lunedì 31 marzo 2008

L'angolino della dieta

Avevo l'impressione di non aver perso molto, dalla visita precedente, e questa cosa mi ha generato una certa ansia. Più che altro, l'ansia è scaturita dal ricordo dell'uovo di pasqua del Nano, della cioccolata che ho mangiato dalla mi' sorella (non essendo mia e di conseguenza non custodita presso la mia dimora, pensavo che valesse come non averla mangiata, ma evidentemente mi sbagliavo), dalla crostata di frutta e dal kebabbino della domenica sera, che non rientravano proprio nella Zona, e manco ci si avvicinavano.
Durante il viaggio in macchina alla volta dello studio della dietologa, mi sono mangiata le unghie di entrambe le mani per vedere di alleggerire un po' il peso, e mentre aspettavo mi sono strappata alcuni capelli.

Non sono dimagrita. Non sono nemmeno ingrassata. Sono rimasta uguale all'altro mese. Bisognerà che torni a fare la spesa con più criterio, mi son detta.

Ma il criterio era già lì in agguato ad attendermi, nascosto nella cassetta della posta, ed era travestito da bolletta del telefonino.
Il Gig, che non usa praticamente mai il telefono, ha totalizzato tanti tanti punti: ben 190 euro di consumi in due mesi, di cui un centinaio spesi per inviare MMS e per traffico internet.
Ora, io credo che il Gig sia in assoluta buona fede quando mi dice che lui MMS non ne ha mandati, ed io gli credo ciecamente. Penso che l'MMS per lui sia l'acronimo di Mi Metto Seduto, e non vedo come potrebbe collegarsi ad internet per 20 ore al giorno dal telefonino, visto che può farlo più comodamente da casa.
Grazie a questa bolletta miliardaria, la dieta per noi sarà una certezza.
Anzi, forse dovrei dire la fame.

Esperimenti lupini. Tragedia in cucina.

Stamattina è una di quelle mattine in cui devo fare milioni di cose.
L'ordine del giorno è gustoso e bello ripieno, e lo riporto qua di seguito:

  1. Mettere in ordine il casino post-domenicale
  2. Cambiare tutte le lenzuola
  3. Fare una caterva di lavatrici
  4. Farmi la doccia e stirarmi i capelli
  5. Depilare la cotenna
  6. Stirare una montagna di panni molto estesa sia sul piano verticale che orizzontale
  7. Preparare le minestrine al Nano
  8. Andare dalla Dottoressa Cattiva, che mi attende per le 11.15
  9. Pulire a fondo il cesso
  10. Pulire a fondo la cucina.
Peccato che mi sia venuto in mente di provare un esperimento alimentare.

Il mio adorato Gig compirà gli anni il 27 aprile, ma siccome a me piace farmi trovare preparata, ho deciso che lo stupirò con una torta dagli effetti speciali davvero notevoli. E per raggiungere un certo risultato, occorre innanzitutto fare le prove.
Ho trovato su internet una ricettina per preparare una pasta modellabile a base di marshmallows, che promette una certa velocità di esecuzione e soprattutto soddisfazioni non indifferenti. E siccome non occorre altro che marshmallows e zucchero a velo, e guardacaso la dispensa ne è provvista in abbondanza, mi sono messa lì a sperimentare, col Nano che mi gironzolava intorno.
L'esecuzione è semplice: si sciolgono i marshmallows in un pentolino a bagnomaria, si aggiunge dello zucchero a velo in quantità variabile, si versa sulla spianatoia e si impasta come la pasta del pane. Semplice, no?
Innanzitutto, il marshmallow sciolto ha la stessa consistenza e temperatura della lava pahoehoe, e la stessa devastante capacità di fuga. Infatti, non disponendo di adeguata spianatoia (che è uno di quegli oggetti che mi riprometto sempre di comprare, e poi non compro mai), ho versato questo composto direttamente sul piano di lavoro. Piccolo consiglio: non fatelo. Non vi venga neanche in mente.
Mi sono ustionata una mano, e adesso ho anche mezza cucina appiccicosa. Per non parlare delle fughe tra le piastrelle, da cui il malefico composto non verrà mai più via, e ben mi sta. Anzi, son quasi contenta che stia lì per i prossimi dieci anni, che mi serva da monito per gli scellerati esperimenti futuri.
Mentre ero lì che impastavo, con le mani completamente ricoperte di blob verdastro, il Nano se ne approfittava allegramente tirando giù tutta la dispensa. Ha infierito con particolare cattiveria sui biscotti Granturchese del Gig, rovesciandoli per terra e camminandoci pazientemente sopra con gli stivali di gomma (attualmente a casa Lupina non si usano più le ciabatte da Nano, ma sono state sostituite da un meraviglioso paio di stivali da pioggia decorati con fantasia di animaletti, nei quali i piedi naneschi sguazzano nudi). Così, oltre ad avere il piano incrostato di zucchero gommoso che non verrà via neanche se chiamiamo Ratzinger in persona a benedirlo, adesso ci sono briciole di Granturchese dappertutto.
Alla fine sono riuscita a domare la maledetta pasta filante e a ridurla in schiavitù, ma sempre troppo tardi: il Nano nel frattempo era stato posseduto dal demone di Aldo il Ribaldo, e con le mani luride di poltiglia appiccicosa di biscotto e acqua (questo Nano ha la capacità di scovare le ciotoline dei gatti con l'abilità di un rabdomante), aveva preso in ostaggio il mouse del computer e ricoperto completamente della suddetta poltiglia.
Non pago di ciò, si è pulito alle tende del soggiorno ed ha sparso morte e disperazione tra i pupazzi. E tutto ciò mentre io gli correvo dietro con le mani alzate ed i palmi verso la faccia, come si vede fare ai chirurghi in Dr. House, gridandogli dietro delle poco convincenti minacce.
Finalmente sono arrivati gli Adorati Nonnini a porre fine allo scempio, lui si è trasformato in Camillo il Tranquillo e si è fatto docilmente vestire e trasportare altrove.
Ora devo sconfiggere l'arco temporale riuscendo a fare tutte le cose descritte precedentemente, con modifica dell'ultimo punto:

10. Disinfestare la cucina dall'appiccicume.

Nel delirio generale, uno schizzo di lava deve aver colpito il gatto Federico, che adesso è qua che si lava con una certa accuratezza. In quelle pupille verticali leggo chiaramente l'intenzione di farmela pagare.
Ma che ci faccio ancora qua a scrivere, maremmaciuca?

sabato 29 marzo 2008

La scomoda eredità della Maria Vincenza. Post non tessile.

"Lupi, cos'è quella targhetta?"
"Ti piace? E' la spilletta che mi hanno dato al lavoro da appuntare alla giacca."
"Ma c'è scritto Maria Vincenza! Tu non ti chiami così"
"Lo so, quelle col mio nome le avevano finite."
"Ma come, finite??"
"Sì, c'erano rimaste solo quelle con scritto Solange, Martina e Maria Vincenza. A me Solange non piaceva, Martina lo trovavo troppo comune, e allora ho optato per Maria Vincenza. Ti piace? Carino, vero?"
"Ma Lupina, è orribile! Non mi piace per nulla, ma che cacchio di nome è Maria Vincenza?"
"Ma perchè, Gig? Guarda che ci rimango male, io ho sempre desiderato un nome col maria davanti. E poi Maria Vincenza suona molto solenne, con questa zeta finale."
"Ma tu vuoi farmi credere che da adesso in poi sul lavoro ti chiameranno Maria Vincenza? E come farai? Dovrai abituarti ad un altro nome, quando qualcuno ti chiamerà non ti volterai, sarà tremendo! E poi dai, Maria Vincenza è troppo brutto, non ti sta bene per niente. E' pazzesco, questi taccagni non ti vogliono neanche fare la targhetta col nome ma ne riciclano una di un'altra, ma ti rendi conto? " Il Gig era già con le mani nei capelli.
"Ma no, Gig, non dire così. Guarda che ho già cominciato a presentarmi al personale con questo nome. Ormai per tutti mi chiamo Maria Vincenza, non posso più tornare indietro. Anzi, facciamo una cosa: comincia anche tu a chiamarmi Maria Vincenza, così mi abituo prima. Mi raccomando, non omettere il Maria davanti che ci tengo, eh?"

Siamo andati avanti mezz'ora in questo modo.
Alla fine, gliel'ho dovuto dire che la spilletta mi serve come campione per farne fare una uguale col nome giusto. Peccato, però, perchè a Maria Vincenza mi stavo proprio affezionando.

La scomoda eredità della Maria Vincenza. Post tessile.

Stamattina, dovendomi recare sul posto di lavoro e non potendo indossare nessuna delle due paia di pantaloni decorosi di cui attualmente dispongo, mi sono apprestata all'immersione nell'armadio della mia giovinezza pregravidica alla ricerca di un capo largo e ampio abbastanza da contenere le mie lardose cotenne.
Sono riemersa dagli angusti meandri con una sfilza di pantaloni di taglia ragionevole, ma con la morte nel cuore, sapendo già di dover spingere indietro il pannicolo adiposo ventrale e spalmare quello femorale su tutta la lunghezza della gamba, creando quel bell'effetto tubo da grondaia che tanto mi caratterizza. Mi sono provata un paio di pantaloni di lana a quadrettini, che sapevo ben larghi e sformati, e ualà, mi stavano giusti. A questo punto, mi sono permessa di azzardare: ho infilato dei pantaloni grigini con la riga, sui quali non contavo più da tempo, e miracolo! mi stavano anche quelli.
Sono andata avanti per mezz'ora almeno, ed ho provato un capo dietro l'altro. Rientro quasi in tutto, anche se certe sottanine da prostituta libica non mi azzardo ancora a indossarle. Colta da un raptus che definirei senso del possesso che fu pre-alessandrino, mi sono riappropriata della vecchia me stessa, sebbene io debba ancora lavorare sulle mie cicce per rientrare nei miei cenci di prima del Gig, era che rifulge nei miei ricordi ed ha ormai assunto dimensione mitologica.

Giunta finalmente sul luogo di lavoro allegra come un fringuellone di svariati chili, ho trovato una sorpresa a dir poco agghiacciante: la prova delle divise. Non sapevo che avessimo delle divise. Quando le ho viste, mi è venuta voglia di strapparmi i capelli. E siccome mi veniva da urlare e la mia voce come il coro delle sirene di Ulisse spacca i timpani, mi sono data una regolata ed ho solo commentato con un ehm, carine.
Le divise sono una cosa inguardabile. Non saprei come definirle. La morte della vestibilità, forse. Color giallo catarro, un due pezzi di shivaismo tantrico di stile dionisiaco con camicia bianca leggermente ingiallita sotto le ascelle. Dico solo che dovrò indossare un gilet di gabardine gialla in agosto. Agosto, per chi non lo conoscesse, è un mese in cui il caldo raggiunge vette di sudorazione inenarrabile. Agosto, da queste parti, è sinonimo di cremazione. E' anche un mese di grande nervosismo, figuriamoci se uno ha voglia di inguainarsi in un aderente completino giallo pus che stringe sotto le ascelle come la morsa di Ken Shiro. Mi sento male.
"Tieni, Lupina, questa è la divisa della Maria Vincenza, la tipa che lavorava qua al posto tuo lo scorso anno. Siccome anche lei era un po' ehm sovrappeso, ti dovrebbe entrare bene" mi fa Rossella Brescia, dall'alto della sua anoressia.

Provo il completo, e le tette si rifiutano di collaborare. Queste due stronzette hanno deciso che loro il gilet non se lo mettono, e se ne vanno per i cazzi propri in giro per la camicetta. La gonna sarebbe perfetta, se solo non dovessi chiudere la cerniera. Vabbè, ma son piccolezze, posso pure lavorare in pieno agosto con la cerniera aperta e le mutande di fuori, e che sarà mai, mica ci sarà gente che si formalizza. Tanto se guardiamo al piano di sopra, c'è una camicia sbottonata fino all'ombelico ed un orribile gilet giallo aperto, e che diamine.
Così, oltre a dover essere fresca come una rosa alle 7.00 del mattino, parlare tedesco perfettamente, ricordarmi una valanga di cose impossibili e reprimere i giramenti di palle, adesso devo pure subire l'onta della divisa da brufolo in procinto di scoppiare.
"Ci sono anche le scarpe" mi sussurra Rossella Brescia.

Vabbè, almeno quelle mi entrano.

Es un sentimiento nuevo
che mi tiene alta la vita.*


* E'tutto il giorno che canto questa canzone. Mah.

venerdì 28 marzo 2008

Messaggio per i ragni

Non ci venite nel mio bagno, ragni marroni grossi e pelosi.
Per stavolta vi è andata bene, ma in generale è meglio se non ci venite.
Non è il luogo adatto a voi, correte grossi pericoli.
La prossima volta che uno di voi si fa la ceretta nel mio bidet, sappia che nemmeno Spiderman in persona lo potrà salvare dalla mia furia.

giovedì 27 marzo 2008

Cacarella comunitaria.

Io vado pazza per i giovedì. Mi piacciono tantissimo, non riesco a farne a meno. Se non ho almeno un giovedì alla settimana, schiatto.
Il giovedì è un giorno sacro e beato, perchè sono tutti via e il Lupinaio si trasforma nel mio regno incontrastato. Il Nano viene vaporizzato verso le nove del mattino, arriva la Santa Donna che mi pulisce casa, i Nonni sono a lavorare fino alle sei di sera e non tornano manco a pranzo, e del Gig fino alle cinque e mezzo non v'è traccia alcuna. Rimaniamo giusto una manciata di quadrupedi miagolanti, un cane e la sottoscritta.
Il giovedì è il giorno del taglio delle unghie, degli esperimenti culinari e della gita fuoriporta. Qualche volta è anche il giorno dell'epilazione, ma siccome è una pratica che mi sta piuttosto sul gozzo ho preferito spostarla ad una giornata che mi sta antipatica, ovvero il sabato, per non inquinare il senso di peccaminosa beatitudine che il giovedì è in grado di creare.
Per fortuna, il giovedì inizia prestissimo (ovvero a mezzanotte del mercoledì) e finisce ad ora ignobilmente tarda (ovvero a mezzanotte del giovedì), così me lo godo a dismisura.
Stamattina ero in bagno con la mutanda calata, pronta a pregustare il mattutino bidet, quando sento squillare un suono sinistro: è l'interfono, la bestia malvagia che abita dentro un piccolo innocente cordless nero in grado di rendere la casa dei nonni Lupini comunicante telefonicamente con la mia, che mi chiama importuno dalla cucina.
"Chi cazzè?" chiedo scostante.
Di là una voce oltretombale "Sono la tu' mamma, sono gravemente ammalata. Devi venire immediatamente qui, perchè necessitiamo del tuo aiuto"
"Come sarebbe a dire necessitiamo?"
"Stamattina è a casa anche il tu' babbo."

Meraviglioso. Non ho parole.

Scendo al piano di sotto, dove mi attendono i miei genitori in pigiama sotto le coperte, i quali mi annunciano con solennità abbiamo la cacarella.
Evviva. Che bello. Non mi sentivo così da quando mi dissero che avrei ricevuto un mappamondo che si illumina per la prima comunione.
La mia giornata si riempie di sinistri presagi. Qualcosa mi dice che questo giovedì non mi piacerà.
Ho trascorso la mattinata a comprare agrumi in luoghi remoti, settimane enigmistiche autografate dal Papa e strani medicinali per il cacozzo, ed il pomeriggio a preparare the sempre troppo forti, troppo caldi, troppo freddi e troppo zuccherati. I miei piedi hanno scavato un solco tra la cucina dei nonni Lupini e la camera da letto, tanto che potevamo montarci direttamente una sciovia per accelerare le cose. Per condire il tutto, il Nano è stato riconsegnato al mittente un po' prima del previsto, ed ho trascorso il resto della serata a percorrere il solito tragitto con un bambino piagnucolante attaccato alla gamba del pantalone come certi barboncini erotomani.

Ad un certo punto, proprio quando stavo meditando di gettarli nella più vicina discarica, una luce remota giunge ad illuminare la mia giornata: la mi' sorella.
Finalmente posso condividere le mie tribolazioni filiali con l'altro frutto dell'amore! Evviva, ora se li becca un po' lei!
"Guarda, io devo andare un attimino su in casa (che in lupinese significa mi tolgo di torno permanentemente, e ora son cazzi tuoi), ci stai te qui con babbo e mamma, che io torno subito (che in lupinese significa non torno nemmeno se vengono a prendermi gli s.w.a.t. con le granate a pungiglione), ma subitissimo (che in lupinese vuol dire ciaoo bellaa)?"
"Sì, ma torna subito." mi fa con un'espressione da calzino centrifugato, "perchè anch'io mi sento male: ho la cacarella"


Eeeeeh, ma che giovedì del cacchio!

mercoledì 26 marzo 2008

Nonna Mimetica.

Mia suocera è una donna mite e silenziosa, talvolta pure troppo. Il suocerismo silenzioso è una dote davvero apprezzabile, infatti io adoro questo suo lato, e la lodo a dismisura facendo anche la sborona con tutte quelle mie amiche che hanno suocere impiccione.

Mia suocera è una santa, secondo me. Ha sopportato la gioventù pipilona del Gig, gli ha stirato con dedizione pile e pile di magliette del suo periodo metal facendo di lui un metallaro molto ordinato e coi calzoni con la riga, ma soprattutto ha saputo ascoltare le deliranti diagnosi di Nonno Asl senza scomporsi minimamente, immobile e serafica come uno di quei faccioni di pietra dell'Isola di Pasqua.
Mia suocera è silenziosa, perfettamente mimetizzata con gli arredi di casa. Potresti scambiarla per un mestolo da polenta, ma poi la Marlboro Light stretta tra le labbra tradisce inesorabilmente la sua presenza. Infatti i mestoli da polenta di solito non fumano, e a pensarci bene di solito non hanno nemmeno le labbra.
Mia suocera è una specie di divinità domestica al pari dei Lari e dei Penati, ma tuttavia anche lei ha un suo lato pazzo, e lo sfoga in cucina.
In realtà io sono convinta che mi detesti e che tenti di vendicarsi per averle portato via il suo bambino, ed allora mette in atto una tecnica subdola per togliermi di mezzo: la cucina piemontese.
Mia suocera mette alla prova la mia incolumità fisica con il fritto misto e la bagna caoda. Il fritto misto alla piemontese è un piatto complicato, e prevede una lunga preparazione degli ingredienti, e se mia suocera si mette lì a a spignattare sacrificando il suo tempo prezioso è unicamente per attentare alla mia vita. Esso è composto da una parte salata ed una dolce, tutte rigorosamente ipercaloriche ed indigeribili, annegate in una pastella misteriosa e fritte e rifritte in un bagno d'olio che farebbe la felicità di tutta la truppa androide di Guerre Stellari. L'olio, nella tradizione piemontese, non viene mai buttato: si usa per friggere di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, fino a che la composizione chimica raggiunge il peso atomico dell'uranio impoverito. A quel punto, si usa per ri-friggere per l'ennesima volta un mucchietto di patate innocenti, e si scola sul piatto da portata: questo permette alle patate di mantenere la giusta consistenza flaccida e di divertirsi un po' sguazzando. Perchè non sia mai e poi mai che un fritto risulti croccante! Onta e vituperio! Il fritto deve assumere la stessa identica consistenza del pastone per le galline, altrimenti fa male e non è buono da mangiare.
L'altra arma segreta suoceristica è la bagna caoda. Bonissima, per carità, specie per le fanatiche delle verdure crude come me. Peccato che la salsa sia una sorta di cugino del Napalm, che rende il tuo alito iscrivibile di diritto all'elenco delle armi improprie dell'FBI. Il giorno dopo, la clausura e il bagno nella citrosodina diventano la tua realtà. L'alternativa sono l'esposizione al pubblico ludibrio e la bollatura di untore, sempre che l'ulcera gastroduodenale non ti abbia portato via da questo mondo prima che tu riesca ad alzarti dalla sedia. Qualcuno attribuisce erroneamente l'inizio del fenomeno dell'apartheid al governo di etnia bianca sudafricano del dopoguerra, ma in realtà non è andata così: l'apartheid nasce in Piemonte in pieno boom economico, sui tram che portavano gli operai della Fiat sul posto di lavoro, e serviva per far scendere precipitosamente quelli che avevano mangiato la bagna caoda la sera prima.
Mia suocera mette in atto queste brillanti strategie per stendermi al tappeto.
Il Gig e Nonno Asl sembrano totalmente impermeabili al disturbo gastrico. Loro sono lì a tavola che si passano il sale allegramente, e discutono sulle tristi sorti calcistiche del Torino, mentre io trasfiguro lentamente dal colorito roseo al magenta, per terminare poi la cena con un bel verde petrolio (che ripensandoci non sta poi tanto male coi miei riflessi color rame).

Io sono una che di solito si adatta. E poi vivo col terrore che mia suocera, donna assai permalosa, se la possa prendere pensando che io non apprezzi il frutto delle sue fatiche domestiche, e quindi mangio. Oltretutto sono anche una poco schizzinosa, quindi riesco benissimo a simulare entusiasmo.
C'è solo una cosa che mi fa ribrezzo, e che non mangerei manco morta: la carne alla pizzaiola.
E' inutile che me la spaccino per prelibata ricetta mediterranea: la carne alla pizzaiola è un residuo di calzoleria cinese immerso nel pomodoro.
Per fare la carne alla pizzaiola occorre far masticare le proprie ciabatte della stagione passata ad un cane di grossa taglia dotato di una certa pazienza, dopodichè le si espone alle intemperie, le si taglia a pezzi e ci si butta sopra del detersivo per capi neri. Poi si prende il pomodoro più acquoso che c'è in commercio, lo si butta in un tegame e ci si affogano le ciabatte. Poi si butta a caso quello che si trova in frigo, di solito capperi (fanno sempre barattoli troppo grandi per l'effettivo fabbisogno familiare di capperi, e quando avanzano vanno sempre a finire lì), delle sottilette rancide e qualche altro misterioso ingrediente che non sono ancora riuscita a scoprire, e quando l'amalgama ha assunto uno strano colore iridescente lo si propina agli ignari commensali.
Io questa robaccia qua la odio. Non riesco a mangiarla. Non so come mai, ma il mio corpo si rifiuta sistematicamente di assimilarla, e se per educazione ne mangio un pezzettino esso si presenta al mio palato con un sapore strano, tipo di chiodo rugginoso, e di conseguenza mi vengono i conati.
So' strana, lo so.

Mia suocera, tutte le volte che andavamo a mangiare da loro, mi faceva trovare sistematicamente la carne alla pizzaiola, che ovviamente al Gig piace. Io ad un certo punto dovetti confessare la mia repulsione verso tale pietanza, e mia suocera non fece una piega, con il suo cipiglio inossidabile accolse la cosa con indifferenza. Ma davvero tanta indifferenza. Sapendo quanto è permalosa, mi sembrò davvero strano.
Infatti, la somministrazione della pizzaiola improvvisamente invece di cessare aumentò. Le pizzaiole si moltiplicavano come i batteri dell'amiloidosi (che è un'altra di quelle malattie che House nomina sempre, un piccolo omaggio per quell'uomo che mi manca tanto), e non solo. Quell'anima santa votata al martirio, se cucinava la faraona o il brasato, preparava sempre un tegamino con un pochino di carne alla pizzaiola per me. E alla fine del pasto ci lasciava i resti della pizzaiola in un tupperware.
Io pensai che dovevo proprio starle sulle palle, e che stesse tentando di scoraggiare il nostro rapporto a colpi di pizzaiola.

Io ovviamente non sapevo che mia suocera è sorda e molto distratta.


Chiarito l'equivoco, svelato l'arcano, la pace ricominciò a regnare sulla vita lupinesca.
Nonna Mimetica, santa subito!

lunedì 24 marzo 2008

Lingua Nana. Si apre un capitolo nella Storia.

Nuove frontiere della Lingua Nana stanno aprendosi, regalandoci strepitosi e lussureggianti panorami. La capacità circense del Nano di arrampicarsi su nuovi sentieri linguistici lascia tutti di stucco: davanti ad un vasto pubblico di parenti che addentavano tocchi di rostinciana da due chili ciascuno e brandivano spiedini che sembravano la spada di Sandokan, ha finalmente pronunciato una nuova, sorprendente parola: ha detto


budello


E poi, più tardi, mentre in macchina giravamo come tre disperati sulle colline, cercando di dare un senso a questo lunedì di pasquetta, nel silenzio dell'abitacolo rotto soltanto dai boati degli Anthrax, il Nano ha detto


patata.


Io vorrei tanto conoscere chi ha programmato la parte linguistica del Nano.
Avrei bisogno di farci due paroline.

Uova di Pasqua

Il Nemico è tondeggiante, dolce, ricoperto da una carta argentata che crocchia.
Il Nemico è una fonte di goduria dalla quale attingere a piene mani scaglie di pericolosa felicità.
Il Nemico profuma di buono, non ha nessuna parentela con la lattuga, ed è impossibile stargli alla larga. Il Nemico è sottile e proibito, come certi peccati della carne.
Il Nemico, dietro una sfolgorante immagine di prepotente ed onesta allegria, nasconde una sorpresa deludente, come certi giovanotti ben vestiti e col macchinone, che però ce l'hanno davvero piccino, e magari si rasano pure le pelurie per farlo sembrare chissacchè. Dentro il delizioso involucro del Nemico, infatti, noi Lupini abbiamo trovato uno squallidissimo portachiavi con una mela di smalto stinta, assemblata da qualche manina cinese di povero nanetto inesperto, talmente triste che non so se avrò mai il coraggio di usarlo per la chiave del trattore.
E allora, per spazzare via la delusione, si provvede alla distruzione sistematica del Nemico. Così impara. Tiè.

Sto mangiando l'uovo di Pasqua del Nano, per chi non l'avesse capito.

sabato 22 marzo 2008

L'Amministrazione Gig

Oggi sono tornata alle otto di sera, dopo una giornata di reception sulla quale preferisco glissare.
Il Nano oggi era in Amministrazione Gig. L'Amministrazione Gig è l'ente preposto a subentrare al posto mio, e di solito si occupa di altro.
Devo dire che l'Amministrazione Gig ce la mette proprio tutta, ma non ha le tette, e la cosa di per se' lo fa partire già svantaggiato. Il Nano in Amministrazione Gig indossa gli stivali di gomma in casa, ha facoltà di attingere liberamente alle scatole dei biscotti, calpesta e lancia i libri della libreria e fa in sostanza il cazzo che vuole. L'Amministrazione Gig non fa molto caso agli abbinamenti di colore tra pantaloni e maglia e scambia allegramente i calzini, non conosce differenza tra maglia del pigiama e t-shirt, ed è molto più volta alla sostanza delle cose che all'apparenza.
L'Amministrazione Gig, nonostante la genuinità degli intenti, oggi non è riuscito a portare a termine con successo i suoi propositi manageriali: al mio ritorno ho trovato un Nano addormentato con addosso il maglione e i pantaloni della tuta e con una testa cotonata come quella della Vanoni. Quando mi sono chinata su di lui per baciargli quelle gote rosse addormentate, mi sono accorta che un certo odorino proveniva dal suo Santo Pannolino: il Nano ha fatto la cacca, ed è stato messo a letto con l'allegro fagottone.
Adesso si aspetta con pazienza che il Nano si risvegli per provvedere alla catarsi del Sacro Deretano, consci che questo addurrà molti lutti agli Achei (ma anche ai Lupini).

Però l'Amministrazione Gig ha avuto la delicatezza di togliergli i calzini.

L'angolino dei referrers

Si prega il Gentile Utente che è giunto qua digitando la parola Straccioman, di presentarsi domattina alle ore 12.00 presso il Lupinaio, dove verrà accolto da un comitato festante capeggiato dal Gig in persona in versione supereroe acciaccato.
Allo stesso verrà donato un pile emettente potenti scariche elettriche, in grado di caricare la batteria di un camion in dieci secondo netti.
Complimenti, Utente! Grazie a te Straccioman uscirà dal ghetto dei supereroi domestici, per assurgere finalmente all'Olimpo !

venerdì 21 marzo 2008

Il tedesco.

"Lupina, pronto, sono il Direttore di un hotel. Abbiamo visionato il suo curriculum e ci pare adatta per la posizione di addetta alla reception. Le va di venire a provare?"
"Ma certo, Direttore di un hotel! Ditemi quando, e arrivo."
"Venga venerdì dalle 13.00 alle 20.00."
Glub, "Ok, non c'è problema"
"E anche sabato, dalle 8.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 20.00"
Glub, "Ok, non c'è problema"
"E anche domenica, e forse lunedì. L'orario è quello di cui sopra. Ovviamente non la paghiamo."
Glub, "Ok, non c'è problema."

La receptionist, nell'immaginario collettivo, è una ragazza sciocca e frivola che se ne sta tutto il giorno seduta su una comoda poltroncina, a leggere le riviste che i clienti appena partiti hanno lasciato nelle camere. La receptionist risponde pigramente al telefono che il direttore non c'è, che ci sono camere libere, che il servizio ristorante è attivo dalle 12.00 alle 14.30. Non occorre essere scienziati nucleari per fare un lavoro simile. E che sarà mai.

Oggi ho scoperto che le uniche due cifre del mio quoziente intellettivo non sono ahimè sufficienti per ricoprire tale ruolo.
Innanzitutto, bisogna essere carine e piacevoli dalle 7.30 del mattino fino alle 22.30, ed io non sono francamente in grado. Io alle 7.30 del mattino non riesco nemmeno a comunicare in una lingua conosciuta. A quell'ora sono ancora in fase cavallona imbizzarrita, e invece di parlare nitrisco. Alle 22.30, invece, il mio aspetto è simile a quello di una frusta ciabatta di feltro con la zip, lasciata a marcire sotto un temporale. Questo ovviamente non l'ho scritto nel curriculum che il Direttore di un hotel ha visionato. In compenso ho scritto che parlo correntemente tedesco, e invece non è vero.
Io il tedesco non lo parlo un cazzo correntemente, ma lo balbetto. Di qui a parlarlo ce ne corre.
Il tedesco pensavo che fosse il mio unico tallone d'Achille, nel mio working profile per questa posizione. Mi sono angosciata molto, in questi giorni precedenti alla prova, perchè ho pensato che se arriva un tedesco al bancone e mi chiede informazioni fa di me una donna finita, e considerando che è Pasqua e che la cosa è pure molto probabile, non nascondo che un certo mal di pancia che mi ha accompagnato durante tutta la giornata. Tutto il resto, però, sembrava una cazzata. E che ci vorrà mai.
Infatti è arrivato il tedesco. Anzi, molti tedeschi. Per essere precisi, erano svizzeri. Ben 43, ma uno era un friulano emigrato, quindi lui non conta. E son cominciati i sudorini freddi, per la verità piuttosto copiosi.
La ragazza che mi hanno affiancato per la verità non mi piace molto. Innanzitutto, somiglia a Rossella Brescia, e a me Rossella Brescia sta sulle scatole a priori. E poi ha studiato tedesco alla mia stessa università, mentre io non ho studiato tedesco ma russo, francese e inglese, e quindi mi sentivo già in minoranza intellettuale. E poi è un po' stronzetta, mi ha spiegato quello che un ricercatore universitario ci mette anni ad analizzare approfonditamente in una maniera un po' troppo veloce e disinvolta, facendomi sentire una povera mentecatta neanche in grado di gestire uno stupido centralino con diecimilioni di tasti colorati da premere in una certa sequenza-altrimenti non va, o rispondono dal Giappone, o si autodistrugge.
Ad un certo punto della serata, una ziniora zvizzera è sceza alla rezeption perkè zuo rizcaltamento non funzionava, e lei zentire tanto freddo.
"Lupina, " fa ad un certo punto la perfida Rossella Brescia, "te l'ho spiegato prima in 4 secondi netti, perchè non dici TU alla signora svizzera come funziona il riscaldamento?"
"Io? Glub"
"Sì, dai, così vedo cos'hai capito."
E qua, ho chiamato a raccolta tutte le divinità terrene e ultraterrene, raccomandandomi a loro.

Segue la traduzione letterale del mio discorso.
"Io parlare tedesco male, e lei per favore lenta perchè io non capire. In sua camera c'è cosa come questo (indico un interruttore con una chiave), lei prendere piccola chiave deve e girare un poco un poco, sì? Poi con comando remoto piccolo tasto rosa deve premere e poi caldo viene." La signora non sembra convinta. "Ma io ho provato, non succede niente." "Allora signora questo tasto premere, poi aspettare e poi caldo viene. Forse c'è problema in batterie scariche " . Per un attimo mi sono sentita come la badante dei miei defunti nonni, incapace di comunicare anche i concetti più semplici per via di un insormontabile scoglio linguistico. Il sudore ormai percorre le mie membra come un iceberg disciolto. La signora mi guarda disgustata, la collega si lascia trarre in inganno dalla mia capacità metamorfica (io il tedesco lo parlo veramente da schifo, ma ho una pronuncia da gerarca nazista che mette sempre una certa soggezione), e io tiro un sospiro di sollievo.
Quando comincio a rilassarmi un attimo, arriva un signore svizzero. Non c'è pace. Mi guarda a lungo, io lo guardo. Ci guardiamo.
Alla fine lui mi dice: "Ho perduto il mio anello."
"Eh?" Non ho capito un cazzo.
"Ho perduto il mio anello. Anello, dito" e mi mostra l'anulare.
"Oh, sono dispiaciuta."
Mi guarda. Io lo guardo. Ci guardiamo.
"L'ho perso qua alla reception."
"Sono dispiaciuta." Aiuto. Che devo fare?
Lui mi guarda a lungo. Io lo ri-guardo. Se continua a guardarmi, va a finire che mi ci fidanzo. Non so che cosa dire. Mi viene solo da dire sono dispiaciuta, ma mi pare di averlo già detto.
Nel frattempo, arriva Rossella Brescia (che per la cronaca era al secondo giorno di ciclo e mooooolto, mooooooolto irritabile) ipercinetica e volitiva, che molto molto molto gentilmente si presta ad aiutare il signore che ha perduto l'anello nella ricerca dello stesso. Mi lancia un'occhiata di disprezzo.

Io mi rendo conto di non essere assolutamente tagliata per questo tipo di lavoro. Io non sono gentile, non parlo tedesco abbastanza decentemente, sono imbranata, mi perdo, son lenta ad imparare le cose, inciampo, tartaglio, balbetto, non sono affatto spigliata. Non sono nemmeno fashion, ho due magliette cacate da mettere nei giorni di lavoro e se mi si sporcano è la fine, ho una soglia di attenzione bassissima, mi distraggo facilmente, e alla gente tocca spiegarmi le cose milioni di volte, altrimenti non le capisco. Farò la figura dell'imbranata, pazienza.

Signore che proteggi le donne incapaci, abbi pietà di me.

giovedì 20 marzo 2008

Non c'è pace al Lupinaio.

Certo che in questa casa non si può stare tranquilli due minutini che sian due.

Se mi siedo un attimo al computer per farmi quei cazzini miei che mi piacciono tanto, ecco che arrivano in massa. Prima il Nano, che frigna perchè vuole usare il mouse, poi cambia idea e mi tende le braccine facendo una di quelle maledette espressioni da povero orfanello bulgaro per essere preso in braccio. Io che sono pappamolla e lupinabudina mi commuovo, e non appena me lo appoggio sulle ginocchia esce fuori l'altra personalità del Nano, ovvero Aldo il Ribaldo. Aldo il Ribaldo è la copia sputata del Nano, solo che ha il gel, l'orecchino e invece di farneticare le solite parole a caso (tipo LIDL e SIDIS e PICCINECUNERRO) spara di quei bestemmioni da far tremare i palazzi. Aldo il Ribaldo, benchè sia piccino picciò, ha già capito che se digita XXXXX sulla pagina principale di Google vengono fuori i siti porno, e allora si mette lì con quei ditini da morsi e si spara intere pagine di XXX.
Per fortuna arrivano gli Adorati Nonnini e il Ribaldo viene neutralizzato.

Poi è la volta del Gatto Masticatore. Non si può stare seduti impunemente, in questa casa. Il Gatto Masticatore ti deve venire in braccio a dare le capocciate e a masticarti il cingomma a due millimetri dalla faccia, emettendo delle fiatelle all'acciuga che stenderebbero l'Uomo di Pietra dei Fantastici 4. No, Gatto Masticatore, non puoi baciarmi sulla bocca. Non importa se fai le fusa, non te lo permetto. Non lo permetto nemmeno al Gig di primo mattino dopo una serata di bagordi a base di bagna caoda e con lui ci ho pure concepito un figlio, figurarsi baciare un coso peloso e nero con l'alito all'acciuga.
Che poi a pensarci bene, ho avuto un fidanzato peloso e scuro di capelli e con l'alito vagamente acciugato, e tutti questi problemi non me li facevo, ma all'epoca ero giovine, inesperta e innamorata, non mi rendevo conto. Lo so che mi vuoi bene, Gatto Masticatore, ma cerca di dimostrarmelo in un altro modo, eh? Che ne so, facendo una di quelle cose da gatto normale. Puoi portarmi dei topi, se ti fa piacere, anche dei serpenti, ma ti prego, niente baci sulla bocca.

Una volta sceso il Gatto Masticatore, è la volta della Gatta Spilla da Balia. Lei è davvero insopportabile. Ti si piazza addosso con un tonfo, le sue zampe sono dure e pestano come presse di una fabbrica, e quel che è peggio sono gli ami da pesca alla fine dei polpastrelli. Con lei sulle ginocchia, bisogna stare completamente immobili. Al primo accenno di prurito o di anchilosi, bisogna contenere i movimenti, altrimenti caccia fuori una serie di aghi che ti perforano le cosce, coi quali si aggrappa saldamente ai vestiti e quel che è peggio alla pelle, realizzando delicate scarnificazioni dalle figure vagamente antropomorfe. E' bello calarsi i pantaloni nello spogliatoio della piscina: mentre le altre mostrano tribali e tatuaggetti, tu te ne stai lì a piangere le tue miserie, con le cosce piene di segni rossi che ricordano i graffiti di Lascaux.
Se poi ti venisse voglia di leggere il giornale, è finita: arrivano tutti e tre, il Nano con le sue braccina tese da piccolo fiammiferaio, e i felini che coi loro culoni ti si piazzano proprio sull'articolo che stavi leggendo e cominciano a farsi il bidet in simultanea, togliendoti ogni gusto.
Se avessi un laptop me ne andrei al cesso, ma tanto so già che squillerebbe il telefono, e allora ciao.
Non c' è proprio un attimo di pace in questa casa.

Ti passa proprio la voglia di scrivere.

mercoledì 19 marzo 2008

Dal manuale di contorsionismo domestico: la messa in piega.

Ogni tanto mi viene in mente di farmi del male fisico, e allora mi cimento in una delle discipline sportive più dure dopo l'invenzione del Decathlon: la messa in piega.
Prendete una donna rustica e cinghiala, che ha a che fare tutto il giorno con la sua famiglia ed altri animali*, mettetela alle strette con l'avvicinarsi del primo giorno di un nuovo lavoro, fatele uno shampoo seguito da abbondante balsamo e lasciatela sola in una stanza con un phon, una spazzola arrotondata, un grande specchio e 10 minuti abbondanti di pace domestica, e vedrete cosa succede.

La messa in piega è un'arte subdola e complicata. Innanzitutto occorre avere le giunture mobili e snodate, quindi non è roba per le artritiche: il braccio che brandisce la spazzola deve essere in grado di girare oltre la testa, e quello preposto alla manovra del phon deve essere capace di seguirlo senza essere d'intralcio. Poi bisogna essere preparate a stare in piedi in posizione scomoda, perchè lo specchio e la lunghezza del cavo dell'asciugacapelli hanno rispettivamente la loro posizione nello spazio e non ammettono deroghe. Occorre anche una buona dose di fantasia ed inventiva, perchè non si sa come sia la nuca, e bisogna un po' inventarsela. Detto questo e fatte le dovute considerazioni, si può procedere all'operazione, non senza essersi accertati che il Nano sia custodito altrove in maniera appropriata, non si debba rispondere a telefonate o aprire a postini con raccomandata, avere la sufficiente dose di pazienza e di pinze per capelli.

Ci fu un tempo in cui questa donna era vittima del progresso e della performance, comprava prodotti costosi che promettevano di dare un senso alla sua vita e ai suoi capelli, e ci dava di phon e spazzola. Questo tempo si chiamò era dei capelli lisci, e durò un quinquennio buono.
Poi arrivò il tempo in cui non c'era tempo, e i capelli si lavavano con un prodotto che somigliava pericolosamente al Last al limone in 10 minuti scarsi. I suddetti capelli si animavano di vita propria, ed intrecciavano conversazioni l'uno con l'altro. Le tempie erano il luogo in cui essi amavano litigare , formando una sgraziata lanugine che nessun ammorbidente sarebbe mai riuscito pienamente a domare. Questo fu denominato l'era dei capelli a cazzo di cane.
Qualche anno fa, tornarono in auge i capelli ricci, e la donna ne gioì, anche perchè ciò significava non solo lasciare i capelli liberi di esprimere la loro personalità, ma anche non stare lì ad impazzire per renderli docili e rispettosi del lùcc. Però questa donna non aveva fatto i conti con il riccio destrutturato e mobile che ormai non esisteva più, e dovette armarsi di una specie di trombone da grammofono con i dentini, denominato diffusore, una spazzola apposita e tutta una serie di prodotti spumosi-laccosi-cristallidiluciosi che occupavano un mezzo armadietto del bagno, si rovesciavano inesorabilmente gli uni sugli altri, donavano un aspetto sinistro al ricciolo, e certe volte interagivano come certi medicinali, dando al capello un'ombra verdastra e pruriti al cuoio capelluto. Fu denominata era del ricciolo chimico.
E poi, fu il tempo del riflessante. Riflessi biondi hanno angelicato la chioma lupinesca, riflessi mogano l'hanno resa conturbante, riflessi blu l'hanno punkizzata per benino, riflessi oro e verdi e rosa e viola l'hanno di volta in volta travestita da maliarda, strega, pagliaccia e regina.
Alla fine, il bene ha trionfato. Sotto questa parrucca multicolore, il lupinesco color nutria bagnata ha ripreso vita, ed ora è tornato alla ribalta più spento e amorfo che mai. Fine della posa per venti minuti, risciacquo del colore con schizzamento del soffitto, fine dell'effetto maialino d'India.
Si inaugura il tempo del viene come viene sperando che nessuno ci faccia molto caso, si mette un elastichino di spugna e via, ad occuparsi di altro.
Fino almeno a che l'era della calvizie o del capello bianco non sopraggiunga.

* che Durrel non me ne voglia.

Lingua nana 3. Ideona.

Ho avuto un'illuminazione folgorante.

Basta dire che il Nano è lituano.
Spero solo di non incontrare nessun lituano, altrimenti è finita.

Lingua nana 2.

Bambino mio, tu vuoi la guerra.
Ci hai tormentati per mesi con i Peppi, adesso arriva il Piccinecunerro, al quale non eravamo abituati e che ci uccide, come ogni tuo messaggio crittografato.
Sul manuale di sopravvivenza per mamme cialtrone leggo che a un anno e mezzo i bambini parlottano e compongono frasi che solo la mamma è in grado di comprendere.
Ecco, allora io mi sento un fallimento. Non capisco un cacchio delle tue farneticazioni. Ieri sera hai tentato di buttare giù dall'automobilina a gettone un povero tuo coetaneo, il quale disquisiva amabilmente con la nonna sul colore dei pulsanti. Mentre lui comunicava all'Abelarda notizie interessanti quali quetto è vedde, quetto è bù, quetto è giaddo, quetto è loscio, tu assumevi un'espressione facciale da Bela Lugosi in Dracula e con una serie di ARGH MPGRH SGLORB tentavi di buttarlo di sotto, che già eri nervoso di tuo perchè il volante della suddetta macchinina non girava come avrebbe dovuto, e questo è senz'altro un buon motivo per avere le palle a rovescio.
E poi che dire della nana di quindici mesi con gli orecchini e la borsina che ti diceva tao bimbo, mentre tu tentavi di entrare coi piedi nello scaffale delle caramelle al supermercato? Mi costringi a mentire, se non parli. Alla mamma della bimba ho detto che avevi un mese in meno della sua, e che eri eccezionalmente alto in quanto tuo padre aveva parentele watusse (se poi non fosse sopraggiunto col carrello e non avessero visto che è un po' troppo biondo e bianco, la menzogna avrebbe retto alla grande).
Insomma, Nano, non posso continuare a mentire. Sei una creatura adorabile, ma si può sapere che cacchio di lingua parli?

lunedì 17 marzo 2008

Lingua nana.

Si pregano i sigg. Lettori che hanno dimestichezza coi bambini di un anno e mezzo di chiarire il significato del lemma PICCINECUNERRO, perchè qua c'è un Nano incazzatissimo che continua a ripeterlo, e nessuno è in grado di capirlo.
Mi sta picchiando.
Aiutatemi. Ditemi cosa vuol dire.

domenica 16 marzo 2008

Domenica lupina

La domenica pomeriggio, come di consueto, porto il Nano al pascolo.
La cosa di per se' sarebbe anche simpatica: vedere il Nano assieme ai suoi simili contribuisce ad una diversa immagine di lui. Io di solito sono abituata a vederlo razzolare come i polli alla ricerca di sassi, oppure alle prese col tiraggio di peli alle varie vittime quadrupedi. Vederlo in mezzo ad altri Nani lo rende più umano.

La domenica, qua in provincia, è il giorno in cui si va alla messa. Probabilmente è anche il giorno in cui vengono tagliate più unghie dei piedi, ma questo particolare non è del tutto rilevante. Comunque sia, noi provinciali ci atteniamo ad una legge non scritta ma tramandata oralmente da mamme e nonne rompicoglioni, che ci invitano ad alzarci presto, pettinarci accuratamente, indossare abiti inappuntabili ed andare a dare mostra di se' in qualche luogo pubblico. La messa, in questo caso, è il luogo ideale: la navata centrale funge anche da passerella per i devoti più fashion. Qualcuno accenna anche il mezzo giro per mostrare l'ampiezza del proprio cappotto nel tragitto panca-altare per la comunione, ma a noi Lupini non ce ne frega un bel nulla, perchè noi alla messa e 'un ci si va.
Noi lupini si va (a scelta): a) in paese, quando c'è il mercatino dell'usato; b) al mare, se non fa tempaccio; c) in altro loco riccamente farcito di boccolosi infanti, quando non si ha voglia di andare nel posto a e nel posto b.
Oggi era bel tempo, e siamo andati al b.

Il b oggi traboccava di famigliuole pargolute. Le famiglie pargolute recavano seco anche canidi piscianti e cacanti, gelati da passeggio, molte giacche di pelle mollemente adagiate sulla spalla sinistra, occhiali da sole e monopattini e cicli non mestruali, sui quali trovavansi appollaiate intere nidiate di rosei piccini.
I pargoli seguono i buoni dettami della moda, e come i loro genitori indossano i canonici capi di ordinanza della domenica. Ovvero, femmine rosa e gonnellate, e maschi jeansati un po' monelli. Noi appartenevamo alla minoranza maglionata-scalcagnata. Che poi via, diciamolo, essere gli unici vestiti a casaccio non significa l'appartenenza ad una minoranza. Semmai, se esiste la parola, ad un'unicanza.
La domenica, non si corre. Se si suda si puzza, e si sciupa il vestito. Se si corre e si casca, come minimo si apre un bel sette sul ginocchio, e allora son dolori. La bicicletta si spinge a mano, sul monopattino si va pianino. Mangiare il gelato diventa più difficile di una tracheotomia fatta con la penna biro.
La domenica i bambini sono dolceggabbanati, moschinati, bikkembergsati e gantati, e bisogna darsi una calmata, bellini, che babbo va a lavoro e i soldi mica li trova per la strada come le castagne d'ottobre.
E infatti, l'unico a correre nella piazza era il Nano, e noi dietro. Ha rotto le palle a tutti, e sia io che la Moscon(doro) ci siamo tonificate i polpacci e i polmoni soltanto a stargli dietro e a scusarci con i genitori dei pupi ai quali il Nano ha tentato di sottrarre gelati, palloni, biciclette e passeggini.
Noi tre, con la nostra unicanza malvestita (ma da domani ci si veste tutti meglio, promesso), eravamo soli in mezzo alla piazza. Anche un po' mogi, diciamolo.

Però poi è arrivato lui. Lui correva. Era vestito meglio di noi, molto firmato, ma aveva delle patacche di gelato davvero notevoli, e dei gran baffoni di cioccolata. Non appena ha individuato il nostro trio, ci è corso incontro trionfante. E' anche cascato un paio di volte, ma la mamma non ha detto nulla.
Quando si è avvicinato abbastanza, ho notato che aveva due candele di moccio da fare invidia ai ceri che ti mettono in mano per fare le foto il giorno della comunione. Il primo contatto tra nani è stata una ditata in un occhio, il secondo una spinta, il terzo una serie di manate. Lui non ha fermezza davvero, di fronte a tanta irruenza il Nano non sa cosa fare e lo scruta annichilito.
Perchè lui è D., l'alter ego moccicoso del Nano.
D. ha un babbino e una mammina molto cariiini, non ci si spiega come una bestia simile sia potuta scaturire da due personcine così perbene. Nel caso del Nano, certi interrogativi non se li pone nessuno.
I genitori di D. sono distrutti. Anche la loro casa è distrutta. D. non mangia mai, non dorme mai, non sta mai fermo*.
Vedere quei due che si trascinavano curvi dietro all'esuberante nano D. mi ha riempito il cuore di speranza. Sì, perchè quando leggo sui blog degli altri di bimbi bravi e buoni, che stanno fermi al tavolo se li porti al ristorante, che dormono taaanto e son dei bei paciocconi mangioni, mi viene da piangere.
Esistiamo anche noi, le bestie. Anche noi incivili cinghiali razzolanti abbiamo diritto di stare al mondo.

Ma per fortuna Dio ha creato D., e mi torna subito il buonumore.


*Nemmeno il Nano.

sabato 15 marzo 2008

La regina della casa

Che bei risvegli, al Lupinaio.

A Nonno Alzheimer, alle 7.32 del mattino, viene uno strano raptus. Spinto da una forza misteriosa, si alza dal letto, va nella legnaia (pericolosamente vicina alla finestra della nostra camera da letto), accende la motosega e sega DUE LEGNI DI NUMERO, non di più. Ma il rumore per segare quei due legnetti è sufficiente per farci svegliare nel peggiore dei modi.
Il Nano a quel punto attiva il sensore della rottura di scatole, e non si placa più. E siccome il Gig è tornato a casa in modalità Straccioman, decido di lasciarlo dormire.
Sul terrazzo mi aspetta una lieta sorpresa: i gatti devono aver scuoiato un fagiano, ci sono sangue e penne appiccicose dappertutto. E pure il bidoncino dell'immondizia sventrato, si presume non dal fagiano ma da gatto in vena di simpatici scherzetti. Mi metto a pulire lo sfacelo, mentre il Nano mi osserva dai vetri della portafinestra.
E nel frattempo trova l'ispirazione per fare la cacca, battendo sul tempo la mia ferma intenzione di cogliere l'attimo e metterlo sul water. E questa non è una cacca a caso: questa è LA CACCA. Quella gigante, che tracima ogni pamper ed invade la tua vita con la sua puzzolente presenza.
Così, tra spazzatura sparpagliata, resti di fagiano crudo e cacca, mi sono proprio guadagnata il sabato.
Eh, che meraviglia essere la regina della casa.

Meme(nto mori)

Ho finalmente capito cosa vuol dire MEME. Non è il nome di una delle Uincs, tantomeno una seilormùn. E' una roba per la quale si viene nominati, e alla quale bisogna attenersi, altrimenti ci potrebbero capitare delle disgrazie sulle quali preferisco glissare.
Ovviamente, i miei sette segreti sono un po' del cacchio. Quelli veri me li tengo per me.

Le regole sono queste:
1 - le regole del gioco copierai
2 - 7 dei tuoi segreti svelerai
3 - 7 felici vincenti individuerai
4 - un messaggio per avvisarli invierai
5 - a consultare il tuo blog li inviterai

1° Segreto, o della flanella
Mi fa impressione la flanella. Se per sbaglio entro in un letto con le lenzuola di tale disgustoso materiale, comincio ad avere delle visioni a carattere mistico e a parlare aramaico. Certe volte mi si gira pure la testa a 360 gradi, ma non vomito a spruzzo perchè sotto sotto sono una precisina e mi schifo se devo pulire certe schifezza.

2° Segreto, o della vetroresina.
Sono fortemente in soggezione di fronte alla vetroresina. Essendo io molto emotiva, se devo salire su un mezzo di trasporto costituito in vetroresina (barca, cabinovia, pedalò o semplice cavalluccio della giostra) mi emoziono e non riesco più a parlare, mi vengono i brividi e a volte la nausea.

3° Segreto, o del dito a martello.
Ho le dita dei piedi molto strane e brutte, specie il secondo ditino accanto all'alluce. Questa cosa mi ha creato imbarazzo per moltissimi anni, e mi ha costretto all'anfibio in piena estate. Ma siccome allo stesso tempo sono molto innamorata degli infradito di plastica da profugo, col tempo mi sono sbloccata e ora me ne infischio. Però se qualcuno mi guarda i piedi, anche se sono coperti da scarpe, mi vergogno come una bestia e istintivamente contraggo le dita dei piedi all'interno dei calzini.

4° Segreto, o dei fidanzati.
Ho avuto un sacco di fidanzati. Anche contemporaneamente. Soprattutto a loro insaputa.
5° Segreto, o della medicina.
Io ho sempre sognato di fare il medico. Purtroppo il mio curriculum scolastico è ridicolo, e non mi sono mai sentita all'altezza. Sono un cesso in tutte le materie scientifiche, compresa chimica e matematica, e questa cosa mi ha scoraggiata dall'intraprendere la carriera. Però ho letto due volte tutta l'enciclopedia medica, quando ero piccina, e ogni tanto la riprendo in mano.
Infatti non sbaglio mai una diagnosi, e quando gli specialisti che mi visitano vogliono fare gli sboroni incomprensibili li frego sempre perchè so esattamente di cosa stanno parlando. La cosa più figa che mi è successa è stata quando ho avuto una colica renale mentre ero in vacanza: quando ho spiegato la manifestazione dei sintomi ad un medico del PS l'ho sentito dire ad un altro: "c'è da fare un eco alla signorina. Fagliela subito, che è una collega."
6° Segreto, o del Dito Ciucciato.
Mi sono succhiata il dito indice fino ad undici anni, smentendo completamente la diceria che sostiene l'estrema pericolosità per i denti. Ho i denti dritti, non ho mai portato l'apparecchio. Ogni tanto una ciucciatina me la faccio anche adesso.
7° Segreto, o delle cose trash.
Mi piacciono le cose pacchiane. Riempirei la casa di sfere con la neve e di nani di terracotta da giardino. Poi però mi blocco, perchè un minimo di buongusto ce l'ho anch'io. Ma quando vedo una casa con la gondola veneziana, i piatti del Papa e le tazze con gli animaletti, soffro come una bestia sgozzata e mi vorrei all'istante trasferire lì.

Udite, udite! I miei sputtanati sono: Mamikazen, la Jes, M@w, Da0a10, la Babbi (che tanto di sicuro ha di meglio da fare che perdere tempo con queste cose come invece faccio io), Billo e la splendida N.



Grazie a thecatisonthetable e a My, che hanno permesso il mio sputtanamento webbico.

venerdì 14 marzo 2008

Masticazione notturna e misteri felini.

Scende la notte sul Lupinaio. Si sentono soltanto un rumore di treno che passa (nemmeno tanto lontano, dato che la ferrovia è a cinquecento metri), un lieve ronfare di Gig addormentato, un respiro affannoso (ho messo al mondo un Nano che di notte ansima come Dart Fenner), ed un altro rumore strano. Sembra quasi che qualcuno stia masticando rumorosamente un cingomma sul nostro letto.

Il gatto Federico è sempre stato un tipo strano. Specialmente da giovane.
Ad esempio, ha la mania della masticazione a vuoto. Fin da piccolo, Federico era soggetto alla noia metropolitana. Essendo nato in campagna ma cresciuto nel centro di Torino, dove non ci sono mosche a cui mormorare frasi sconnesse come solo i gatti sanno fare, nei momenti di noia si metteva lì a fissare il vuoto e masticare. Masticava ad occhi socchiusi, con fare beato. Ho interpellato non so quanti veterinari, per cercare di scoprire il perchè della masticazione, ma nessuno è riuscito a dirmi qualcosa di sensato.
Federico masticava per noia o per vizio. Certe volte, quando avevamo gente a cena, lui che è un amante della vita sociale ma mai si abbasserebbe a fare accattonaggio come tanti suoi colleghi, si piazzava su una sedia libera e si metteva a fissare ciò che avevamo nel piatto. Ovviamente, masticando. E con un certo trasporto, cosa che non tutti sono in grado di apprezzare nei gatti.
D'altro canto questa cosa del masticare a vuoto mi ha permesso di realizzare esilaranti filmatini in playback, in cui Federico cantava le canzoni di Sinatra con una certa intensità di espressione davvero insolita per un ammasso di peli, oppure declamava versi, o veniva intervistato, ma magari ad ospiti non gattofili vedersi a tavola un gatto che mastica il cingomma può anche dare fastidio.

Un'altra stranezza di Fede è la tosse a scomparsa.
Un tempo, quando vivevamo in una specie di pollaio di 32 mq e dovevamo sfruttare tutto lo spazio disponibile, dormivamo in un letto a soppalco. Ai gatti piaceva da morire salire e scendere dalla scaletta, a noi che dormivamo sotto le loro zampacce un po' meno, ma vabbè. Federico amava stupirci con effetti speciali, perchè del salire e scendere non si accontentava: lui aveva una missione, su quell'assurdo letto traballante. Lui doveva tossire.
E badate bene, mica una tosse a caso da due colpetti e via. Una tosse in piena regola, con tanto di emissione di batteri e lingua di fuori. Le prime volte ci svegliavamo di soprassalto, spaventandoci da morire.
"Gig, ma cos'ha il gatto?"
"Non lo so, chiamiamo il pronto soccorso veterinario, che questo qua sta mica bene. Non vorrei che tirasse le cuoia.", e via in ciabatte per Torino a cercare un veterinario aperto alle 3 di notte, con notevole dispendio di tempo e denaro. Inutile dire che il veterinario lo trovava sempre in formissima, e che i ritorni a casa sulla nostra Supercinque miagolante erano riccamente impreziositi di bestemmie e moccoli contro la Dea Bastet e tutto l'Olimpo dei protettori dei gatti.
Grazie ad un'attenta osservazione delle abitudini federichiane, ci accorgemmo che tossiva in un'unica occasione, ovvero quando saliva sul letto ed infilava la testolina tra le sbarre. A quel punto, la sbarra orizzontale di protezione del letto gli praticava un lieve fastidio alla gola, e lui cominciava a tossire.
Ma perchè, mi chiedo io. Ma perchè salire deliberatamente sul letto, mettere la testa tra le sbarre SAPENDO che ciò ti provocherà un violento accesso di tosse, provocando paura e sconcerto nei tuoi conviventi bipedi?
Siamo alla fine giunti alla conclusione che a Federico piaccia da matti tossire. Nella sua noiosa vita di gatto, la tosse è un simpatico diversivo, come il videopoker per il pensionato medio, o il cartone di tavernello bevuto di nascosto per certe casalinghe frustrate.
Da quando ci siamo trasferiti in campagna, la vita di Federico è notevolmente migliorata. In campagna ci sono i topi, gli insetti striscianti e quelli che saltano ma non molto in alto (gli uccelli no perchè ci vogliono delle abilità ginniche che il nostro gatto nero evidentemente non possiede), ed inoltre è occupato tutto il giorno a combattere contro l'Invasore (il gatto rosso di mia sorella, un derelitto tutto ringobbito che si introduce furtivamente in casa nostra e si sbafa tutto). In pratica, non tossisce ne' mastica più. E' un gatto nuovo.
Però si è aggiunta una fastidiosa e non trascurabile funzione nel suo piccolo sistema operativo, in sostituzione della tosse e dei masticamenti a cazzo di cane: adesso Federico è diventato logorroico. Basta che ti scorga da lontano per arrivare a tutta velocità miagolando, e non sta zitto un minuto. Se mi metto a stendere i panni e cerco quei tre minuti di solitudine per elaborare uno straccio di pensiero, ecco che arriva lui a raccontarmi cosa ha fatto, quante cavallette sono sfuggite alla sua stretta mortale, quanto quel gatto rosso sia un rompicoglioni. Insomma, anche se la tosse mi destabilizzava e la masticazione mi faceva fare delle figure orrende con gli amici, quasi quasi lo preferivo in versione muta.


Adesso però l'ho sentito masticare, in segreto, al buio. Quando non si rende conto di essere visto e sentito, mastica. E questa cosa mi preoccupa molto, segno che si sta annoiando. Eppure c'è chi tiene alto il morale, strappando peli e tirando code.
Questi gatti moderni, tzè.

giovedì 13 marzo 2008

Pubblicità.

La mi' sorella è una donna fortunata. E' proprietaria di un negozio in cui convergono tutti gli anziani dell'universo conosciuto, e oltre, e fanno domande strane, e raccontano cose bizzarre.
E siccome la mi' sorella è una che certe perle non se le fa scappare, ha aperto un blog.
La mia sorella si chiama MOSCONDORO, come quegli insetti che comunemente chiamiamo Cetonia Aurata e che non si capisce bene a cosa servono, però son bellini. E anche il suo blog è bellino, e promette bene.
Tenetelo d'occhio.

mercoledì 12 marzo 2008

Cartoni

Stamattina, mentre facevamo colazione col consueto toast sbruciacchiato, noi Lupini abbiamo fatto una terribile scoperta, che ci segnerà per il resto dei nostri giorni.
Al posto del meraviglioso cartone animato di Piggley Winks, abbiamo trovato una vecchia conoscenza in nuova veste grafica. Ricordate il dolce Remi, bambino francese sfigato, le cui avventure strappalacrime ci hanno fatto stare male per l'intera infanzia, pervadendo le nostre piccole esistenze di un senso di angoscia metafisica che non ci ha lasciato più?
Ebbene, è tornato. E con lui, un'amara verità: Remi, oltre ad essere un bambino a cui capitavano le peggiori disgrazie, doveva pure nascondere un terribile segreto: Remi, in realtà, era una femmina. Io non so Hector Malot cosa ne possa pensare, di questa faccenda.
So solo che se siamo usciti incolumi (o quasi) da questo cartone mattone negli anni 80, non sono sicura che riusciremo a fare altrettanto oggi.

I cartoni di adesso sono demenziali. Quelli di prima, pure.
A volte ripenso a Goldrake.
Goldrake è un esempio di cartone animato scemo. Riguardandolo con gli occhi di un adulto, però, ci si accorge che comunque un minimo di storia sotto tutte queste vicende c'era eccome. Solo che i nostri cervellini di infante non erano in grado di coglierne le sfumature.
Io, ad esempio, guardavo con attenzione solo le battaglie tra i robot.
E mi sono sempre chiesta due cose: la prima è come mai un robot che ha un'arma invincibile come le lame rotanti o i magli perforanti debba prima usare tutte quelle che non fanno nulla se non qualche graffio, e quella tosta soltanto alla fine. Ma non potrebbero usare da subito quella invincibile e ciao?
La seconda è come mai non fanno mai cose normali come fare merenda, mangiare qualcosa di diverso da minestroni marroni contenenti pezzi di non si sa bene cosa, oppure fare la pipì.
Possibile che a Heidi e Peter, che se ne stavano tutto il giorno al pascolo, non scappasse mai la cacca? Per me era una cosa estremamente strana. Io la cacca la facevo una volta al giorno, anche due. Per non parlare della pipì: fin da piccola ce l'ho sempre in agguato, la faccio di continuo. E poi ancora, ma come faceva Heidi a dormire in una soffitta non coibentata in quel gelido villaggio sulle Alpi svizzere? Qualcuno avrà notato che la piccola orfanella dormiva su un covone di fieno coperto da un lenzuolino misero, con una camicina da notte sbracciata e soprattutto SENZA UNO STRACCIO DI VETRO ALLA FINESTRA?
Capisco che sia romantica, la soffitta con la finestrina tonda e tutto il resto, ma vi pare normale che il Nonno se ne stia tranquillo a dormire di sotto, col camino acceso, e questa povera disgraziata sia perennemente sottoposta ai capricci del meteo? E come mai si svegliava sempre di buon umore, fresca e riposata?
Io, al posto suo, avrei avuto come minimo i reumatismi ed una perenne infiammazione al nervo sciatico. Anche un po' di giramento di coglioni tanto per gradire.
Per non parlare gli insetti annidati nel covone di fieno su cui dormiva. Come minimo avrà avuto i pidocchi e la scabbia, 'sta disgraziata. E invece nulla, lei continuava a svegliarsi con la pelle soffice e senza manco una febbretta, tutta pervasa di buonumore e allegria, impaziente di correre nei prati assieme alle caprette. Che poi, a dirlo tra noi, a me le capre non hanno mai fatto ciao. Al limite una bella cornata, ma ciao proprio no. Anzi, al mio babbo hanno persino sfondato saltandoci sopra la capote dell'unica macchina strafiga che abbia mai avuto, una BMW color cacca decappottabile. Insomma, dai, son carine e son simpatiche, però ciao non lo fanno.

E Goldrake, allora?
Ce l'avrà avuta, una mamma, Goldrake?
E cosa gli avrà urlato dalla finestra, quando lui se ne stava in cortile a giocare con gli amici? "Goldrake, rientra subito, che è pronto! Stasera ci sono i chili di cibernetica e l'insalata di matematica!" oppure "quante volte te lo devo dire che non devi andare a giocare su Marte, che è pericoloso! Ci sono i mostri lanciati da Vega!" "Su rientra, che è umido e ti si arrugginiscono le lame rotanti."
Insomma, dai, non regge. Ma chi vogliono prendere in giro?
E poi, a proposito di Remi. I miei genitori, con un'abile mossa subliminale, hanno sempre cercato di rendermi riconoscente nei confronti del loro attento operato educativo genitoriale, regalandomi dei libri ad hoc. David Copperfield, Senza famiglia, Incompreso, la piccola Fadette, sono stati i capisaldi della mia educazione. Il messaggio subliminale nascosto in questi terrificanti mattoni della letteratura infantile è il seguente: vedi come siamo stati bravi noi genitori Lupini? Non ti abbiamo neanche abbandonata mezza nuda in una cesta davanti al sagrato di una chiesa in pieno inverno. Ed in effetti, non mi hanno abbandonata. Qualche volta si sono dimenticati di venirmi a prendere a lezione di pianoforte, o a ginnastica, ma abbandonata in canottiera al mio destino proprio mai. A parte una volta che mia madre mi ha chiuso in mutande sul balcone in febbraio perchè l'avevo fatta un po' arrabbiare, ma posso tranquillamente affermare che durante tutta la mia esuberante adolescenza questa cosa l'ha pagata e con i debiti interessi.
Penso che uno di questi giorni dovrei fare un giro in cantina e cercare i miei vecchi libri...
Se hanno funzionato come apologia dei miei genitori, potrebbero andar bene anche per il Nano.

lunedì 10 marzo 2008

Ode in morte di un paio di Crocs

Mi tradisti, morbido ciabattone giallo.

Tutta un'estate ballammo assieme
un tenero valzer dell'amore.
Finalmente libera dalla schiavitù dell'alluce schiacciato
dall'occhio di pernice, dal dito a martello
entravo in te al mattino e ne uscivo alla sera,
quasi riposata.

Non vi fu mai poltiglia ne' sudore
appiccicato nel buio delle suole
grazie ai pratici fori di aerazione
posizionati sulla tomaia
e al morbido materiale anallergico
di cui eravate composte.

Vi ho amate di amore vero.
Poi venne l'inverno, e mi dispiacque
riporvi nel gelido stipetto
a far compagnia alle Birkenstock e ai sandalini fru fru.
E allora fu la volta del calzino.

Mai vi abbandonai, amati ciabattoni schiumosi,
memoria di freschezza nell'estate
di avvolgente calore nell'inverno.

Ma stamattina,
mentre scendevo le ripide scale del'avita magione
mi faceste scivolare sul muscoso scalino
che porta al loco ove si stipa l'umido pattume,
e siccome battei sonora culata
che mi fece spargere al vento i rifiuti della nostra vana umanità
(e sono ancora lì che la raccatto)
decisi che il tempo era giunto
per inaugurare i ciabattoni tirolesi.

E quindi, maledette gommone gialle,
vi saluto e vi ringrazio.
Resta di voi solo un pensiero,
quasi un dubbio che annebbia la mia mente:
se gettarvi nella plastica o nel secco.

Vi ho amate, lo ripeto.
Ma ora mi avete proprio rotto i coglioni,
come certi amanti di mia antica conoscenza,
e vi butto via
senza una lacrima in cuor.

venerdì 7 marzo 2008

Gli scambisti.

Una volta alla settimana, mocci e peli permettendo, porto il Nano in piscina non si sa bene a far che cosa. Nuotare, di certo no. Se per nuotare si intende stare a galla e sfruttare il principio di Archimede per spostarsi in acqua, non è questo il caso. Galleggiare, neanche: senza l'ausilio delle mie possenti braccia da lavandaia svedese il Nano finirebbe sul fondo della vasca a far compagnia ai bracciali smarriti degli armadietti. Affogare, neppure, anche se certe volte ci siamo avvicinati pericolosamente alla rianimazione cardiopolmonare.
Più che altro, si va a far la conta dei rispettivi sfaceli, a mostrare le mosciure e i flaccidumi, e a sparlare con le altre mamme delle mamme del turno successivo. O se non si riesce a rientrare nel primo turno a causa di un sonnellino troppo prolungato, si va a sparlare con quelle del secondo di quelle del primo. E via così.
La piscina è il mio incubo. Ci vado molto malvolentieri. Innanzitutto, è lontanissima e mi scazza una cifra caricare tutta la roba in macchina, poi nonostante non si possa entrare con i passeggini le mamme se ne fottono e arrivano con i bulldozer carrozzati schiacciando miseramente la tua roba. E poi non c'è mai spazio, le mamme son cafone e si portano dietro le nonne (ahiiii! graaaaave erroooooore!), il pavimento non rientra nel mio concetto di igiene sebbene sia piuttosto elastico, le docce sono un orribile luogo di pena secondo soltanto alla palude Stigia, e i batteri che causano le verruche li vedi correre come fulmini su tutte le maniglie delle porte. Se si aggiunge al panorama un Nano molto impaziente di buttarsi in acqua ed una mamma in infradito scivolose che sciabatta per stargli dietro, ecco qua un simpatico quadretto fitness.
La cosa che mi piace di più della piscina, è l'ingresso delle nonne sprint. Ce n'è una che puzza di sudore e di alcolico mal digerito che tutte le volte sbaglia l'ingresso, e passa da quella infida doccia con la fotocellula. E siccome le nonne son sì sprint, ma il costume non se lo mettono e se ne stanno in ciabatte tutto il tempo a bordo piscina ad aiutare le figlie (leggasi intralciare), va sempre a finire che qualcuna di loro si becca una bella doccia vestita. E siccome io son sempre sola e non c'è mai un cane che mi aiuti con la svestizione del Nano, mi vendico appostandomi dietro la porta dei gabinetti, pronta a saltare fuori e redarguire l'incauta nonnetta col mio bel ditino teso.
Ed un'altra cosa che mi sta sulle balls è la rastrelliera per le scarpe all'ingresso. Trattasi di scaffalatura stile Castorama, in cui gli utenti della piscina devono lasciare le scarpe. E mi sembra cosa buona e giusta. Se non fosse che la rastrelliera è posizionata in un fondo di stanzino senza uno straccio di finestra, cosa che provoca miasmi mefitici e svenimenti negli incauti utenti. In pratica, l'operazione di abbandono delle proprie scarpe deve avvenire in completa apnea. E augurati che non ti si formino quei fastidiosi nodi alle stringhe, perchè o hai la capacità polmonare di Majorca, o sei clinicamente morto. Le scarpe, che si tratti di abbandono o di recupero, io le lancio. Non mi sto nemmeno a preoccupare di metterle bene, le lascio lì e via. Ho fatto un po' da opinion leader, in questo, ed ho notato che adesso le lanciano più o meno tutti.
In genere, chi va in piscina sfrutta l'occasione e si mostra fèscion. Molte mamme e sorprendentemente quasi tutte le future mamme (avevo dimenticato di dire che parallelamente al corso di acquaticità per nani nella vasca accanto si tiene quello per panzone) sfoggiano epilazioni totali e perizoma. Io quando ero incinta la patata la ricordavo vagamente, più che altro per l'omonimia con il gustoso ortaggio. Figurarsi mettersi lì a pelarsela. E il perizoma, mah, che dire? Una stringa di stoffa larga quanto la cintura di una vestaglia che ti solca le chiappe e riappare lì dove la femmina tiene le sue cosine segrete, suvvia, ma non ha tutto l'aria di una tortura? Sono convinta che certi eretici sottoposti alla garrota si sentissero più a loro agio. Io, comunque, non me ne vergogno, e resto fedele ai mutandoni col fiocchino davanti.
Io invece son cialtrona, mi vesto male e soprattutto mi metto certe scarpacce da vergognarsi. Ad esempio, le mie scarpe preferite per la piscina sono una paio di Nike vecchie come la Ventura, bianche con baffo blu, che non hanno bisogno di essere slacciate per togliersele, ma basta una bella calciata e ti resta dentro pure il calzino. Calzini sui quali è meglio soprassedere. Dico solo che i più seri che ho son decorati con una fantasia di castagne, il che è tutto dire...
Son scarpe talmente vecchie e brutte e vagamente catarifrangenti che le vedo pure da lontano nella penombra della rastrelliera. Eh, a me piace la vita facile, che ci posso fare.
Insomma, l'altro giorno mi infilo queste scarpe, e improvvisamente mi accorgo che mi stanno molto comode. Oserei dire pure larghe.
Comincio a camminare come Bagonghi e mi avvio verso il parcheggio, ma uno strano ed angosciante tarlo mi perfora le meningi. Ma avevo questi calzini, quando sono uscita? e nel pensarlo, mi sollevo l'orlo dei jeans. Calzettoni bianchi di spugna da ginnasta sloveno, orrendi. Io per principio non metto questo genere di calzini, mi ripugnano. Sono privi di personalità, asfittici, atarassici, apatici. Non hanno mordente, e si accoppiano a casaccio con consanguinei, non sanno essere fedeli al proprio compagno. I miei, invece, sono monogami. Guai ad indossare un calzino con le castagne con uno coi conigli! Te ne accorgi subito, l'errore non passa inosservato.
Insomma, dai, son più stilosi, anche se ammazzano un pochino l'eros.
E mentre percorro i 500 metri che mi separano dalla macchina col mio passo strascicato in queste scarpe sempre più comode, mi accorgo che il proprietario della multipla parcheggiata accanto alla mia indossa delle scarpe identiche alle mie, ma cammina molto peggio. Infatti sembra uno di quei finti storpi che chiedono la carità nei giorni di mercato, solo di un realismo impressionante. Sarebbe stato un ottimo storpio, avrebbe rubato il lavoro a tutti.

A me è andata bene, perchè un 39 in un 44 ci naviga, ma dopotutto cammina.
Io son suonata, lo so. Ma possibile che un calzino molto glamour con fantasia di matite colorate, il cui calcagno gli deve essere per forza andato a finire sotto la pianta, non lo abbia minimamente insospettito?

giovedì 6 marzo 2008

L'angolino della massaia.

Care massaie, cari massai, date le molte richieste pervenutemi in questi giorni, provvedo a pubblicare la ricetta della
TORTA INSALUBRE E POCO EQUA E SOLIDALE DI CAROTE NON BIOLOGICHE.

Preparazione: 25 minuti.
Cottura: 1 ora.
Difficoltà: riesce anche ai bischeri.

Ingredienti:
250 gr di farina non proveniente dalla bottega equa e solidale.
2 cucchiaini di lievito in polvere (possibilmente quello chimico del LIDL)
250 ml di olio di semi
250 gr di zucchero
3 uova di gallina mutante
300 gr. di carote del supermercato
zucchero a velo per spolverizzare.

Preriscaldate il forno a 180°, se l'avete. Altrimenti, lasciate perdere tutto e andate a farvi un bel giro.

In una terrina setacciate insieme la farina, il lievito, la cannella e mezzo cucchiaino di sale. Con la frusta elettrica (e mi raccomando, non fatevi tentare dal farlo manualmente, altrimenti non avviene la giusta reazione chimica) sbattete bene l'olio, lo zucchero e le uova in un recipiente abbastanza grande.
Servendovi di un cucchiaio di legno, incorporate anche gli ingredienti passati al setaccio con la farina, e mescolate fino ad ottenere un composto omogeneo.
Amalgamate infine le carote grattugiate, versate l'impasto nello stampo e fate cuocere per 50-60 minuti, finchè inserendo uno spiedino nel centro del dolce non ne uscirà pulito e contento. Se lo spiedino si lamenta perchè si sente sporco, è segno che o il dolce non è cotto, o la partita di LSD di cui avete fatto uso è deteriorata.
Lasciate raffreddare per 5 minuti prima di sformare il dolce. Non fate come me che tento di mangiarlo direttamente dalla teglia, ustionandomi il mento e il collo.
Servitelo così com'è, oppure spolverizzato di zucchero a velo.

martedì 4 marzo 2008

Smarrimento.

Da circa un anno, sono proprietaria di un cellularino bianco della Nok*a che fa anche le fotografie.
Orpo, le foto! Roba moderna, per una che ha abbandonato con la lacrimina in fondo all'occhietto il vecchio scarcassone 3310, col quale non potevo fotografare alcunchè ma facevo il culo a tutti a snake (1987 è il mio record, oltre che l'anno di nascita di mia cugina, conseguito in sala d'attesa del ginecologo con tanto di esultanza improvvisa che ha fatto sussultare una decina di panzone).
Questo moderno cellularino, oltre alle foto, fa anche un sacco di altre cose sulle quali non ho indagato per incapacità personali, ma che mi interessano anche molto poco a dire la verità. Il cellularino somiglia un sacco ai clone troopers* di Star Wars, anche nell'estrema delicatezza dei congegni. Avete notato che Luke Skywalker li atterra pure da disarmato e loro si sfasciano in mille pezzi? Ecco, anche il cellularino. E siccome a differenza dei clone troopers che sono tanti, il cellularino è uno solo e costa dei dindi, cerco di tenerlo bene. Anche per la funzione calcolatrice, alla quale tengo veramente molto specie quando vado a fare la spesa.
Quel cellularino lì ieri sera entrò in casa, e se ne persero le tracce. Colpa mia, che alle nove di ieri sera mi è venuto in mente di tirare fuori la macchina da cucire e darmi alla follia tappezziera, cosa che ha provocato un immane casino in cucina e limitrofi.
Inizialmente ho cercato dove sarebbe stato logico che fosse: sepolto tra i modelli di carta, dentro il bussolone del cucito, nelle tasche delle giacche, nella mia borsa artesiana. Niente. Poi sono passata alla perlustrazione delle mensole e dei ripiani ad altezza occhi. Con le palle sotto ai piedi, sono passata ai cassetti, alle fessure in mezzo ai divani, allo sportellino del bagno. Non era nel cesso, non era nei cassetti, neanche negli anfratti atri e ascosi in cui si celano millenarie briciole di antico pane egizio e monete risalenti a epoca preincaica. Non era da nessuna parte.
Con la morte nel cuore e lo sgomento che turbinava nel largo spazio vuoto tra le mie orecchie, ho preso in mano il fisso e vinto la taccagneria, ed ho telefonato al Gig, conscia che l'annuncio della grave perdita avrebbe scatenato il cazziatone del secolo. Perchè il Gig è bravino, precisino, non perde mai nulla (seee, era megliooo. Perde tutto anche lui, ma non se ne fa accorgere e adora farmi i cazziatoni, gli vengono sempre bene).
"Pronto, Gig?" (rumore di ferramenta svaligiata di sottofondo)
"NONPOSSOSTAREALTELEFONODEVOFAREUNACOSAIMPORTANTISSIMACIAOTIRICHIAMO"

E riattacca, lasciandomi nello sgomento e nella disperazione profonderrima.
Ma porca vacca, cosa avrà mai avuto da fare se non smerdare? Cazzarola, poteva anche interrompere un attimo, maremmampestata.
E naturalmente, non mi richiama.

Me lo vedo arrivare, bello bistrullone e pipilone col suo giacchettone blu col cappuccio a prepuzio e le mani in tasca, e si piazza al computer.
Azzardo timidamente la domanda:
"O Gig, ma lo sai che non trovo più il cellulare?"
e lui, distrattissimo: "Ah, sì, l'ho preso io per sbaglio stamattina."
Io, alterata: "Ma lo sai che sono stata male tutto il giorno? Ma che dovevi fare di tanto importante da non poter stare al telefono?"
"IO?? Niente, perchè?"


Più tardi chiedo il divorzio. Non ora, però, perchè ciodattelefonà.

*di cui non sono riuscita a trovare un'immagine migliore. Abbiate pazienza.

lunedì 3 marzo 2008

A volte ritornano. Post dall'alto contenuto hard. Non leggete se siete sensibili.

Son tornate. Dopo due anni e passa, e più incazzate che mai.
Io non me ne ricordavo neanche più, mi sentivo libera e bella e senza pensieri, e invece la condanna mensile, la spada di Damocle col doppio strato di assorbenza - per le tue giornate in sicurezza e libertà - incombe impietosa sulla mia testa.
Senza si sta bene. Con si sta male. Questa è l'unica, grande verità.

Anni fa, ti volevano far credere che potevi avere il controllo della situazione, fare tutte le tue cosine di donna inserita nel contesto con la massima padronanza. Una tipa si buttava dall'aereo col paracadute, per dimostrare che sììì-macchevvuoichessìa, una si butta e via, mica gli porta tanto rispetto a quella roba lì. Altre giocavano a pallavolo belle tranquille, si schiantavano l'un l'altra gran pallonate sulla pancia, e ne ridevano.
La pubblicità delle cose da donna, certe volte, è davvero demenziale.
Invece, devo dire che si sta male. Non ci si sente sicure per niente. L'asciutto, il pulito, la sensazione di freschezza tutto il giorno, te le puoi pure scordare.
Ti vogliono far credere che "anche se, tu puoi".
Cari signori della pubblicità, che tanto decantate le virtù di certi sigaroni morbidoni, ma vi rendete conto che oltre a quello c'è anche la sindrome premestruale, i brufoli, gli ormoni impazziti? E il mal di testa, il mal di pancia, le cose orribili che si è costrette a fare? Il fatto che siamo mosce, siamo spente, qualcuna persino di malumore? Che si risponde male a tutti, tanto che certe volte anche il panettiere si accorge che siamo in "quei giorni"?
A me poi, questa presenza nella vita, mi spiazza.
Nel mio futuro ideale, sognavo il Nano che si staccava dalla tetta beato, si puliva un rivolone di latte dal mento e saltava sul suo motorino alla volta della spiaggia. Ed io restavo a casa ad occuparmi delle mie cosine, certa che un allattamento molto prolungato mi avrebbe permesso di risparmiare su assorbenti, tamponi ed altri inutili trabiccolini.
Son passati più di due anni, dicevo. Gli assorbenti sono caduti in prescrizione come certi reati, tanto che la cosa mi ha colta talmente tanto di sorpresa da farmi rimuovere completamente dalla memoria il luogo in cui li ho nascosti. Son dovuta correre a ricomprarli, ed ho scoperto che in due anni i prezzi son fluttuati come il petrolio, e le confezioni ridotte di parecchio. Adesso però son quasi tutti alati ed angelici, sottili come un abito da sposa, profumati di mughetto e lavanda ed allegramente decorati con fantasie azzurrate rappresentati fiori ed altre amene cazzate. Se al posto dei fiorellini celesti ci avessero stampato su delle belle scene di scannamento e omicidio, coltelli insanguinati e volti deformati dall'orrore, avrebbero guadagnato in clientela. Perchè così ci si sente in certi momenti.
E gli uomini che non capiscono. Io poi, che vivo in una casa di uomini, sono condannata ad un futuro nero e triste.
Ci sono uomini, come il mio babbo, che aborriscono certe cose, e non ne vogliono neppure sentire parlare. Eppure lui ha vissuto per anni con tre donne dal flusso copioso, per non parlare di quando era ancora un giovanotto e viveva con sua madre, sua nonna e sua sorella. Insomma, si sarebbe ben dovuto abituare.
E invece no. Se trova certe buste decorate con svolazzanti prodotti femminili, va su tutte le furie, gli viene da vomitare, si strappa i capelli e corre via urlando schifato, additandoci come disgustose appestate. Il ginecologo è "il medico delle donne", nel suo lessico. Tanto per fare un esempio.
Poi ci sono quelli premurosi, come il Gig, che ti preparano la tisanina, ti chiedono milioni di volte "come stai?", non ti fanno sollevare pesi, e se magari ti vedono particolarmente abbacchiata, ti preparano pure una delle loro cenette a base di disgustosi pastoni frutto di un fantasioso assemblaggio di quello che trova in dispensa (a me stasera è toccato viùstel con purè in busta e fantasia messicana - fagioli con chili, mostarda di Cremona e capperi - ci mancavano solo le cozze e le bracioline fritte ed in un pasto solo si faceva fuori tutta la catena alimentare).
Poi ci sono quelli come il mio ex, che siccome non si poteva trombare, usciva con gli amici e mi diceva ci si rivede tra una settimana, ma lasciamo perdere.
Insomma, pastone o no, gli uomini non sono in grado di capire come questa forza generatrice dal grande potere mistico sia in realtà l'ennesima rottura di coglioni. Sì, insomma, dopo la depilazione delle sopracciglia e della zona bikini, la pulizia del viso col vapore e la spesa il sabato pomeriggio, l'ennesima scocciatura a cui noi signorine siamo sottoposte.
E siccome la donna è donna, il flusso è copioso. Si deve provvedere in qualche modo. E siccome non ci si sente mai sicure abbastanza, ci si mette l'alabarda spaziale e si corre ai ripari, per evitare disgustosi risvegli notturni. Se il doppio alato trapuntato da notte non basta, si ricorre al classico pannolone da vecchia pisciona. In proporzione costano pure meno. La mia taccagneria in queste cose mi spingerebbe a ricorrere a certi espedienti anche durante il giorno, se non fosse che ti costringe ad assumere la posa di quello appena operato di emorroidi. Il che cozza un filino con la mia innata eleganza.

Insomma, dopo una lunga, gioiosa pausa, ci tocca ricominciare ad addurre motivazioni plausibili ai nostri malumori mensili. L'unica cosa che mi consola, è che dopo che l'ambaradan ha ripreso il suo ciclico andazzo, si dimagrisce di più e si può finalmente dare la colpa a qualcosa per evitare di andare a mostrare le proprie (dis)grazie in piscina al corso di acquaticità.
E quindi (come godo!), domani tocca al Gig.

domenica 2 marzo 2008

Il Mormoratore Incomprensibile. Esperimenti di tamarrizzazione.

Il Nano adesso dice delle cose. Il frasario in dotazione col nostro pupo si è notevolmente evoluto, a dispetto di ciò che è indicato nelle specifiche tecniche del modello.
Adesso il Nano dice le seguenti cose, a ripetizione:

KILLEDLE? (domanda piuttosto insistente, alla quale non abbiamo ancora saputo dare risposta adeguata)
IDLIIDLI
DADA (al su' babbo, però.)
ILLATTE (che non è il latte propriamente detto, ma qualche misteriosa entità)
SIDIS (è cambiato lo sponsor, non so se avete notato)
ALLADDELLADDELLADDE.

ma soprattutto
ULLOSO', il cui significato stranamente è chiarissimo.

Come fare, dunque, per imbrogliare le altre mamme e mostrare una certa proprietà di linguaggio del proprio frutto dell'amore, con queste scarse ed incomprensibili frasi?
Noi lupini stiamo mettendo a punto una strategia addestrativa che avrebbe fatto morire di vergogna anche il cane di Pavlov, magari senza tutta quella bava.
Innanzitutto, si tratta di preparare le domande giuste, sperando che il Nano intuisca la risposta più azzeccata.
Un piccolo esempio di dialogo tipo sostenibile col Nano:

"Tesoro, di' alla signora dove ti ha portato la mamma oggi pomeriggio. Al...?"
"SIDIS!"
" E cosa abbiamo comprato?"
"ILLATTE!"
"E adesso dove andiamo?"
"ULLOSO' "

Farei davvero un figurone. Purtroppo è più probabile che risponda a casaccio, del tipo:

"Tesoro, di' alla signora dove ti ha portato la mamma oggi pomeriggio. Al...?"
"IDLIIDLI"
" E cosa abbiamo comprato?"
"ALLADDELLADDELLADDE"
"E adesso dove andiamo?"
"KILLEDLE? "
In questo caso, mi darebbero della mamma visionaria, e non farei proprio una gran figura. Potrei far finta che il Nano dica cose comprensibili e che soltanto l'interlocutore non riesca a capirlo, mettendolo in soggezione. In tal caso avrei bisogno di un complice fidato, tipo il Gig. Oppure, meglio ancora, un finto passante sconosciuto che si fermasse a simulare stupore e sorpresa di fronte a siffatta proprietà di linguaggio. Allora l'effettone sarebbe assicurato.
Oppure potrei dargli dei pizzicotti o storcergli il braccino fino a che non dà la risposta giusta. Oppure lasciar perdere.

Questo perchè la nana di sei mesi scarsi della mia amica L. dice MMAMMA, BBABBA e PAPPA con con cognizione di causa, e quando la gente ci ferma per strada il mio fenomeno da baraccone passa in secondo piano rimanendo un mormoratore incomprensibile.
Ma da domani si comincia a mettergli il gel e vestirlo da baby vandalo, così riceverà l'attenzione che merita ed io potrò essere finalmente una mamma appagata e glitterata.

Tutto questo fa parte del mio programma di tamarrizzazione familiare, giusto per reazione allergica verso la famigliola del post scorso.

sabato 1 marzo 2008

Come rovinarsi un sabato in poche semplici mosse.

Ogni tanto do di matto. E allora mi viene in mente di invitare per un pomeriggio la famigliola di qualche amica/o che non vedo da tanto.
Effe faceva l'università con me, ma è stata molto più brava e l'ha finita a 23 anni, mentre io ero tutta intenta a cazzeggiare in piazza dei Miracoli in attesa di un miracolo. Effe era quella che mi passava gli appunti e gli sbobinamenti, quella che mi suggeriva le risposte ai test, quella che si depilava completamente un sopracciglio per essere incentivata a non uscire di casa quando la spada di Damocle dell'esame incombeva sulle nostre testoline vuote di post-adolescenti. Effe era la sgobbona, ed infatti da brava sgobbona ha trovato subito un lavoro, abbandonando presto la vita della ragassuola scapestrata per un solidissimo impiego a tempo indeterminato. E siccome Effe fa le cosine per benino, ha sposato un rampollo di una qualche monarchia industriale, ha fatto due figli e mezzo (uno attualmente risiede stabilmente in pancia) e adesso vive in uno splendore di casolare ristrutturato nel sud della regione, molto più antico e bello del nostro (il che non è difficile, a dire la verità, dato che abbiamo una facciata da vomito, ci mancano i copripresa in parecchie stanze e l'esterno somiglia più ad una discarica che a un giardino). Effe solo per questo motivo mi sta un po' sul culo, e chissà per quale strano motivo mi è venuto in mente di invitarla a casa, visto che non ci sentiamo quasi mai. Non avevo nemmeno tanta voglia di vederla, e nonostante una vocina dentro di me mi suggerisse di accampare scuse creative e convincenti per evitare la visita - tipo dire che avevo la serata impegnata perchè dovevo lavarmi i capelli, o che il Nano era stato colpito da un morbo iperpustoloso e contagiosissimo con cacarella a scoppio e lamentite acuta - non l'ho ascoltata. E ho fatto male, malissimo.

Innanzitutto, i due figli di Effe sono due bestie selvagge assolutamente prive di educazione che mi hanno messo a ferro e fuoco la casa sotto gli sguardi innamorati e compiacenti dei genitori. Queste due bestie insopportabili hanno anche due nomi da poveri bambini mentecatti: si chiamano Sena e Lupo. Lupo si addice benissimo al soggetto che lo porta, considerando la vorace propensione alla guerra, Sena invece potevano tranquillamente chiamarla col nome che ho citato qualche post fa: Belva. Il terzogenito si chiamerà Ardio, se maschio, o Astra, se femmina. Quando l'ho saputo, non ho potuto evitare di pensare ai nomi di certe cucciolate di cani da caccia di razza setter.
I Setter di cui sopra hanno saltato con le loro zampette fangose sui miei divani, smanettato coi telecomandi, calpestato a morte alcuni giocattoli del Nano rei di essere del materiale sbagliato, e tentato di rapire il povero bambolo Stefano nascondendolo nella borsa della mamma. Il Nano, poverino, tentava di socializzare con i Setter, ma non veniva cagato minimamente. Ha tentato di imitarli nei comportamenti nefandi e funesti, ma è stato sgridato da quell'arpia della mamma, e contenuto per un po' nel box. Più che altro per evitare altri contatti con gli Unni.
"Ma tu così facendo gli crei dei condizionamenti comportamentali" mi fa il Setter padre, "lascialo libero di sfogarsi!". Certamente, Setter padre, concordo pienamente con la tua posizione steineriana, però vorrei farti notare che il copriletto di toile de jouy su cui i tuoi bambini stanno camminando con le suole fangose e trascinando per casa si dà il caso che sia il mio.
Già, perchè la famiglia dei Setter è una famiglia alternativa.
A me le famiglie alternative son sempre rimaste abbastanza simpatiche, almeno idealmente. Forse perchè non le ho mai frequentate se non superficialmente.
Adesso so che non mi sono più tanto simpatiche, e forse se non le ho frequentate un motivo ci sarà.
I Setter sono vegani, salutisti, amano la natura. Stanno attentissimi a tutto. Si preoccupano seriamente delle scorie che producono, non hanno vaccinato i figli per una precisa scelta etica (se però attaccano il vaiolo al Nano magari un pochino me la prendo), indossano solo abiti in fibra naturale tessuta dalle solerti manine delle vedove del Guaranì, sono decisamente equi e solidali. Molto più di me di sicuro, che ho in dispensa una confezione di Nescafè in granuli e un pochino me ne vergogno pure.
"Volete un po' di torta di carote?"
"Ma non ti disturbare," mi risponde Effe aprendo la borsa ed estraendone un tupperware pieno di sbobba marrone chiaro "ci siamo portati la merenda da casa. Sai, non sappiamo come mangiate, e noi stiamo molto attenti all'alimentazione. Immagino che non siano carote biologiche"
"Ehm, effettivamente sono carote del supermercato..."
E così, mentre il Nano becchetta la sua fetta di torta di carote non biologica e sicuramente insalubre sebbene preparata dalle mie sante manine, i due orribili bambini dagli orribili nomi spalmano manate di sbobba marrone sui cuscini dei divani. E a quel punto scopro che la sbobba marrone chiaro contiene dei pezzetti marrone scuro un po' filacciosi che la fanno somigliare a ciò che producono i miei gatti quando sono alle prese con un bolo di pelo nello stomaco.
"La televisione noi non la guardiamo, perchè ci sono le cose brutte e sbagliate." mi confida Sena mentre si spalma di sbobba con molta dovizia ed indica il nostro strumento del Diavolo, ovvero la tv.
"E la mamma ci lascia a casa da scuola perchè anche a scuola ci insegnano le cose sbagliate" continua Lupo.
Ma dai, non posso crederci.
"Ho lasciato il lavoro per seguire l'educazione dei miei figli." il Setter grande mi guarda sorridendo: "Abbiamo deciso di educare i bambini a casa. Se ne occuperà Effe, che ha fatto l'insegnante."
Non so come mai, ma la cosa mi fa gelare il sangue. Tutto il giorno a casa coi Setter imbufaliti, senza prendersi un attimo di pausa dalla loro demoniaca presenza, costringerli a stare attenti, senza neanche la consolazione di un bell'esorcismo scolastico... e per le note sul diario? A causa del comportamento pigro e disattento, lunedi p.v. l'alunna Sena verrà in cucina accompagnata dalla Mamma. Firmato, la Mamma. Mah.
Mi scappa forte di chiamare i servizi sociali e testimoniare per l'interdizione, ma mi trattengo.
"Sai, " mi fa Effe con aria fintamente complice, visibilmente disgustata dal mio modo di vivere gretto e provinciale, "siamo contrari a questa educazione nozionistica e spersonalizzante della scuola moderna. I bambini hanno bisogno di esprimere se stessi, di autoaffermarsi. Guarda che armonia, tra i nostri bambini! Guardali, come si esprimono bene! Si sentono proprio liberi"
Effettivamente, i setter si sono espressi davvero benissimo allagandomi completamente il bagno.
Quando li ho salutati, mi sono sentita molto sollevata. Ed ho pensato che sarei uscita volentieri a comprare dei merendini chimici al Nano ed una bella cocacola per me, e come atto di protesta personale verso questa famiglia di rompicoglioni avrei volentieri buttato via il secco e l'umido tutto assieme, senza suddivisioni di sorta.
Guardando la loro BMW nuovissima che si allontanava nel vialetto, mi è venuto da pensare che almeno quella, per fortuna, tanto equa solidale ed ecologica non è.
Ho improvvisamente rivalutato i gormiti e quelle zoccole alate delle Winx.