sabato 26 dicembre 2009

La Germagna. Amarcord.

Sono stata a studiare in Germagna, anni fa.
La Germagna è un paese curioso. Innanzitutto, ci sono molti germagni. O forse dovremmo definirli più correttamente "tedeschi". Però non si capisce bene questa cosa del nome: se in Spagna ci sono gli spagnoli, se i francesi vivono in francia, i tedeschi dovrebbero popolare allegramente la Tedeschia. E invece no. La Tedeschia non esiste.
Esiste però la Germagna, grande paese del centro Europa, dove la gente mangia delle cose che somigliano a quei simboli fallici che pullulano i libri di storia dell'arte pre-cristiana e che si trovano agevolmente in tutti i supermercati LIDL d'Europa sotto forma di biustel. I biustel si possono anche chiamare viustel, vuste, blusterl, biusti. Tanto i tedeschi li chiamano in un altro modo e non capiscono mai quando noi stranieri proviamo ad ordinarli al ristorante, e conviene fare un disegnino. Senza esagerare con la dovizia di particolari, perchè di solito i camerieri si offendono a morte e non solo non vi portano niente, ma vi sbattono pure fuori in malo modo.
Eh già, perchè la Germagna è la patria di questi famigerati biustel, uno degli entusiasmanti alimenti cardine dell'alimentazione nanesca.
I biustel si mangiano con delle salse, e sono fondamentalmente di due qualità: quelle che si capisce cosa sono (ketchup e senape), e quelle che non si capisce che cosa sono (tutte quelle di colore differente dal giallo senape e dal rosso ketchup). Alcune sono buone, altre fanno schifo.
Come si fa a distinguerle? Si assaggiano. Se poi si ha la sfiga di incappare in quelle schifose, pazienza. La volta successiva magari va meglio, non bisogna disperare.

Io quando ero in Germagna, per esempio, avevo dei problemi con l'alimentazione. A dire la verità avevo anche altri problemi, tipo per esempio quello del bidet, dell'asciugacapelli che non mi entrava nella presa e che mi costringeva a penose elemosine dalla vicina di stanza, il problema di fare la cacca nel bagno comune del pensionato studentesco in cui vivevo (mettevo la sveglia per fare la cacca di notte, dico solo questo).
Ma soprattutto, avevo ENORMI problemi con la lingua.
Eh già, perchè in Germagna non parlano il germagno, ma il tedesco. Che magari il germagno era pure uguale all'italiano, pensa te che culo, e non c'era bisogno che io facessi tutta questa fatica per imparare tre parole messe in croce. Ma siccome son sfigata e sono destinata a patire come un cane, ecco che non solo è completamente diverso dall'italiano, ma è anche praticamente impossibile da imparare.

Il tedesco è una lingua di una complicazione estrema. Innanzitutto, le parole sono tutte uguali. Hanno tutte un fonema -sch- nel mezzo, cosa che confonde assai le povere creature di lingua romanza. Te poveretto ti fai questi percorsi mentali per ricordarti le parole, magari hai pure i trucchetti, "ma sì, la parola che comincia per sch- o che ha -sch- nel mezzo", e poi ti rendi improvvisamente conto che questo stracacchio di fonema è praticamente ovunque e popola almeno i 3/4 del vocabolario, e voi potreste dire una qualsiasi cosa totalmente insensata invece di una frase di senso compiuto.
Poi possono essere lunghissime e composte, e creare concetti che in italiano non esistono. Oppure possono essere cortissime, ed avere significati assai articolati. Oppure, come nel caso dei verbi, possono essere separabili, irregolari, antipatici, bastardi, e fare quello che gli pare ficcandosi in fondo alla frase, che finirà con un misterioso an-, oppure uno strano ab-, o uno auf-. E voi, che con fatica avrete tradotto una frase, scoprirete che quella cacchio di particella non saprete dove ficcarvela.
Ma comunque, se parlate inglese, siete a posto. Quasi tutti parlano inglese.
Infatti io in Germagna non ho imparato un cavolo, perchè parlavo quasi esclusivamente inglese o spagnolo: inglese con gli svedesi, spagnolo con gli spagnoli.
Che poi mi sono accorta pure che non parlavo veramente spagnolo. In realtà parlavo una specie di veneto con la -s in fondo, ma gli spagnoli sono un popolo estremamente civile e festaiolo, quindi mai si sarebbero permessi di farmi notare il fatto che parlavo un dialetto incompresibile da contadina sottosviluppata. Anzi, fingevano di comprendermi e si facevano pure delle grasse risate, dispensandomi grandi pacche sul groppone.

Ciononostante, a lezione di tedesco ero la più bravissima di tutti.

Sarà probabilmente dipeso dal fatto che la classe era composta da una anziana signora inglese sorda, una giovane ragazza irlandese, tre asiatici (una delle quali si chiamava Mei-xiou, che in inglese suonava come My Shoe, con risvolti veramente esilaranti per le due signore sopra menzionate, che adoravano tormentare la povera Mia Scarpa), alcuni spagnoli che arrivavano a lezione ubriachi fradici alle 8.00 del mattino, un arabo che dormiva sempre ed un'americana competitivissima che mi detestava per lo charme e il savoir faire, e che soffriva di balbuzie. Quest'ultima cosa confesso mi ha favorito tantissimo nella scalata sociale. Se l'americana non avesse balbettato di brutto, ed impiegato un quarto d'ora di media per pronunciare una frase semplice, non sarei stata la donna di leggendaria bravura che invece fui. Lei lo sapeva, e mi odiava per questo.

La nostra insegnante era una donna di circa cinquant'anni, che parlava soltanto tedesco. E che quindi ci costringeva a fare sforzi disumani per chiedere informazioni anche basilari, tipo a che ora si va in pausa o dov'è la toilette. Questa signora racchiudeva in se' un lato molto inquietante, in cui ci imbattemmo tutti fin dal primo giorno.
"Salve, il mio nome è MARIIIIIIIA, e vengo tutti i giorni con il treno da MUUUURRRRRNAAAAAAAUUUU. ", così si presentò la nostra insegnante. E nel pronunciare la parola Murnau, innocente località dell'alta Baviera, l'inquietante Maria strabuzzava gli occhi in maniera innaturale e faceva la bocca a padella nella tipica espressione della zucca di Halloween, risultando un qualcosa di spaventoso davvero difficile da descrivere. Roba che io me la sognavo pure la notte. E la fatidica frase di presentazione veniva pronunciata almeno una volta al giorno, ogni qualvolta ci fosse un allievo in ritardo, per sottolineare il fatto che LEI, povera donna, nonostante la distanza da coprire davvero notevole, veniva tutti i giorni in orario. E mica dalla periferia, o dal paesino appena fuori le porte della città: lei arrivava AUS MUUURRRNNAAAAAAAAAUU MIT DEM ZUG. Non come noi cialtroni che la sera ci perdevamo in gozzoviglie e ci presentavamo in ritardo a lezione, con le cispe agli occhi e l'alitosi da festino, a soli 5 minuti di distanza di metropolitana.

Quasi alla fine del corso, mi resi improvvisamente conto che capivo.
Non tutto, ovviamente. Una parte di ciò che i tedeschi dicevano, per lo meno. Quando mi chiusi fuori dalla mia stanza e dovetti chiamare il fabbro, ad esempio.
" (incomprensibile) chiusa porta (incomprensibile) senza chiave dentro (incomprensibile), finestra (incomprensibile) passare?" chiese il fabbro, mentre chino a terra faceva passare una specie di pezzo di plastica tra lo stipite e la porta, mentre io notavo che tutti i fabbri e gli idraulici del mondo presentano la solita deformazione professionale, ovvero i pantaloni che lasciano scoperta tutta quella parte del maschio, brufolosa e bianchiccia, che qualche coraggioso definirebbe culo. E' interculturale, interrazziale, interquelchevipare questa cosa del mezzo culo di fuori nell'uomo impiegato in lavori manuali.
"Sì, chiusa fuori da mia stanza. Prego me aiuta signore". Il fabbro sorrise, aprì la porta con un passepartout, mi depilò di 100 marchi e mi salutò cortesemente. E se non fosse stato per questo ultimo particolare, quello dei 50 marchi di lavoro + 50 marchi di chiamata, sarei pure stata soddisfatta di me stessa in maniera stellare.
Capire ed essere capiti è il fine ultimo della Creazione. Questa fu la prima volta che compresi un buon 70% di quello che mi veniva detto, e che risultai persino comprensibile senza infilare parole bizzarre tipo regenschirm o schublade in mezzo ad un contesto dove non ci stavano sostanzialmente a fare un cazzo.
Da lì presi il via. Mi sbloccai.

L'ordinazione al ristorante, ad esempio, fu un campo in cui mi cimentai con grande impegno.
Dopo un paio di disavventure in tipico ristorante bavarese, in cui la mia capacità di traduttrice prese un enorme granchio facendomi ordinare robe immangiabili tipo la minestra di budella di vacca e la minestra con le caccole - MAI PIU' MIO DIO MAI PIU'- , le cose migliorarono sensibilmente col MacDonald. Al Mac riuscivo ad ordinare ESATTAMENTE quello che desideravo mangiare. I dipendenti del Mac erano spesso italiani, ma io fingevo di essere di tedeschia tedeschità, e per mia fortuna riuscivo egregiamente nel mio intento.
Ai ristoranti etnici, invece, grandissimi problemi. Al mio preferito, il ristorante vietnamita, le cameriere erano estremamente scortesi e frettolose, e se non ti sbrigavi a rispondere alle loro domande su come volevi il piatto, ti mandavano affanculo in vietnamita. No, io non parlo vietnamita, d'accordo, però vi assicuro che era comprensibilissimo.
"Posso avere riso con funghi piccante e pollo, per favore?"
"Pollo con (incomprensibile) finito." Ed io lì cominciavo a sudare, perchè mi rendevo conto che in quella parola per me incomprensibile si racchiudeva tutto un universo che mi avrebbe impedito di consumare il mio pasto serenamente. E mi toccava chiedere, con la morte nel cuore: "Non capisco. Può ripetere?". E la cameriera vietnamita, memore del fatto di esser stata pure lei una profuga stanca e spaventata, non si muoveva a compassione, no. Anzi, si stronzizzava a dismisura. E ripeteva la solita frase "Pollo con (incomprensibile) finito", però a velocità supersonica, senza guardarti in faccia. Così te non capivi un cazzo ma ti peritavi a ripetere, e rispondevi un vago "Va bene".
Così ti arrivava un bel piatto di riso e funghi SENZA NIENTE. Bono, per carità, ma magari un po' di proteine, giusto per gradire, non avrebbero guastato.

Nonostante io abbia fatto spendere alla mia famiglia una cifra invereconda per un corso di tre mesi in Germagna, che non giustifica assolutamente il livello linguistico acquisito, sono felice di aver fatto questa esperienza. Mi sono divertita veramente tanto, a parte il fatto che ho perso 15 kg in un mese e mezzo pur nutrendomi di cioccolata e Kinder Uberraschung in un momento in cui ero effettivamente già magra di mio e non ne avevo alcun bisogno.
E mi sono persino riproposta di tornarci. Ed infatti l'ho fatto, col Gig, qualche anno fa, in un indimenticabile settimana di passione in cui riuscimmo a: 1. spendere due stipendi alla H&M; 2. ubriacarci di brutto in un biergarten bellissimo e buttare quasi giù un muro costruito coi boccali di birra per cercare un appoggio per legarci le scarpe; 3. farci mangiare la tessera bancomat che era anche carta di credito perchè, da ubriachi fradici, non ci ricordavamo il PIN, subito dopo aver preso la sbornia al biergarten ed aver attentato al muro di boccali.

L'unico rimpianto che ho è quello di non essere stata a MUUURRRRRNAAAAAUUU.
Ci andremo, me lo sono ripromessa. Ma col treno.

domenica 6 dicembre 2009

Malattie gravi e terapie nonnesche. Mai farsi cogliere impreparati.

In questo periodo di grande aridità bloggica, mi sono accorta che questo blog non si autoaggiorna come per magia ma che devo mettermi lì e scrivere. Acciderba, una bella fatica per una povera donna incinta con mille cose a cui pensare.



E comunque, siamo malati.

Abbiamo la tosse. Da tempo immemorabile.

E dico abbiamo, perchè sebbene io goda di discreta salute a parte emorroidi, reflusso gastroesofageo (che mia suocera ha tentato di curare a colpi di bagna caoda, santa donna), una strana irritazione intorno alle narici e altri disturbi di cui non parlo, è come se io fossi parte del Nano e lui fosse parte di me, quindi se salta il pasto NON ABBIAMO MANGIATO, se non dorme NON ABBIAMO DORMITO, insomma, 'ste cavolo di amenità mammesche di stacippa.



I rimedi che ho scelto per lui ovviamente non vanno bene.

E sono combattuta, da un lato c'è mia madre con il suo sistema 3L e dall'altro mio suocero con lo sciroppo di rapa.



Spiego brevemente.

Il sistema 3L consta di tre fasi fondamentali: la prima, denominata LANA, consiste nel vestire con moltissimi strati di maglioni di lana, calzamaglie, calzini, il povero infante, che deve assumere improvvisamente 4 taglie in più per via dell'imbottitura. Ci si può fermare solo quando la temperatura corporea supera quella di fusione dell'uranio. La seconda fase, denominata LATTE, consiste nel somministrare al Nano imprigionato nei maglioni parecchie dosi di latte, facciamo anche un litro e mezzo al giorno, fino a che non dimostra disagio fisico cacandosi addosso, perchè non dimentichiamo che oltre il 60% della popolazione mondiale è intollerante al lattosio e così pure mio figlio. La terza fase, quella decisiva, è la fase LETTO. La fase letto, come potrete capire dal nome, consiste nel tenere a letto un treenne.

Ahahaha, facile eh? Una cazzata veramente. Munitevi di lettini di contenzione, di quelli con le cinghie. Mica facili da trovare, da dopo la legge Basaglia se ne trovano in giro soltanto in certe strutture per anziani dove non fareste ricoverare manco vostra suocera. Altrimenti ipnotizzatelo con i teletubbies in loop.

Pare facile, ma non lo è.



L'altro rimedio collaudatissimo da mio suocero (che non dimenticate, era quello che suggeriva di strofinare con la grappa le gengive del bambino alle prese coi primi dentini), è il miracoloso sciroppo di rapa. Lo sciroppo di rapa, come suggerisce il nome, è un estratto di rapa trasformato in sciroppo attraverso non so quale misterioso processo (che a pensarci bene non voglio manco sapere), attraverso il quale un quintale e mezzo di rape producono un decilitro di liquido denso dal colore opalescente.

Avete presente il sapore delle rape? Buone, vero?
Vero che se vi dicono "immagina una cena in un ristorante elegante" e vi mettete a visualizzare le pietanze che desiderereste ardentemente mangiare, vi vengono in mente le rape? Succede sempre anche a me. Ma la cosa che mi piace di più in assoluto dello sciroppo di rape prodotto dalla premiata ditta Adorati Nonnini, è immaginare Nonna Mimetica che rimesta nel pentolone, magari senza dentiera, con la sigaretta in bocca in quella posizione particolare che assumono tutti i fumatori quando hanno le mani occupate, ovvero cicca sul lato del labbro e occhio chiuso, cosa che la farebbe somigliare ad una specie di Braccio di Ferro. Un'immagine di un romaticismo unico, alla quale amo pensare quando mi sento minacciata dagli eventi di questo mondo.

Ecco, lo sciroppo di rapa si presenta in un barattolino piccolo, o in una bottiglietta da succo di frutta, che un tempo contenevano altre cose. Questo packaging è FONDAMENTALE per garantire al consumatore finale (in questo caso, il water) la garanzia che il prezioso elisir di gioventù (o giovinezza, scegliete a seconda se siete di destra o di sinistra) sia effettivamente fatto in casa dalle sante manine di una nonna premurosa.
Una volta che avrete questa garanzia inderogabile, aprite il barattolo ed accostatevi le narici. Di cosa sa? Non ha importanza. La cosa importante è che VE NE LIBERIATE. Somministratelo dunque in un'unica dose al water di casa, oppure se disponete di un pozzino biologico a portata di mano, potete gettarlo lì e dimenticarvene.
E mi raccomando, quando i suoceri si informeranno telefonicamente del fatto che lo sciroppetto abbia sortito un risultato, simulate entusiasmo per questo prodotto - anzi - questo MEDICAMENTO del tutto naturale, emanazione diretta del principio omeopatico della Rapa Communis, e comunicate loro che sta sortendo i miracolosi effetti tanto agognati. Infatti il vostro w.c. continuerà a splendere di biancore porcellaneo, e vostro figlio non vi odierà per averlo costretto a buttar giù qualcosa di realmente disgustoso ed inavvicinabile.

E mi raccomando, sappiate essere creativi.
Quando vostra madre vi chiederà le tre fatidiche conferme allo stato di effettiva applicazione della terapia, ovvero "gliel'hai messa la lana?" come no, mamma: una pecora intera.
"Gliel'hai dato il latte?", certo, gli stiamo tenendo la bocca aperta, il Gig tiene fermo l'imbuto ed io provvedo a versare; "Ma il bimbo è a letto?" certo che sì, è nel suo lettino con la pecora di cui sopra. Speriamo solo che faccia effetto l'antipulci.
Speriamo.