mercoledì 30 gennaio 2008

Dubbi

"Lo faccio o non lo faccio?" mi chiedo, di fronte alle ante aperte del mio guardaroba. Le mani scorrono sugli abiti appesi descrivendo una linea orizzontale. Dalle grucce pendono, inanimati, i fantasmi del mio passato. Fare il cambio degli armadi è un'operazione inutile, se si possono indossare giusto 3 maglioni e 2 paia di pantaloni, perchè il resto non ci entra più. E allora si continua a lavare e stirare frenticamente a ritmi insopportabili le solite tre cose, col rischio di consumarle, strausarle e macchiarle in maniera indelebile.
Per fortuna il mio armadio non ha specchi, così la disfatta sembra meno grave e resta un'ipotesi sospesa.

Ma da qualche giorno, un'idea mi tormenta. No, non è esatto: più che un'idea, un sospetto felice si insinua tra i miei capelli, fora il cuoio capelluto e penetra nella calotta cranica, pizzicando le sinapsi e rendendomi quasi felice.
E' deciso, allora. Lo faccio.


E menomale, perchè sono rientrata nei jeans di 2 anni fa. Due mesi fa, non superavano la barriera del culo, mentre adesso mi avanzano pure. Da qualche tempo in effetti le persone mi fermano per strada, anche gente che mi conosce solo di vista, per chiedermi ma come hai fatto a dimagrire così? Stai proprio bene!, ma io non ho dato peso alla cosa.

Sono una donna molto felice.

martedì 29 gennaio 2008

L'angolino dei referrers

Gli elettrodomestici, in casa mia, sono sempre i benvenuti. L'amica MY lo sapeva già da tempo.
Noi Lupini, poi, li conosciamo tutti a menadito e li usiamo senza vergogna.
Quindi, caro Utente del Web che cercavi di sapere se il cancello elettrico non si apre se la corrente va via e sei capitato qui, sappi che proprio l'assenza di elettricità ne inficia il funzionamento. Quindi, vedi tu se installarne uno convenga o meno.

E tu, Utente alla ricerca di carta adesiva trasparente tipo cattedrale da mettere sul plexiglass, sappi che sei una persona dai gusti davvero pessimi. Fatico pure ad immaginarmi uno scempio simile attaccato ad una finestra.

Una boccata d'aria fresca dai referrers di oggi mi mancava proprio.

domenica 27 gennaio 2008

Carnevale

La piazza di fronte alla chiesa è davvero affollata. Ci sono vezzose principesse, winx alate, agguerriti gormiti, goku scattanti, morbidi picachu, tutti intenti a lanciarsi coriandoli, spruzzarsi addosso la neve finta, darsi mazzate con le spade di plastica. Ogni tanto uno cade, piange, vuole la mamma, si rialza e riprende a lanciare, spruzzare e dare mazzate. C'è anche una folta schiera di traballanti animaletti, soprattutto nella fascia di età che va dai 6 mesi ai due anni: tigrotti, gorilla, coccinelle, gatti, uinnidepù, porcellini, ed un'imbarazzante numero di cani dalmata. I genitori dei dalmata sono quelli che spiccano tra gli altri, perchè terrorizzati di seguire con lo sguardo il cane sbagliato continuano a fare avanti e indietro nel gruppo come palline di flipper, e si lanciano l'un l'altro sguardi carichi di ansia. Le fate si riuniscono in gruppo e si picchiano con le bacchette magiche, i goku farneticano frasi sconnesse e si saltano addosso a vicenda, gli animaletti cozzano tra di loro inciampando nelle proprie code, cacciandosi in bocca a vicenda antenne e manciate di stelle filanti.
I coriandoli ricoprono quasi interamente la pavimentazione in cemento della piazza, e la loro quantità corrisponde ormai a quella contenuta da una trentina di campane della carta. Su un lato della piazza, un adulto vestito da pagliaccio tenta disperatamente di attirare l'attenzione dei bambini gonfiando palloncini con una trombetta, ma quasi nessuno gli presta attenzione. Son tutti troppo intenti a darsi mazzate.

Ed in mezzo a tutta questa cagnara, c'è un bambino di sedici mesi travestito da bambino di sedici mesi che non caga nessuno, ma con un cucchiaino da gelati raccoglie compito i coriandoli da terra.
E li mangia.

venerdì 25 gennaio 2008

Gig look

Quando il Gig è fuori casa, io approfitto per toccare tutte le sue cose. Mi sento un po' bastarda, ma non posso farne a meno nemmeno volendo: le cose del Gig le trovi sparpagliate un po' ovunque, e a me tocca l'ingrato compito della raccolta. Nemmeno quando ha seminato il pratino di dicondra la scorsa primavera è riuscito a spargere i semi così bene come fa con le sue cose.
Ma la cosa che mi dà più libidine è mettermi i suoi vestiti.
Ha una tuta da ginnastica (anche se Gig e ginnastica sono due parole che non possono esistere nella stessa frase) che adoro, bordeaux coi profili blu, davvero comoda e sformata al punto giusto. Dentro le felpe del Gig la mia giunonica presenza si riduce a una specie di nano Cucciolo con le maniche sventolanti, ed il mio poderoso culone rimane perfettamente nascosto sotto le gigghiche lunghezze. Il Gig ha degli odorini niente male, e le sue felpe ne portano le tracce indelebili: bagnoschiuma, deodorante, sigaretta. Ed io durante il giorno aggiungo i miei: cacca di Nano, gatto, mentuccia, rosmarino, soffritto.
Talvolta, involontariamente, aggiungo di mio piccoli inconfondibili particolari, per lo più localizzabili sulle spalle e sul davanti: macchie d'unto artisticamente disposte e depositi crostosi di pappa nanesca.
Confido nella scarso spirito di osservazione del Gig, che tanto non vede le macchie come il 98% degli abitanti di sesso maschile della Terra .
Oggi però mi ha sgamato: dalle tasche ha estratto nell'ordine: due fazzoletti mocciosi, un calzino del Nano, una testa d'aglio e dei cotton fioc (non usati, eh). Il consumo di cotton fioc da parte della sottoscritta è secondo solo a quello dei componenti dei C.S.I.
Infatti glieli ho spacciati come reperti della scena di un crimine. Ma mi sa che non l'ha bevuta...

mercoledì 23 gennaio 2008

La mortificazione dei pani (per i pesci ci attrezzeremo)

Babbo Natale mi ha sempre portato delle cose meravigliose. Io sono molto grata a quel vecchione ringobbito per i bellissimi regali che ho ricevuto.
In occasione del mio ottavo natale, ricevetti in dono una cosa stupendissima: la Maglieria Magica di Barbie. Grazie a quella, ho salvato milioni di Barbie dall'assideramento. Grazie alla Maglieria Magica, non correvo più in giardino a grattugiarmi gli avambracci contro la corteccia degli alberi o a fratturarmi gli omeri pattinando sul piazzale di cemento, ma me ne stavo in casa a diminuire la mia scorta personale di diottrie confezionando chilometri e chilometri e chilometri di salsicciotti di lana colorata. Quando la lana finì, e tutta la casa fu invasa dai salsiccioni, arrivò di nuovo il Natale, e quel bravo vecchietto decise di assecondare le mie inclinazioni di brava massaia facendomi dono del Dolce Forno Harbert, dando il colpo di grazia alla mia forma fisica.
E così siamo andati avanti fino ad ora. Tutti gli anni, sotto l'albero, ho trovato un elettrodomestico per esaltare la mia abilità di donnina dalle manine d'oro.
Quest'anno è stata la volta della macchina del pane.
Ma qualcosa deve essere andato storto nella consegna di quest'anno: la mia macchina del pane, tanto amorevolmente recapitata dal bravo vecchino, deve aver preso una botta mentre veniva calata giù per il tubo della stufa (il Lupinaio non dispone di camino, al momento), e già da subito ha dato segni di grave squilibrio. Innanzitutto, quei dispettosi dei signori della Ke*w**d hanno deciso che il pane sfornato dal loro parallelepipedo bianco non poteva essere un pane normale, ed hanno messo ingredienti piuttosto difficili da reperire, tipo il latte scremato in polvere.
Ho pensato che quello artificiale per lattanti non andasse bene: in effetti ci deve essere di tutto in quei barattoli, meno che il latte. E quindi, via alla ricerca di un'erboristeria, un negozio di alimentazione naturale, una farmacia che vendesse il latte scremato in polvere.
Con una certa costernazione ho scoperto che non esiste una cosa simile in commercio, solo latte per lattanti. Ho provato la prima pagnotta col latte liquido, ed ho sfornato il primo, immangiabile laterizio. Chissà dove avrò sbagliato. Forse è il lievito che non va bene.

Già, il lievito. La mia macchina del pane è smorfiosa e schizzinosa, e vuole il lievito in polvere ad alta solubilità. E via a cercare per mari e per monti, senza trovare nulla di simile se non il solito lievito in polvere per focacce. Dopo 3 ore di lavoro, secondo laterizio.

E poi la farina. "Farina per pane non sbiancata", recita il libretto di istruzioni. Ma la farina normale non va bene? mi chiedo io. Sarà forse per colpa della farina, allora? E via a cercare una farina particolare, col risultato di beccarmi degli accidenti dal mio droghiere. Alla fine ho optato per una farina bio, ed ho incrociato le dita. Terzo laterizio.
Per farla breve, ho provato a usare l'acqua in bottiglia invece che quella di rubinetto, ho cambiato 3 tipi di lievito, ho provato a smontare e rimontare la vaschetta, ho cambiato 5 tipi di programmi diversi, ed ho sfornato una serie tale di mattoncini da poterci costruire un piccolo annesso agricolo da usare come rimessa per il trattore.
Alla fine mi sono rassegnata a queste due possibilità: o la macchina non va, o sono cretina.
Sì, vabbè, la seconda ipotesi in effetti non è del tutto da scartare. Ma mi rifiuto di credere che la mia vicina di casa, l'Emilia - nota come la donna più deficiente del mondo-, sia in grado di sfornare magnifici pagnottoni croccanti e se la tiri così tanto. E del resto tutti quelli che conosco che possiedono una macchina del pane si ritengono soddisfatti.
Da ciò si deduce che la macchina non funzioni. Viene riportata al negozio dove è stata comprata, e una tipa mi dice con un certo disprezzo che nonostante il tempo utile per il recesso non sia trascorso, lei non può ritirarmi la macchina perchè è stata usata. Maremma cignala, ma come facevo a sapere che non andava se non la provavo prima? "Signora, veda lei. Non è un problema mio." e se ne va, tentando di appiopparmi un buono sconto.
La cosa mi ha distrutta psicologicamente. Non solo sforno tavelloni tutto il giorno, ma mi pigliano pure per il culo. Decido di scrivere alla Dir. Gen. del Negoz., ma senza troppa convinzione.
Ed invece dopo venti scandalosi giorni in cui sembrava che la macchina del pane si fosse smaterializzata da questo pianeta, una gentile vocina al telefono mi informa che si scusano tanto, ma la scheda integrata in effetti era fallata, e mi aspettano in negozio per consegnarmene una nuova.
Finalmente il mio sogno di massaia diventa realtà: posso scendere le scale e presentarmi ai miei genitori dicendo loro guardate, sono io, la vostra figlia, quella che non sa fare un cazzo. Guardate che bel pagnottone soffice profumato e croccante che vi ho portato! L'ho fatto io. E da oggi mai più senza pane! Gioite, o popoli della Terra, perchè il tempo è arrivato, e la Macchina del Pane è qui tra di noi a riempirci di baguettes e di pandolci!
Sempre che si risolva il problema ingredienti.
Mi rivolgo agli amici maghi e streghe che lurkano il mio blog: sbaglio, o le code di rospo e gli occhi di lucertola sono più semplici da reperire?

Adesso vado a vedere a che punto è il mio ennesimo mattoncino. Chissà che stasera non si finisca il tetto dell'annesso agricolo.

martedì 22 gennaio 2008

... como si fuera esta noche la ultima vez.

C'era una volta un dottore dei bambini. Anzi, ce n'erano più di uno. Erano tanti, avevano avuto traumi da piccini perchè le loro mamme non li cagavano di striscio, e siccome erano venuti su soffrendo, volevano costringere anche le mamme dei giorni nostri a fare lo stesso coi loro pargoli.
I bambini sono malvagi. Sono dei piccoli tiranni manipolatori. I bambini sono deboli e non sanno fare nulla, sono degli inetti senza spina dorsale e hanno delle mire accentratrici. Non sanno apprezzare le cose belle, ti sfasciano la casa e vogliono il tuo annientamento fisico, perchè di sicuro ci guadagnano. Non si sa bene come, ma è così.
I bambini disturbano la tua vita svegliandosi di notte, pretendendo di mangiare quello che a loro pare meglio, si fanno tutto addosso, rompono gli oggetti e non sono capaci di starsene buoni in un angolo a farsi gli affari propri. Perchè accade questo? si saranno chieste milioni di mamme disperate, dove ho sbagliato?
A questo punto sono usciti fuori questi signori dottori esperti in bambini, ed hanno pubblicato tanti bei libri dove insegnano come addestrare i propri cuccioli al fine di trasformarli in creature civilmente sostenibili. I bambini hanno bisogno di regole, di repressione, di metodi imposti, per trasformarli in persone libere dalle regole, creative, socialmente utili e perfettamente funzionanti.
La cosa è strana, vero? L'ho sempre pensato anch'io. Però se lo trovi scritto da una Mano Autorevole come quella di tutti questi signori, non puoi fare a meno di prendere tutto come oro colato.

C'erano una volta tanti studiosi del comportamento animale, che pubblicavano libri su come accudire cani, gatti e criceti, e fare di loro delle creature felici. Cosa dar loro da mangiare, capirne i comportamenti, interpretare il loro linguaggio. Il cane impara ad obbedire, il gatto a fare la cacca nella lettiera, il criceto non si sa bene a far cosa. La cosa comunque che accomuna questo tipo di pubblicazioni è il rispetto per la vita animale e per le sue peculiarità.

Alla luce dell'ennesimo libro sulla puericultura, posso dire con tranquillità che la scienza moderna capisce meglio gli animali che i propri figli. Gli animali si rispettano innanzitutto, ma la propria prole no. Non si devono prendere in braccio, devono imparare a fare da soli perchè altrimenti si attaccano, bisogna stabilire una distanza interpersonale quanto prima, se non si vuole che diventino dei rammolliti bietoloni buoni a nulla. Il gatto, invece, lo si deve coccolare il più possibile e renderlo domestico e docile, dargli affetto per riceverne in cambio.
Il bambino invece va maltrattato, gli si devono imporre le cose che piacciono a noi e non a lui, e deve saper stare al suo posto.
Ganzissimo, vero?

C'è un librino rosso, sul mio tavolinetto da notte, che ho appena finito di leggere, e che consiglio a tutte quelle che, come me, si sono ritrovate a dover imparare un mestiere nuovo molto in fretta. Questo libretto si legge in un baleno, non si trova molto facilmente in commercio e lo conoscono in pochi.
Questo libretto ti dice di non ascoltare quello che ti dicono quando diventi mamma, perchè non fa la felicità dei tuoi figli e nemmeno la tua. Ti dice di non resistere all'impulso di prendere in braccio tuo figlio quando piange ma di farlo, perchè rende felice te e lui, ti dice di consolarlo quando non riesce a fare qualcosa, ti dice di farlo dormire con te quando ne ha voglia, perchè il mondo è pieno di cose spaventose e certe volte non c'è niente di meglio dell'abbraccio di una mamma e di un babbo per farti sentire al sicuro, e che queste cose una volta negate non tornano più.
Questo libro dice anche un'altra cosa molto rivoluzionaria: i bambini sono buoni, e farebbero davvero qualunque cosa per rendere felici i loro genitori. Strano, vero? Ammettiamolo, dai: una vocina in noi già queste cose ce le suggeriva nell'orecchio da sempre, eppure quello che ti dice ma non vedi che piange perchè è viziato/prepotente/tremendo? lo trovi comunque, e ti fa sentire in colpa per come sei.

Io voglio rompere la catena, me lo sono sempre detta. Quella catena che ha fatto sì che l'ultimo anello si sentisse una bambina incompresa, repressa, inascoltata, solo perchè gli anelli precedenti si erano sentiti così da piccoli e, pur amando i propri figli, hanno pensato che fosse normale comportarsi in questo modo, ed hanno perseverato nell'errore.
Basta così, cari signori, abbiamo già dato abbastanza. Adesso è arrivato il tempo di riprenderci quello che ci è mancato da piccoli, e darlo ai nostri figli incondizionatamente e senza vergognarsene.

Ringrazio il Dottor Gonzales per avermi fatto riflettere su cosa sono stata e su cosa voglio essere.

lunedì 21 gennaio 2008

Fatto!


Ecco. Cosa posso dire? A parte il disordine, a parte che ho sistemato solo 7 scaffali su 24, direi che l'effetto è meravgliosamente disturbante. Specie lo scaffale rosso, a luci abbassate scintilla nella penombra generando strani effetti ipnotici (infatti il Gig, porello, che staziona nel divano di fronte, già dorme).
Nella frenesia del disarma-pulisci-spolvera-raggruppa-rimetti a posto bene, son saltati fuori dei titoli inquietanti. Vorrei sapere innanzitutto chi cacchio ha comprato tutti questi manuali, specie quello sull'allevamento dello struzzo. Io non sono stata, figurarsi il Gig, che certe volte si sospetta che non sia neanche nato dalla pancia di una mamma ma sia una diretta emanazione dello smog torinese e con animali, allevamenti e campagna in generale ha la stessa confidenza che può avere una pecora con una moto da cross. Personalmente non ho niente contro gli struzzi, però mi inquietano con quei loro colli sgraziati e quei becchi affilati come rasoi, e mai mi sognerei di allevarli. Oltretutto, devono mollare delle beccate micidiali, e personalmente preferisco le tradizionali galline. Anche se devo dire che annunciare agli ospiti "E adesso vi mostro il pollaio", e poi veder spuntare fuori dalla stia questi poderosi animaloni deve fare un certo effetto.
E' sbucato fuori anche un manuale sui filtri d'amore, uno sulla stregoneria, un librone fotografico sul barocco nelle missioni Guaranì del Paraguay, un manuale sul gioco del tennis, e poi innumerevoli testi più o meno seri sull'omeopatia e sull'alimentazione. Giuro di non ricordare assolutamente di averli comprati.
Ci sono anche alcune opere pregevoli su come tenere in ordine una casa e organizzare al meglio gli armadi, un paio di Galatei di Donna Letizia, un libro di Barbara Cartland che devo assolutamente leggere al più presto per rendermi conto di cosa si tratta, il trattato sulla puericultura di Spock in edizione 1974 (così potrò rendermi conto dove mia madre abbia sbagliato), ed una caterva di vocabolari. Non li ho contati, ma ce ne sono per tutti i gusti: due di latino, due di greco, tre di francese, due di inglese, uno di russo, due di spagnolo, tre di tedesco, un monolingue francese, un dizionario enciclopedico in tedesco, uno di verbi russi, uno di greco moderno, uno di paradigmi latini.
Roba da pazzi. Non riesco a credere che ci siamo trascinati dietro tutta questa roba per ben 4 traslochi.
Adesso muoio dalla voglia di catalogarli. Domenica lo faccio.
Ma solo se piove.

domenica 20 gennaio 2008

Follia pura...

... è ordinare i propri libri per nuance di colore.

Al Lupinaio, la domenica sera, per noia si fa anche questo. Poi mi ricoverano, lo so.

Stella Fabrizia, torna! E senza quella brutta mangiapigiami della tua mamma.

venerdì 18 gennaio 2008

Come somministrare una pastiglietta a dei teneri micetti.

I gatti lupini da un paio di giorni paiono affranti. Ieri mattina entro nello stanzino dei peccati, e trovo un'amara sorpresa: uno di loro ha scagazzato in giro, producendo tante belle montagnole di popò, che una Lupina bestemmiante si ritrova a dover raccogliere in una provetta da urinocoltura e custodire gelosamente come una preziosa reliquia. I proprietari di gatti sanno benissimo a cosa mi riferisco, e non vomiteranno alla sola idea. Per tutti coloro che non lo sono, mi scuso. E aggiungo: beati voi che non dovete sottoporvi a tanta umiliazione.
Siccome Lupina è una padrona di gatti molto assennata, porta la reliquia al Veterinario dalla voce sexy (che in realtà è un nanerottolo ciccione con le sopracciglia unite. Miracolo telefonico, che fa apparire stangone e biondone persino un rospo).
Il verdetto arriva in fretta. I Pelosi hanno un parassita intestinale, che si cura tranquillamente con un trattamento a base di pastiglie rosse di due tipi, uno antiparassitario ed uno per la diarrea.
La cosa sembra semplice. E che ci vuole, a dare una pastiglina ad un tenero micetto?
Prima di tutto, bisogna acchiappare il gatto.
Ma siccome il gatto è una creatura sensibile, si accorge immediatamente che c'è qualcosa di strano nell'aria, soprattutto perchè lo insegui chiamandolo con nomignoli affettuosi che da un po' di tempo non usavi. Specie da quando lo hai beccato che ti mangiava il pollo arrosto domenicale direttamente dalla sporta della rosticceria.
Il gatto, dicevo, è creatura empatica, e molto empaticamente sparisce. Ho visto gatti scomparire nei 18 mq di una stanza chiusa e ricomparire come per incanto al solo rumore dello spostamento della busta dei crocchi, e tutto ciò senza una spiegazione logica che tenga. Ho il vago sospetto che il gatto sfidi le leggi della fisica e si smaterializzi come in Star Trek.
Se si riesce ad acchiapparlo, bisogna essere preparati alla fuga. Il gatto di per se' è morbido e flessuoso, e generalmente allo stato solido. Ma in quei terribili, minacciosi 30 secondi in cui la sua vita è minacciata da una siringa o da una pastiglia, si fonde e passa allo stato liquido, e scivola via come il mercurio. E per farlo, mette in atto una strategia stupefacente: agisce volontariamente sui propri bulbi piliferi, ti scava una tranvia a 4 binari su una coscia e ti lascia lì come una scema, con una bella ciuffata di peli in mano.
A questo punto, occorre riacchiappare di nuovo il felino, che si sarà nuovamente smaterializzato come il Gatto del Cheshire lasciandoti con un palmo di naso ed un mazzetto di baffi, oppure si sarà rintanato nel luogo più inaccessibile della casa, dandoti fantasiosi spunti per quando dovrai far murare una cassaforte o creare un bunker per i rapimenti.
Naturalmente, la Brava Padrona di Gatto avrà già predisposto su un piano orizzontale tutto l'occorrente per la somministrazione della pastiglietta. In caso contrario, una volta riacchiappato il gatto, rischierà di farselo scappare. Cosa che naturalmente io non faccio mai, allungando di parecchio i tempi di somministrazione per staccare il gatto dal lampadario.
A questo punto, si procede con la parte apparentemente più semplice dell'operazione: si apre la bocca al tenero micino, vi si introduce la pastiglia, si chiude la bocca del gatto e si attende con pazienza la deglutizione. Sempre che il tenero micino non si sia trasformato nel frattempo in belva crudele e sanguinaria.
I miei gatti, che sono cresciuti in un ambiente pacifista e sono apostoli della non violenza, mettono in atto la resistenza passiva. Ovvero, si immobilizzano e serrano le fauci, sfoderando unghioni spaventosi che farebbero scappare branchi di tigri dai denti a sciabola con le quali si appendono alle superfici circostanti. Non è raro, infatti, che si somministri una pastiglia ad un gatto tirandosi dietro divani e tendaggi per tutta la casa.
Una volta disserrate le fauci, bisogna spingere la pastiglia sul fondo della lingua del gatto, soffiargli sul muso favorendo la deglutizione spontanea, e finalmente lasciarlo libero di circolare. Naturalmente non prima di essersi assicurati che la pastiglia sia stata ingoiata. Semplice, no?
Tuttavia a noi Lupini non riesce mai tanto bene. In genere mettiamo in atto il gioco di squadra, ed agiamo in due: il Gig si apposta dietro gli angoli e afferra saldamente il felino nelle sue sante manone, io che son più brevilinea ed ho il baricentro più basso sono l'addetta alla somministrazione e alla verifica finale dell'operazione. La gatta Oliva, che ha l'ingiusta nomea di selvaggia indomabile creatura, si ribella inizialmente ma alla fine si rassegna, ed in fatti in 10 minuti si risolve la cosa con successo. Lo zoccolo duro è Federico. Federico è un gatto stoltignaccolo, bonaccione e molto mite, che però ha la virtù di rendere impossibile qualsiasi manovra ai suoi danni. Disserrargli le mandibole è un'impresa titanica. Federico raggiunge la consistenza e la mobilità di un gatto impagliato. Aprire la bocca ad un gatto impagliato non è affatto semplice, ve lo garantisco. Eppure, una volta che ci si riesce e si tira un sospiro di sollievo, bisogna stare in guardia, perchè è proprio allora che il gatto impagliato si rianima e ti coglie di sorpresa rovinandoti la festa: mette in atto il meccanismo di sbavamento, e sputa la pastiglia.
La bava prodotta dal gatto Federico è impressionante. Ci si potrebbe riempire comodamente la fontana di Trevi. Ed in mezzo a questa bava, fa sempre capolino una pastiglietta rossa.
La pastiglia per la diarrea si chiama Stormogyl. Il nome non è stato frutto del caso: deriva probabilmente dal fatto che stormi di pastiglie rosse parzialmente masticate si spargono sul tuo mobilio al passaggio del gatto. Qualche buontempone della casa farmaceutica produttrice deve aver previsto tutto questo.
Ieri sera, io ed il Gig abbiamo rincorso il gatto Federico per tre lunghi quarti d'ora in giro per casa, buttato via 6 mezze pastiglie, beccato una serie innumerevole di unghiate sulle cosce, cosparso i nostri corpi di peli neri e saliva felina ed improvvisato una partita di rugby: "Gig, placcalo!" "Atterralo!" "Dacci dentro!" "Palla MIA!" "Ti passo palla e uomo!"
Alla fine, ce l'abbiamo fatta. Dopo quintali di pelo sparso sui maglioni ed ettolitri di bava, il gatto Federico ha ingoiato la pastiglia. Abbiamo festeggiato con una fetta di pandolce al cioccolato (io per la verità ho leccato il coltello e raccolto alcune molecole cadute dalla fetta del Gig, ma vabbè).
Il gatto Federico, offeso a morte ed umiliato, se n'è andato sculettando a dormire sul mio maglione nuovo.
Stamattina, al mio risveglio, una ciabattona gommata al contatto col suolo ha emesso uno strano crac: conficcata sotto la suola, c'era una mezza pastiglia rossa parzialmente masticata.
Mi tocca ricominciare tutto da capo.

mercoledì 16 gennaio 2008

Coiffeur

"Sei orrenda con quei capelli. Spero che te ne renderai conto" mi fa mia madre ieri pomeriggio, col consueto savuarfèr che la contraddistingue. Colgo la palla al balzo per affibbiarle il Nano nel primo pomeriggio, e sottopormi all'odiato rituale tutto al femminile che qualcuno chiama coiffeur (ma io preferisco definirlo scotennamento).
Chi non muore si rivede, mi ha detto il mio parrucchiere di fiducia. E per rendere l'idea di quanto davvero sia assidua frequentatrice del suo salone, ci tengo a sottolineare che mi ha chiamato Simona tutto il tempo. (Ovviamente, non mi chiamo Simona). E non solo è il parrucchiere che mi ha pettinata per il matrimonio, ma anche mio affittuario, quindi il mio nome compare su contratti e documenti che arrivano puntualmente al suo indirizzo. Ovviamente sono molto lusingata di aver lasciato una traccia così indelebile nella sua mente.

"E adesso, Simona, siediti qua su questa morbida poltroncina azzurra, che ti sistemiamo per bene": mi hanno impiastrato con una robaccia maleodorante, incartato nel domopack come un pollo arrosto (ma non si è vista manco mezza patatina), infilato in un complicato casco a microonde che mi ha fuso il lobo sinistro del cervello creandomi una sorta di delirio afasico in cui son riuscita a dire solo "devo fare pipì-devo fare pipì" per la seguente mezz'ora, scartato, rimpiastrato con una sostanza bituminosa che in gergo parrucchierico viene chiamata impacco ristrutturante ma che in realtà è volgare catrame da asfaltatura, tagliato via le doppie punte, dato una scotennata finale con una spazzola arroventata dalle fiamme dell'Averno, e alleggerito il mio portafogli di 81 euro. Le altre clienti erano sottoposte a torture pure peggiori della mia (una poveretta è stata avvolta in un turbante di pellicola trasparente, le è stato intimato di stare ferma, ed in effetti lo è stata per un'ora e passa mentre una tizia le spennellava minuscole ciocchettine con una misteriosa sostanza violacea).
"Simona, abbiamo finito"
Ed il risultato? Mentre prima ero una cicciona spettinata coi capelli esplosi sui lati, adesso sono una cicciona che somiglia paurosamente ad una cavia peruviana.
Ho pure trovato una foto molto somigliante a me in questo momento. Non so se rende l'idea.


E i suoi colpi di sole son pure venuti meglio dei miei. Mannaggia.

Presenze.

Lo sapevo che c'eri.
Alla vigilia di ogni data importante, Tu ci sei sempre. C'eri il giorno prima del mio matrimonio, e ti affacciavi timido per straripare di vita il giorno dopo, donandomi un'aria un po' fanée da vecchia battona. C'eri quando ho fatto il colloquio per il mio primo lavoro importante, c'eri quando il Nano stava per arrivare. La tua testolina calva e arrossata si affaccia dalle foto delle date memorabili, a ricordarmi che anche se volo alto, qualcosa mi tiene comunque saldamente ancorata alla terra.
Lo so che Tu sei mandato da un'Entità Superiore per far sì che accumuli la giusta dose di ansia legata al non essere mai del tutto a posto.
Stavolta poteva anche graziarmi, l'Entità Superiore.
Domani ho un colloquio di lavoro, e Tu anche stavolta ci sei.
Anche se questo turno lo saltavi, caro Brufolo Enorme, andava bene lo stesso, eh.

martedì 15 gennaio 2008

Un post elegante.

Santa Tetta, tu che plachi le belve nane, prega per noi.
Santa Tetta, che togli ogni idea di copula tra i coniugi, prega per noi.
Santa Tetta, che doni la pace dell'assenza di ciclo (e per ciclo non intendo quella cosa a due ruote che si inforca scanzonatamente per andare al mare e si parcheggia con il catenaccio), prega per noi.
Santa Tetta, che mi doni il privilegio della sesta misura, dona a noi la pace.

Il 18 dicembre 2007 si celebravano i due anni di scomparsa del Ciclo. Lo so, non è un argomento da signorine beneducate, ma siccome ultimamente sogno di svegliarmi in pieno flusso inarrestabile, mi sembra giusto celebrarlo.
Non mi manca per nulla. Grazie, Santa Tetta, per quello che fai per me.

Scarpe.

I bambini nascono sotto i cavoli, ma stranamente il mio mi è uscito dalla pancia provocandomi uno sbrano da 32 punti, non cumulabili con quelli della carta Conad. E quindi, niente servizio da caffè più zuccheriera.
Dicevo, nonostante quello che ti dicono da piccola, nonostante i libri sulla maternità, nonostante quello che ti insegnano ai corsi di preparazione al parto, io credo che i bimbi vengano da pianeti alieni.
Il nostro, ad esempio, proviene quasi sicuramente da Oglaroon*, un lontano pianeta situato nel Braccio Orientale della Galassia, in cui ad un certo punto della storia hanno cominiciato a proliferare i negozi di scarpe. Questo non lo rende molto lontano dalla realtà cittadina in cui vivo, dal momento che anche qua da noi la scarpa va forte, come i negozi di intimo e di abbigliamento per nani.
Gli abitanti di Oglaroon erano costretti a comprare scarpe in continuo, dal momento che per riempire i negozi le aziende erano costrette a produrne tantissime a scapito della qualità. Infatti le scarpe oglarooniane erano orrende e si scassavano subito. L'economia del pianeta Oglaroon arrivò a produrre soltanto scarpe, si saturò ben presto con quello che dagli economisti spaziali venne definito "Orizzonte del fenomeno Scarpa", e collassò miseramente in un vortice di rovina e distruzione.
Il Nano, allora, trasmigrò nella mia pancia, e non dette segni di appartenenza ad altre specie fino al compimento dell'anno e 3 mesi.
Da qualche settimana il Nano pare aver riacquistato la memoria del suo Karma passato, ed ha sviluppato una insana passione per le scarpe.
Le prova tutte. Si incazza come una belva perchè gli vanno grandi, o perchè scambia la destra con la sinistra e non riesce a camminarci dentro, e cade rovinosamente tra i lacrimoni. Getta scompiglio tra le sue scarpe, me le porta con occhio implorante, se le fa mettere e non ne è mai sazio. Non c'è decolletée o scarpone da montagna che lo freni in questa sua frenesia scarpomane: si inerpica in tacchi da 10, scivola dentro pantofole numero 47 (il Nonno Alzheimer è dotato di catamarani invece che di piedi), scia con le mie crocs gialle e pare beato. Hai voglia a comprare giocattoli. Lui non li caga neanche, l'unica cosa che vuole son scarpe, scarpe, scarpe. Ed in questo devo dire che somiglia alla Zia, il cui guardaroba sconfinato ne conta almeno 40 paia.
Credo che stia cercando la Scarpa Perfetta, quella che cerco io da anni, sulla cui esistenza in molti si sono pronunciati, ma che rimane nell'Iperuranio calzaturiero. Non si sa se esista. E se esiste, costa troppo, non so dove la vendono e non c'è mai il mio numero. La Scarpa Perfetta è frutto di un'emanazione divina. Neanche Ratzinger in persona ce l'ha.
La Scarpa Perfetta va bene con tutto. È elegante ma sportiva, comoda ma chic, marrone ma va bene col nero o nera ma va bene col marrone, non pesta mai le cacche, non scivola sul bagnato, somiglia ad uno stivale ed è bella, così bella che la gente ti ferma per strada per complimentarsi, e mai oserebbe chiedere "Dove l'ha comprata?", perchè sa che è fuori dalla sua portata.
Ovviamente, la scarpa è poco costosa, ma il suo aspetto scanzonato e al contempo serio e professionale incute soggezione. La Scarpa Perfetta non fa venire le vesciche, non è pesante, non si rompe mai e va benissimo con tutto. La Scarpa Perfetta fa chilometri senza aver bisogno di cambi dell'olio o dei pneumatici. La Scarpa Perfetta ha un battistrada perfetto, ha un'aderenza incredibile sul bagnato e non si consuma.
La Scarpa Perfetta non è roba di questo mondo. Io infatti odio andare a comprare le scarpe. Esco di casa con una certa idea, e mi devo accontentare di orride schiacciamerde made in china. Poi me le devo provare tutte, che palle, e camminarci dentro in mezzo a commesse melliflue, o se va bene assolutamente indifferenti.
Il Nano però l'aveva trovata. In mezzo alle cataste di scarpe a sconto, si è levata una manina nana che brandiva la più bella scarpa del mondo. Era Lei, la Scarpa Perfetta.
Mi sono quasi commossa alla vista di tanta beltà. Il Nano è uno che ci capisce.

Naturalmente non avevano il mio numero.

* Cfr Douglas Adams, Ristorante al termine dell'Universo

lunedì 14 gennaio 2008

Cambiamenti

Anno nuovo, vita nuova.
Noi Lupini di nuovo abbiamo il Sistema Operativo. Non siamo più vittime dell'egemonia Gates, ma ci siamo lanciati con un certo entusiasmo nel mondo del Pinguino Linux, dove tutto è gratuito e non esistono conflitti di sorta. C'è solo da imparare come usarlo, ma di tempo ne abbiamo. Forse.
Il Nano di nuovo ha i versi degli animali.
E' finito il tempo in cui schiattavo d'invidia di fronte alle prodezze di Isabellissima e Guccio, cari miei! Adesso anche il Nano sa prodursi in ottime imitazioni: lo zoo vocale del piccolo di casa vanta ospiti di un certo calibro.
Abbiamo l'immancabile MAIALE (oink), il GATTO (ahw ahw ahw), la RANA (grwargh), l'ASINO (ihh-uh) e persino l'affascinante CAVALLO (tloc), protagonista di molte riproduzioni lignee e gommose nelle nostre scuderie domestiche (se non fosse che la mamma ne ha un sacro terrore, ne avremmo anche uno vero).

Il Gig ha voglia di cambiare. Non è una cosa nuova, è da una vita che si ripromette grandi rivoluzioni. Adesso però pare che sia giunto al termine della sua scorta personale di pazienza, e non vuol più fare lo smerdatore. Personalmente lo capisco. E' brutto essere un intellettuale prigioniero di un corpo da operaio.
Quindi, adesso che abbiamo il nostro computer rimesso a nuovo, gliene diam secche di curricula curriculorum a destra e a manca, e vediamo che succede.

Anch'io ho voglia di novità. I bilanci dell'anno vecchio, sui quali preferisco stendere un telo pietoso, sono stati spazzati via da strepitosi propositi per l'anno nuovo, e ce n'è per tutti i gusti: ce ne son di edilizi (copertura dell'inutile terrazza d'ingresso), di professionali (un lavoro nuovo, magari caruccio), di personali (un corso di taglio e cucito, un bel dimagrimento di almeno 3 taglie), di pericolosi (emigrazione verso nuovi lidi).
Insomma, qua dove tutto sembra fermo, l'attività ferve. Ho tanta voglia di catapultarmi in qualcosa di funambolico e scomposto.
Non so ancora cosa, ma qualcosa durante il cammino mi verrà in mente.

domenica 13 gennaio 2008

Dove eravamo rimasti?

Ordunque, tornata. Cioè, io sono sempre stata qua, era il coso di plastica e metallo che se n'era andato via, lasciandoci soli e per la prima volta dopo tanto tempo quasi felici di essere sloggati dal tempo e dallo spazio.
Babbo Natale è passato, lasciando tracce fuligginose sul pavimento e cavalli di legno ingiustamente ignorati.
A me ha lasciato una macchina del pane. Che però deve avere qualcosa di sbagliato nei circuiti, dato che sforna monoliti e laterizi invece di soffici pagnottone commestibili. Ma non ha importanza se non fa bene il suo dovere, in fin dei conti nemmeno io sono tanto brava a fare il mio.
Son state vacanze belle e piene di cose. Innanzitutto, abbiamo avuto ospiti: famiglia di Topo e famiglia di Gatti. Ed è sempre bellissimo averli con noi.
Vorrei scrivere di più, ma mi scappa la pipì ed ho una fame pazzesca. Adesso vado ad addentare la meritatissima pizza, poi semmai racconto.
E dico semmai, perchè lo sloggamento forzato è stato splendido, e quasi quasi lo prolungo un po'.
Baci a tutti. Almeno per il momento, son qua.