Se avessi una bicicletta, mi piacerebbe tanto percorrere le strade trafficate della linda Toscana estiva col Nano a bordo, come faceva il mio nonno con me quando ero piccina.
La bicicletta non ce l'ho. Ce l'avevo, a dire la verità, ma dopo due anni di esposizione alle intemperie non so dire francamente cosa ci sia rimasto. Era del Gig quando era piccino, su chiamava Atala ed andava molto veloce. Poi il Gig crebbe a dismisura, e quelle gambone gli strusciavano per terra, e se la ricomprò. Atala passò al mio suocero, che doveva dimagrire ma non voleva fare la dieta, poi un giorno decise che si piaceva in sovrappeso e che andare in bicicletta non faceva al caso suo perchè si sudava e c'erano le salite, e allora per evitare che qualcuno gli facesse notare che aveva la bici ma non la usava, decise magnanimemente di passarla a me.
Atala dopo tutti questi passaggi di mano si è ridotta ad un ammasso di vecchia ferraglia arrugginita, ed è pure misteriosamente aumentata di peso. Che la ruggine e la groma* abbiano ispessito il telaio? Mah. Sebbene mi abbia trascinato su per salite venete, torinesi e toscane, adesso mi vergognerei a portarci in giro il Nano, e andrà a finire che prenderò una di quelle di Nonna Ansia, che ne ha ben 2 ma non le usa perchè potrebbe cascare riversa in un campo e morire lì, senza neanche il conforto di una marcetta funebre.
Per il trasporto di Nani bisogna procurarsi il seggiolino apposito.
Quando ero piccina io, i nani viaggiavano davanti.
Adesso i Nani devono stare dietro, seduti su un seggiolino omologato che costa in genere uno stonfo e mezzo (tipo 90 euro il modello reclinabile, a mio avviso un furto in piena regola).
Quando ero piccina io, i seggiolini erano fatti di filanciano e legno, e la seduta imbottita era di skai, un materiale similpelle derivato del petrolio la cui temperatura è direttamente proporzionale a quella degli inferi, su cui i culi degli infanti si riempivano di eritema da sudamina dopo solo 10 minuti di pedalata. E non si compravano, ma si ereditavano da cugini, i cui sederi avevano già sudato a sufficienza sul sedile, tanto da formare un bel segno a ferro di cavallo.
I Nani dei giorni nostri, se si addormentano in bicicletta, stanno comodi: hanno le cinture di sicurezza che li assicurano alla seduta, gli ammortizzatori sotto il culo e un comodo sedile reclinabile, che permette sonni tranquilli a bordo del velocipede.
Ai miei tempi, si dormiva appollaiati al manubrio come galline ovaiole, non esisteva poggiatesta ed era d'obbligo ciondolare come batacchi a destra e a sinistra, rigorosamente in controtempo rispetto alla pedalata. Non esistono studi scientifici sui risultati del rollio ciclistico sulle nostre cervicali di adulti.
I piedini dei nostri tesori sono protetti dal potere assassino dei raggi tramite un binario di quella plastica durissima con cui costruiscono le carene delle navi da crociera.
Ai miei tempi i piedi non erano contemplati nel sistema di filanciani e pezzi di legno. Il sistema proteggi-piedini era costituito da un adulto che ripeteva continuamente il seguente mantra: nonmettereipiedineiraggichetifaimale, nonmettereipiedineiraggichetifaimale, nonmettereipiedineiraggichetifaimale, e certe volte si trasformava in telavevodettichetifacevimale, telavevodettochetifacevimale, telavevodettochetifacevimale, senonstaibonotidoduschiaffi, eccetera eccetera.
Il genitore coscienzioso dei giorni nostri, al bambino mette il caschetto. Il caschetto è un simpatico cappellino imbottito, decorato a vivaci colori (spaidermen per i maschi, uincs per le femmine), omologato a norma CEE, che garantisce l'integrità delle ossa del cranio per la propria prole. L'omologazione fa sì che il simpatico cappellino a vivaci colori costi un botto, e che abbia la stessa durata delle scatolette di tonno pinna gialla (due anni? tre?). Dopodichè, si butta via.
Il genitore coscienzioso dei miei tempi, invece, non avendo a disposizione alcun ritrovato della tecnica se non il proprio senso dell'equilibrio, ci portava in bici senza caschetto.
Ai miei tempi, infatti, si cascava. Ci si graffiava tutte le gambe contro l'asfalto, si ingoiavano un po' di sassi, e se si aveva la fortuna di abitare in campagna si ingeriva anche una modesta quantità di terriccio. Poi si tornava a casa coperti di sangue, e il nonno mortificato annunciava: il bimbo ha battuto una capata, badalì che sgraffi, la nonna ci metteva un po' di tintura di iodio sulle ferite, faceva il cazziatone al nonno ciclista distratto e si ripartiva.
Al giorno d'oggi, invece, si casca lo stesso. Però invece che i graffi e i lividi ci si ritrova con delle ferite lacero-contuse guaribili in 15 giorni, si esce dal pronto soccorso col referto in mano e se si ha fortuna ci si ritrova in neurologia con tanti elettrodi attaccati alla testa. E la capata si trasforma in trauma cranico, che insomma se lo racconti a scuola fai anche la tua figura.
Alla luce di queste considerazioni, mi passa onestamente la voglia di portare il Nano in bici. Innanzitutto perchè sono totalmente priva del senso dell'equilibrio, e poi anche per la quantità industriale di accessori che devo comprare. E poi anche perchè ho ritrovato il mio vecchio seggiolino di skai marrone.
Che dite, ci starà sulla cyclette? Sempre che non cada anche da lì.
* Dicesi groma lo strato di sudicio in grado di resistere persino alla Calinda.