ad una cavia peruviana.
Ho pure trovato una foto molto somigliante a me in questo momento. Non so se rende l'idea.


E i suoi colpi di sole son pure venuti meglio dei miei. Mannaggia.

venerdì 14 dicembre 2007

Merenda poltergeist

Padre, perdonami, perchè ho peccato.

Ieri pomeriggio il Nano era seduto sul suo seggiolone a casa della Nonna Ansia, ed io mi trovavo presso il frigo-sarcofago alla ricerca di qualcosa di commestibile per lui e di 30 grammi di caciotta per me, che assieme a 3 cracker integrali sarebbero andati a costituire lo spuntino in grado di contenere il mio picco insulinico delle 16.30.
Ho individuato un barattolino di marmellata equa e solidale alle arance amare, una sciccheria per i palati, e mi son detta: vediamo se questo Nano è di gusti merendiferi eleganti come la madre, e si mangia questa strana marmellata amarognola con tutte quante le bucce dentro.
Mi son seduta al tavolo davanti al Nano, e non so cosa sia successo, ma sono molto pentita e mi sento davvero una cacca.
Ho mezz'ora di vuoto, non mi ricordo nulla.
Riaffiorano alla mia memoria soltanto dei particolari, tipo il Nano con la mia caciotta in mano ed io che addento con voracità inaudita la sua fetta di pane con la marmellata.

Non riesco a spiegarmi questo accaduto, che macchia inesorabilmente la mia fedina penale di donna a dieta. Forse c'è una spiegazione, forse so perchè mi sono macchiata di questo crimine orribile. A Villa Lupina, da anni, assistiamo a fenomeni paranormali. A Villa Lupina c'è un fantasma, anzi, una fantasmessa di nome Scilla che si diverte a fare degli scherzetti tipo nascondere la roba per mesi e farla saltare fuori dove meno te l'aspetti, a spaventare gli abitanti nascondendosi nell'ombra di una tenda, a far sbattere le porte e a entrare nel corpo dei gatti costringendoli a saltare come invasati. Sono sicura che quella volta che mi è sparito il trapano a batteria ed è risbucato nel freezer dopo sei mesi (ancora funzionante, peraltro) è stata proprio lei, la fantasmessa burlona, a metterci il naso.
Ecco, deve essere andata proprio così: Scilla è entrata nel mio corpo, e si è fatta una scorpacciata di marmellata, caricandomi di scorie, ed ora a me tocca smaltire in qualche modo, e sopportare questo senso di colpa che mi uccide.
La corsa verso la collezione primavera-estate della Promod subisce così un brusco rallentamento. Proprio adesso che avevo pensato di cambiare il mio look scacione con uno da diva anni '50.
Vestitini svolazzini, vi avrò lo stesso.
Della merenda marmellatara non resterà nulla. Forse giusto una macchia sulla mia felpa.

lunedì 26 novembre 2007

Cambiamento repentino di look.

Dato che la mia autostima è alle stelle, e che per questa primavera sfoggerò una linea invidiabile con tanti bei vestitini svolazzanti, ho deciso di darci un taglio con lo sciatto look mammesco partendo proprio dalla testa. In sostanza, sono andata ad un supermercato della bellezza e mi sono impadronita di uno shampoo colorante fai da te di una celebre casa produttrice.
La tonalità scelta è color mogano dorato. Al rosso-scandalosa Gilda voglio arrivare per gradi.
I miei capelli, dopo il miracolo della splendida chioma gravidica, stazionano in un perenne castano spento con doppie punte (anche triple), non hanno forma propria e scoppiano ai lati in una lanugine imbarazzante. Mai visto nulla di più orrendo.
Così, per evitare l'effetto parrucchiere (ovvero entrare con una ciospa ed uscire con una pettinatura scolpita che pare un cofano disegnato da Giugiaro), mi son messa là con tutti i miei attrezzini a dar un colpo di colore a questa testa color cacarella.
Le istruzioni sono semplici ed al limite della scemenza: si bagnano i capelli, si mischia la miracolosa crema colorante con il favoloso fluido rivelatore, si indossano i guanti e via con la pittura, si tiene in testa 20 minuti, si sciacqua via la tinta in eccesso et voila.
Mi sono accomodata nel bagno degli ospiti, mi son messa addosso un sacco nero dell'immondizia, ed ho cominciato l'ambaradan. Innanzitutto, mi si è rotto il beccuccio del fluido rivelatore in mano, così per scuotere la mistura ho schizzato un po' il soffitto ed una fila di piastrelle. E anche lo specchio. Ma non fa nulla, tanto ridipingerò presto (tipo tra sei anni).
Il foglietto illustrativo dice: indossare i guanti.
Però non specifica che i suddetti guanti son parecchio piccini e si rompono come certi preservativi scadenti (tipo quello che ha originato il Nano, per intendersi), così mi son ritrovata a frizionare energicamente una pappa scura direttamente con falangi, falangine e falangette, ed ora ho le dita in pendant con la chioma.
Effettuata questa operazione, mi son seduta al pc con il timer da cucina a forma di mucca davanti, puntato sui 25 minuti. Ovviamente, facendomi un po' troppo i cavoli miei, ho sforato di una decina di minuti, e lì mi è presa una gran strizza: stai a vedere che ho esagerato e mi ritrovo con i capelli rosso ribes.
Corro in bagno, e provvedo immediatamente al risciacquo della chioma, ormai ridotta ad un pappone informe, una specie di capello unico riunito in una crocchia a forma di cacca di cane.
Risciacqua, e risciacqua, e risciaqua, i capelli continuano a sbavare roba marroncina per una mezz'ora. Sembra quasi uno di quei guasti della rete idrica, quando dal rubinetto esce una specie di cocacola all'aroma di ferro.
Alla fine del marrone nel lavabo, c'è la mia fase preferita: il mirabolante fluido ristrutturante, donatore di lucentezza e sericità al capello. Me lo spalmo in testa, aspetto i tre minuti di default, lo sciacquo via e, finalmente, l'asciugatura della chioma rivelerà tutto il suo splendore di fata.
Il phon è il mio nemico. Io odio l'aria calda, che mi secca le mucose e mi gonfia la testa di ricci cresputi da congolese. Però va fatta.
Lo specchio del bagno degli ospiti riflette una Lupina ancora piuttosto cicciona ma in via di guarigione, con un brufolo tra naso e bocca, un accenno di baffi e i capelli uguali a prima. Ma uguali uguali, e a dire uguali non è abbastanza.
Forse lo specchio è guasto. Vado a specchiarmi in quello dell'altro bagno, che è pure bello grande e mi posso ammirare a figura intera.
Ecco. Lo specchio del bagno grande, che nel frattempo si è messo d'accordo con quello del bagno piccolo, mostra la stessa cosa, con in aggiunta il pezzo che mancava, ovvero due cosce come bottiglioni da vino e una serie imprecisata di macchie di tinta rossa sulla maglietta.
Dov'è quella gnoccona coi capelli rossi e gli occhi verdemare che la ditta produttrice di tinta per capelli ha messo sulla scatola? Eh? Dov'è?
Io qua vedo soltanto la solita donnona in carne, con i capelli uguali a prima, 9.90 di shampoo colorante in meno (soldi che potevo investire in succulente barrette zona al gusto segatura e cacao).
Insomma, non si fa così. Non si illudono le persone.

mercoledì 31 ottobre 2007

L'ultima cena.

Ieri sera a villa Lupina si è consumata l'Ultima Cena.
L'Ultima Cena a base di alimenti normali. Da stasera, dopo la fustigazione da parte della Dottoressa Cattiva, comincerà un triste declino alimentare verso la cottura a vapore e alla piastra, la pesatura al milligrammo dei cibi, e la sparizione dei condimenti dalla mia vita.
Il Gig, che è un falso magro e nasconde dei bei bottiglioni di lardo spalmandoli sulla sua notevole altezza di uomo gigantesco, si è molto cavallerescamente offerto di seguirmi in questo percorso fatto di gravi privazioni.
Il Nano, che invece è già a dieta mangiando solo cibi sani (se si toglie la pasta al ragù di ieri a pranzo e le patatine di mais che ha voluto mangiare di legge ieri mattina), non avvertirà minimamente la differenza.
La cena di ieri sera ha visto me ed il Gig fortemente impegnati nella distruzione fisica di una spigola e di un cospicuo quantitativo di patate arrosto, ed è terminata con la distruzione sistematica di una tavoletta di cioccolato Lindt alle nocciole, che però non essendo terminata deve essere ancora in giro per casa. E siccome cioccolata=pericolo, adesso la annienterò. Ovviamente mangiandola.

Si prospettano tristi giorni per le Lupine obese.

lunedì 15 ottobre 2007

Heroes

Il Gig è recentemente diventato dipendente di un serial in onda la domenica sera su Teleberlusk, tale Heroes. Io devo dire che più che vederlo lo dormo, dato che non ci capisco nulla e dopo una certa ora ho la soglia di attenzione di un lobotomizzato. Ieri sera, complice la resurrezione della macchina del caffè, sono riuscita a vederne una puntata per intero, con estrema soddisfazione del Gig, il quale potrà avere un ennesimo argomento di cui parlare.
Allora, ci sono delle persone dotate di superpoteri abbastanza fighi, tipo la telecinesi, la lettura del pensiero, il potere di guarire la gente, altre con superpoteri molto meno fighi tipo il superudito, la radioattività e quello di accendere fuochi con le mani, poi c'è un cattivone che somiglia ad un mio ex-fidanzato che ammazza tutti e vuol diventare Capo del Mondo. Questo è quello che ho capito, più o meno, della vicenda. Che comunque è troppo articolata per il mio povero cervellino.
Mi sono accorta di avere un superpotere anch'io. Naturalmente, uno di quelli sfigati.
Io ho il Superolfatto.
A volte sento dei puzzi incredibili. Sento un'ascella mal lavata ed il cui olezzo è stato coperto alla bell'e meglio da un deodorante, sento l'odore di un piede tra la folla che aspetta l'autobus e subito so indicarne il puzzone proprietario, sento la cacca del Nano da chilometri di distanza. Sento pure quando sta per arrivare, e prima ancora che venga annunciata dalle tre o quattro puzzette rituali. So individuare una discarica chilometri e chilometri prima di passarci accanto in autostrada, so anche dire cosa il Gig abbia mangiato a pranzo concentrandomi sul suo spazzolino da denti. So individuare il maglione rimesso nell'armadio senza essere lavato, e trovo le ciabatte smarrite con la precisione di un segugio. Ma soprattutto, trovo tutte le pasticcerie e le lavanderie presenti sul territorio anche a distanze siderali.
E' un potere da veri sfigati. Sono ossessionata dagli odori, come dice la signora della pubblicità dell'Oust. Che non è vero che non copre gli odori ma li elimina: provate dopo una cena a base di bagna caoda, a spruzzare quella bombolettina, e ditemi se non è pubblicità ingannevole. Insomma, sento i puzzi. Sento anche i miei, di puzzi. E allora son sempre lì che lavo, lavo, lavo.
Se qualcuno non si lava, per me, è come la kriptonite per Superman: divento debole, appassisco, mi viene pure la nausea.
Eh, devo dire che anche se sono una Prescelta, è ben triste convivere con un superpotere.
Adesso, per esempio, sto sentendo l'odore di qualcosa che sta andando a fuoco, e non vi sto a dire l'ansia che mi provoca. E' un terribile odore di plastica e stoffa bruciata che mi prende alla gola e mi soffoca, e sembra davvero pericolosamente vicino. Chissà se ci saranno vittime, in questo terribile incendio chissà dove.

Via, vado a stirare, che per scrivere 'sto post ho lasciato il ferro attaccato.

venerdì 20 luglio 2007

Mamme virtuali

Le mamme virtuali sono una razza strana. Io ne faccio parte, ma poco poco, essendo una outsider praticamente da sempre. Forse dire disadattata sarebbe più corretto ed indicato, ma dai, outsider fa più figo.
Le Mamme Virtuali pianificano. Io non ci sono riuscita, il Nano si è impossessato del mio corpo durante il complicato rituale della vestizione pre-capodanno, in un momento in cui la calza autoreggente con gonna lunga ed anfibio da sera andavano di gran moda e solleticavano il nostro immaginario collettivo. Niente stick per vedere se ovulavo, niente computerino, niente temperatura basale. Solo spermatozoi ed ovulo, ma non era previsto.
Le Mamme Virtuali sono consapevoli fin dal primo giorno della loro condizione. Io no. Continuo ad andare in bicicletta come se niente fosse, faccio sforzi disumani, aspiro vernici pericolose, sposto pesante mobilio in noce nazionale e l'unica cosa che sento è un po' di gonfiore alle tette, e ste ovaie che sbatacchiano. Ma si sa, son le mie cose che arrivano, non sono mai stata regolare in nulla.
Le Mamme Virtuali arredano le camerette fin dal terzo mese. Io alla vigilia del fatidico nono avevo una casa che sembrava un magazzino, e la camera del Nano ne rappresentava il fulcro: non era stata imbiancata, traboccava di vecchie suppellettili e non c'era niente di utilizzabile, se non un vecchio armadio bianco di quando ero bimba. Nessun guardaroba con gli orsacchiotti, neanche una culletta, neppure un lettino, tantomeno un fasciatoio. Adesso che il Nano ha quasi 10 mesi, devo dire che la sua cameretta non è cambiata un granchè, è solo stata imbiancata e svuotata dalla roba inutile. Per il resto, è rimasta basic.
Le Mamme Virtuali hanno mille interrogativi: quanti chili devo prendere? tornerò normale dopo la gravidanza? Come prevenire le smagliature? Come fare per non avere cotechini al posto delle gambe? Quali esercizi fanno bene al mio corpo?
Io ho mangiato come un passerotto per tutta la gravidanza, per sbroccare poi nel mese d'agosto, complice la Polda ed i suoi crostini assassini. Delle smagliature, me ne sono fregata. Tanto ce le avevo già, si sono solo sovrascritte.
La Mamme Virtuali hanno dei parti terribili, e assolutamente fuori dal comune, con travagli infiniti, scene di sangue che schizza ostetriche e ginecologi attoniti, bebè che nascono con 15 giri di cordone ombelicale intorno al collo e nodo da cravatta. Io, che ho avuto un culo pazzesco, ho sparato fuori il Nano in 3 ore, e sebbene non sia stato poi tanto divertente, lo rifarei anche subito.
Le Mamme Virtuali allattano, ma hanno le ragadi e la mastite, oppure il latte non è sostanzioso ed il bimbo pretende di stare attaccato tutto il santo giorno, alla fine è meglio il biberon che è anche più pratico, glielo può dare anche la nonna, lo zio, il babbo, il vicino di casa.
Le Mamme Virtuali hanno delle attrezzature incredibili. Hanno tutto per tutti. Il tiralatte, il paracapezzoli, lo Sterilizzatore Atomico a Sminuzzamento Molecolare, lo scaldabiberon da casa, lo scaldabiberon da viaggio, lo scaldabiberon da aeroplano, il cuscino col battito cardiaco, la giostrina spaziale con le api fotoniche, la palestrina con i giochi di luce ad attivazione vocale, la sdraietta a motore che culla il bambino senza bisogno di presenza umana, i ciucci da giorno, da pomeriggio, da sera...
Io invece NON AVEVO UN CACCHIO. Dotazione minima: vaschetta per il bagnetto, fasciatoio scrauso dell'Ikea, pannolini. Fine. Neanche un minimo ciucciotto di gomma da 3 euro. Il budget stanziato per il Nano era un budget da poveri. Anche perchè ho notato che l'unica cosa che lo rendeva davvero felice era stare sulla mia pancia nuda, attaccato alla tetta. Fine della storia. La roba che ci hanno regalato non è stata usata ed è rimasta nell'imballo originale, pronta per essere ripiazzata alla prossima puerpera.
Le Mamme Virtuali tornano subito in forma. Se la mia forma damigianoide è considerata ancora vagamente umana, allora sì: sono in forma anch'io. "Basta smettere di allattare e mettersi a dieta, cominciare ad andare un po' in palestra" mi consiglia una Mamma Virtuale. "Dagli il biberon e vedrai che ti trovi bene, senza più schiavitù"., senza rendersi conto che questo genere di consigli, elargiti a chi ha poco senso critico, sono la rovina dell'allattamento al seno.
Le Mamme virtuali però sclerano, e di brutto. Non appena si accorgono che il fagottino profumato di talco e di olio baby non è nient'altro che un energumeno miniaturizzato, pieno di cacca fino alle orecchie, con le coliche, l'eritema da pannolino, la crosta lattea che lo rende impresentabile, i brufoli, che non è un tesorino mangia-e-dormi, ma un essere umano.
E come tale, non programmabile, non computerizzato. Semplicemente, umano, ma un po' più piccolo.

martedì 17 luglio 2007

Sconti

Sono andata a fare shopping, venendo meno per un attimo al sacro principio del "NONMICOMPRONULLAPERCHESONOCICCIONA" mi sono presa 4 paia di pantaloni tutti rigorosamente uguali, modello sacco-di-juta, di colori variabili (nero, verde militare, beige e marrone). Tutta contenta sono tornata a casa, per scoprire che sono praticamente identici a quelli da donna incinta che ho comprato la scorsa estate, solo che questi li ho pagati 10 euro al paio al mercato, mentre quelli da donna incinta (ma non pre-maman, ci tengo a sottolineare) li ho pagati 30 in negozio, e li ho già buttati tutti via perchè si sono consumati.

Al Gig ho comprato una serie di magliettine da citrullo, di cui una molto bellina con un bel disegnino. Quella col bel disegnino è piaciuta un sacco anche a lui, ed ha già decretato che è una di quelle "che non si toglierà più". E' stato di parola: stamattina mi ha chiamato disperato, perchè si è accorto di essere al lavoro e di averla ancora indosso.
E lui di lavoro cosa fa?

Fa lo smerdatore.

Un'altra maglia declassata.